Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il credito retributivo nel rapporto di lavoro (di Fiorella Lunardon)


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Anzitutto ringrazio il Professor Quattrocchio per il gradito invito a questa giornata di studio, il cui tema ha aperto interessanti prospettive di carattere interdisciplinare. Chiedo poi scusa se il discorso sul credito retributivo mi obbliga a tornare ai “fondamentali” del Diritto del lavoro, con particolare riferimento alla “specialità” che si predica della nostra disciplina, intendendo con tale termine la differenza specifica che la separa tuttora dal Diritto civile. A) Il credito retributivo è infatti, anzitutto, un credito “speciale” rispetto a qualsiasi credito scaturente da un contratto sinallagmatico. Tale valutazione scaturisce dalla necessaria considerazione delle fonti che ne regolano la nascita, la funzione, le vicende circolatorie, le forme di tutela (fonti costituzionali, codicistiche, ordinarie tipiche, convenzionali o contrattuali collettive). È sufficiente in proposito ricordare che nel contratto tipico di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c. (che si tratti di rapporto o di contratto è questione che, comunque risolta, non muta la prospettiva, almeno entro i confini del presente saggio), la subordinazione è l’elemento che sbilancia il nesso sinallagmatico (come sostiene da sempre la dottrina: cfr. TOSI-LUNARDON, voce Lavoro, contratto di, 1992) tanto da incidere sull’intera disciplina lavoristica che si sviluppa come normativa di contenuto garantistico unilateralmente inderogabile (DE LUCA TAMAJO) e al contempo, seppur con biunivocità non perfetta, indisponibile dal lavoratore uti singulus. Quanto all’indisponibilità dei diritti del prestatore di lavoro, il riferimento principale continua ad essere l’art. 2113 c.c. (poi modificato dalla legge n. 533/1973 sul processo del lavoro), il cui primo comma è chiaro nel recitare: «le rinunce e le transazioni del prestatore di lavoro aventi ad oggetti diritti inderogabili derivanti da norme di leggi o di contratto collettivo, non sono valide». A ben vedere, che tale invalidità consista propriamente in un’annullabilità e non in una nullità (considerato il termine decadenziale di cui al secondo comma) non sposta granché il discorso sui connotati tipici della nostra materia, dovendosi peraltro ammettere che essa ben può ospitare, accanto ad un apparato garantistico sanzionatorio rafforzato rispetto ai comuni rimedi civilistici, anche disposizioni ispirate ad un sano pragmatismo processuale, come è in sostanza l’art. 2113 c.c. Allo stesso modo può dirsi dell’inderogabilità unilaterale della disciplina lavoristica, che indubbiamente connota tuttora il modello di rapporto classico tra legge e contrattazione collettiva, nonostante esso sia stato nel tempo affiancato – ma mai veramente superato – dai diversi modelli dei c.d. massimi legislativi e [continua..]

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Fascicolo 2 - 2016