Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


In house providing e requisito dell'attività prevalente... (di Sergio Foà-Davide Greco)


Articoli Correlati: In house providing

SOMMARIO:

1. In house providing e deroga alla disciplina degli appalti. - 2. In house providing nelle direttive appalti e concessioni del 2014 - 3. La rimessione pregiudiziale del Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia sul requisito dell’attività prevalente - 4. L’attività prevalente secondo la giurisprudenza antecedente alle direttive appalti del 2014 - 5. L’attività prevalente nelle nuove direttive appalti del 2014 - 6. L’efficacia delle direttive appalti del 2014 in corso di recepimento - 7. Osservazioni conclusive e possibile risposta della Corte di Giustizia - NOTE


1. In house providing e deroga alla disciplina degli appalti.

La c.d. cooperazione istituzionalizzata/verticale, in house, ossia la cooperazione tramite persone giuridiche distinte, configura un modulo in deroga alla applicazione della disciplina degli appalti pubblici [1]. Le nuove direttive dell’Unione Europea, in via di recepimento, confermano che gli appalti pubblici aggiudicati a persone giuridiche controllate non dovrebbero essere assoggettati all’applicazione delle procedure di gara qualora l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, a condizione che la persona giuridica controllata svolga più dell’80% delle proprie attività nell’e­secuzione di compiti a essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice che e­sercita il controllo o da altre persone giuridiche controllate da tale amministrazione aggiudicatrice, a prescindere dal beneficiario dell’esecuzione dell’ap­palto [2]. L’esenzione dalle procedure di gara non dovrebbe estendersi alle situazioni in cui vi sia partecipazione diretta di un operatore economico privato al capitale della persona giuridica controllata poiché, in tali circostanze, l’aggiudica­zione di un appalto pubblico senza una procedura competitiva offrirebbe al­l’operatore economico privato che detiene una partecipazione nel capitale della persona giuridica controllata un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti [3]. Tuttavia, date le particolari caratteristiche degli organismi pubblici con partecipazione obbligatoria, quali le organizzazioni responsabili della gestione o dell’esercizio di taluni servizi pubblici, ciò non dovrebbe valere nei casi in cui la partecipazione di determinati operatori economici privati al capitale della persona giuridica controllata è resa obbligatoria da una disposizione legislativa nazionale in conformità dei Trattati, a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporta controllo o potere di veto e che non conferisca un’influenza determinante sulle decisioni della persona giuridica controllata [4]. Unico elemento determinante è la partecipazione privata diretta al capitale della persona giuridica controllata. Perciò, in caso di partecipazione di capitali privati nell’amministrazione aggiudicatrice controllante o nelle amministrazioni aggiudicatrici [continua ..]


2. In house providing nelle direttive appalti e concessioni del 2014

L’in house providing è stato previsto nelle tre direttive (si tratta dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE – settori classici –, dell’art. 17 della direttiva 2014/23/UE – concessioni e dell’articolo 28 della direttiva 2014/25/UE – settori speciali –) con un testo identico che prevede alcune rilevanti novità rispetto alla giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia [10]. Già al momento di approvare le precedenti direttive del 2004 si era proposto di disciplinare l’istituto, ma l’idea era stata abbandonata [11]. Il processo di scrittura della disciplina dell’in house è stato complesso, sintesi di un contrasto tra l’idea originaria della Commissione [12], che voleva recepire la giurisprudenza della Corte di Giustizia circa i requisiti dell’in house, e l’op­posizione di alcuni Stati membri, tra i quali in particolare la Francia, che volevano espandere le possibilità di utilizzo dell’in house innovando il diritto vivente. Il testo definitivo è, quindi, frutto di un compromesso che presenta alcune rilevanti innovazioni, seppur con una certa cautela, manifesta nella stessa terminologia. La previsione di cui all’art. 12 della direttiva 2014/24/UE che disciplina l’in house nei settori classici può essere assunta a paradigma anche per l’in house nell’ambito delle concessioni e dei settori speciali, vista l’identità dei testi normativi specifici. Lo stesso art. 12, cit. non tratta esclusivamente dell’in house providing, ma di tutti i casi di c.d. cooperazione pubblico-pubblico, sia verticale o istituzionalizzata, sia orizzontale. Vi sono contenuti, quindi, tutti i c.d. “moduli in deroga” all’evidenza pubblica, perché l’amministrazione aggiudicatrice decide di non esternalizzare il lavoro, servizio o fornitura, ma di delegarlo a una sua longa manus (in house) oppure di svolgerlo in cooperazione con un’altra amministrazione aggiudicatrice per soli interessi pubblici e senza alcun corrispettivo (cooperazione pubblico-pubblico orizzontale). Il vero e proprio in house providing è disciplinato all’art. 12, parr. 1, 2, 3 e 5, mentre il par. 4 è dedicato al c.d. partenariato pubblico-pubblico orizzontale. Al par. 1 è disciplinato il [continua ..]


3. La rimessione pregiudiziale del Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia sul requisito dell’attività prevalente

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali in tema di affidamento diretto a società in house e in particolare sul requisito dell’attività prevalente, anche alla luce delle nuove direttive appalti del 2014: a) «Se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento all’attività imposta da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci»; b) «Se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del cd. controllo analogo»[16]. L’ordinanza di rimessione trae origine dall’appello avverso la sentenza di primo grado [17], che aveva respinto il ricorso di una società di gestione dei rifiuti per ottenere l’annullamento della deliberazione con la quale l’ammini­strazione comunale aveva provveduto all’affidamento diretto in house del servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani ad una società concorrente. I giudici di primo grado, qualificata l’affidataria come società in house c.d. “pluripartecipato o frazionato”, tra i cui soci vi è anche il Comune committente, avevano stabilito la legittimità dell’affidamento diretto. La società appellante ha impugnato la pronuncia, affermando l’insus­sistenza di entrambi i requisiti richiesti per l’affidamento in house. Il Consiglio di Stato ha concentrato il sindacato sulla sussistenza del requisito dell’attività prevalente, punto sul quale l’appellante ha proposto istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE [18]. Le questioni controverse circa tale requisito, nel caso di specie, sono sostanzialmente due, dalle quali nascono i due sopracitati quesiti oggetto del rinvio pregiudiziale. La sussistenza dell’attività prevalente era stata riconosciuta dal giudice di primo grado, computando anche le attività svolte dalla società affidataria a favore di enti pubblici non soci (altri Comuni), attività che erano però alla stessa società imposte da un provvedimento autoritativo di altro ente [continua ..]


4. L’attività prevalente secondo la giurisprudenza antecedente alle direttive appalti del 2014

Prima dell’emanazione delle direttive appalti 2014 (e ancora oggi fino al recepimento da parte del legislatore nazionale o allo scadere del termine nel­l’aprile 2016), l’in house providing era regolato solamente dal diritto vivente venutosi a formare a partire dalla celebre sentenza Teckal [19] con lo scopo di stabilire i casi in cui l’amministrazione aggiudicatrice, autoproducendo forniture, lavori o servizi, non deve necessariamente indire una gara per l’affi­damento ai sensi del diritto dell’Unione europea. A partire dalla citata pronuncia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia sul c.d. requisito della attività prevalente ha indicato, quale elemento necessario per la sussistenza della relazione in house, che l’ente controllato «realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano» [20]. Il requisito in esame è stato ulteriormente specificato dalla giurisprudenza sovranazionale, che ha precisato sussistere il requisito solo se l’attività di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. Per verificare se la situazione sia in questi termini il giudice competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative. Quanto all’accertare se occorra tener conto in tale contesto solo del fatturato realizzato con l’ente locale controllante o di quello realizzato nel territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. Infatti, le attività di un’impresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza nell’ambito di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o l’utente delle prestazioni. Non è rilevante sapere chi remunera le prestazioni dell’impresa in questione, potendo trattarsi sia dell’ente controllante sia di terzi utenti [continua ..]


5. L’attività prevalente nelle nuove direttive appalti del 2014

Circa il criterio dell’esercizio dell’attività prevalente a favore dell’ente controllante, le tre direttive del 2014 superano i precedenti contrasti giurisprudenziali e stabiliscono un preciso limite percentuale per definire l’attività minima che la controllata deve svolgere a favore della controllante. Perché ricorra il requisito dell’attività prevalente, la società controllata deve svolgere oltre l’80% delle proprie attività in esecuzione dei compiti ad essa affidati dall’am­ministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone controllate dal­l’amministrazione aggiudicatrice. Viene, quindi, superato l’orientamento giurisprudenziale prevalente (nazionale e comunitario) che richiedeva l’esercizio di un’attività «sostanzialmente destinata in via esclusiva» [25] a favore dell’amministrazione controllante. Ampliamento che risulta confermato confrontando la proposta iniziale della Commissione Europea [26] rispetto al testo definitivo, modificata per favorire una maggiore elasticità nell’utilizzo dell’in house, come richiesto da numerosi Stati membri. Vi è inoltre un allargamento del tipo di affidamenti da computare a fini del calcolo dell’esercizio dell’attività prevalente a favore dell’amministrazione controllante, ricomprendendovi non solo quelli affidati direttamente dall’am­ministrazione aggiudicatrice controllante, ma anche quelli affidati da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice.


6. L’efficacia delle direttive appalti del 2014 in corso di recepimento

L’ordinanza di rimessione nasce da una controversia che ha origine in epoca antecedente all’emanazione delle nuove direttive, e viene esaminata dal Consiglio di Stato in un momento in cui non è ancora scaduto il termine per il recepimento (aprile 2016), nel quale è quindi necessario valutare se e quale efficacia possano avere le nuove direttive nel caso da decidere. Tale questione, come evidenziato in altro contributo [27], è già stata affrontata dal Consiglio di Stato, in funzione consultiva [28] e giurisdizionale [29], con soluzioni opposte. La seconda sezione in funzione consultiva ha ritenuto che, anche escludendo l’efficacia diretta delle nuove direttive non ancora scadute, «non può in ogni caso non tenersi conto di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia, introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E.». Al contrario, la sesta sezione in funzione giurisdizionale ha ribadito l’in­dirizzo tradizionale secondo cui «le regole sull’in house, di cui si fa applicazione nel presente giudizio, che potenzialmente potrebbero contrastare con le previsioni della nuova direttiva, sono, infatti, regole già esistenti nell’ordi­namento nazionale (non introdotte ex novo dal legislatore nazionale in violazione del dovere di standstill) e sono, inoltre, regole che trovano la loro fonte proprio nell’ordinamento dell’Unione Europea, avendo esse origine dalla sopra richiamata giurisprudenza della Corte di giustizia che nel corso degli anni ha fissato rigorosi limiti alla operatività dell’in house. Non si può, quindi, ritenere che la mera pubblicazione della direttiva determini, prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria». Con l’ordinanza qui in esame la quinta sezione, pur senza citare espressamente i due precedenti contrastanti, afferma di aderire alla tesi tradizionale, secondo cui è impossibile riconoscere efficacia self-executing a una direttiva prima che sia scaduto il termine di recepimento della stessa. Nel tempo intercorrente tra l’emanazione della direttiva e il termine di recepimento vige [continua ..]


7. Osservazioni conclusive e possibile risposta della Corte di Giustizia

Le previsioni sull’esito di pronunce giurisdizionali hanno sempre un elevato margine di errore, a maggior ragione ciò è ancora più vero quando la decisione subisce l’influenza (se non giuridica di fatto) di un novum legislativo, come nel caso di specie le direttive appalti 2014, sul quale manca ancora un diritto vivente. Il Consiglio di Stato chiede alla Corte di Giustizia non solo se le nuove disposizioni in tema di attività prevalente fossero già ricavabili dalla sua precedente giurisprudenza, ma anche se un’interpretazione particolarmente estensiva delle stesse permetta di rispondere affermativamente ai due quesiti, vertenti su questioni non espressamente disciplinate dalle nuove direttive. Quanto al primo quesito, circa la possibilità di computare ai fini del calcolo dell’attività prevalente anche le attività svolte a favore di enti pubblici non soci, imposte da un provvedimento amministrativo di un altro ente pubblico, se la Corte rispondesse in senso affermativo lo farebbe innovando del tutto la sua precedente giurisprudenza, superando quanto disposto dalle nuove direttive. Come noto, infatti, l’istituto dell’in house è stato introdotto dalla Corte di Giustizia per permettere alle amministrazioni aggiudicatrici di svolgere i servizi di loro competenza autoproducendo quanto necessario, tramite l’affida­mento ad una persona giuridica formalmente distinta, ma di fatto legata da un vincolo di controllo talmente stretto da essere considerata una longa manus,senza per ciò solo dover ricorrere alla procedura dell’evidenza pubblica. Riconoscere la possibilità che, ai fini del calcolo dell’esercizio dell’attività prevalente, sianoricomprese anche le attività svolte a favore di enti non soci, stravolgerebbe la ratio giustificatrice dell’istituto. Chiare sul punto sono le già citate parole dell’AVCP [37] che, sintetizzando il diritto vivente antecedente alle nuove direttive (ma la cui ratio rimane invariata), affermano che «la giurisprudenza prevalente ritiene che tale condizione sia soddisfatta quando l’affidatario diretto non fornisca i suoi servizi a soggetti diversi dall’ente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016