Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
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Analisi del novellato art. 64 l. fall. (di Luciano M. Quattrocchio)


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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’azione revocatoria fallimentare - 3. L’inefficacia degli atti a titolo gratuito, al di fuori del fallimento - 4. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, contenente “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento del­l’amministrazione giudiziaria”, è stato convertito – con numerose modificazioni – dalla legge 6 agosto 2015, n. 132. In sede di conversione, è stato introdotto un nuovo comma all’art. 64 l. fall., prevedendo l’acquisizione automatica alla massa fallimentare – mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento – dei beni oggetto degli atti a titolo gratuito, compiuti dal debitore nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento; ciò con l’obiettivo di accelerare le attività di liquidazione e di evitare l’instaurazione di azioni revocatorie. La disposizione rappresenta una sorta di trasposizione in sede fallimentare della nuova revocatoria semplificata degli atti gratuiti, introdotta dal d.l. n. 83/2015 con il nuovo art. 2929-bis c.c. In particolare, l’art. 64, comma 1, l. fall. recita(va) testualmente «Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante»; il comma 2, introdotto dalla riforma, stabilisce che «I beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato può proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell’articolo 36».


2. L’azione revocatoria fallimentare

2.1. Premessa Nell’attivo fallimentare rientrano, non soltanto i beni appartenenti all’im­presa fallita al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche quelli usciti dal suo patrimonio anteriormente. Da ciò consegue che qualsiasi atto volto a sottrarre o disperdere beni costituenti il patrimonio dell’impresa fallita determina una diminuzione della c.d. garanzia patrimoniale generica e, a talune condizioni, implica un «intollerabile pregiudizio per i creditori» [1]. Per tale ragione, la legge fallimentare prevede alcuni strumenti volti alla ricostruzione del patrimonio dell’impresa fallita e idonei a rendere inefficaci gli atti dispositivi, compiuti prima della sentenza dichiarativa di fallimento, impedendo che essi producano conseguenze (definitive) nei confronti dei terzi che sono stati parte di tali atti. Fra gli strumenti approntati dal legislatore, il principale è l’azione revocatoria fallimentare, il cui obiettivo è – dunque – quello di ricostruire il patrimonio dell’impresa fallita, sterilizzando gli effetti degli atti posti in essere dall’im­prenditore nel periodo antecedente alla dichiarazione del fallimento, in violazione del principio della par condicio creditorum. In tale prospettiva, la revocatoria fallimentare – a differenza di quella ordinaria – è preordinata proprio alla salvaguardia del suddetto principio della par condicio creditorum e, poiché è posta a tutela non del singolo, ma di tutta la massa dei creditori, può essere promossa solamente dal curatore fallimentare. Gli effetti della revocatoria fallimentare sono identici a quelli della revocatoria ordinaria, in quanto anch’essa determina l’inefficacia relativa degli atti compiuti in frode ai creditori; una differenza risiede, tuttavia, nel fatto che l’inopponibilità non riguarda il singolo creditore, ma la massa dei creditori. Inoltre, l’atto dispositivo revocato è sterilizzato nei suoi effetti nei confronti dei creditori, ma rimane valido tra le parti. In particolare, l’effetto dell’a­zione è restitutorio e – come conseguenza – il terzo, tenuto a restituire quanto acquisito con l’atto revocato, può proporre domanda di ammissione al passivo per l’equivalente o per quanto deve ancora ricevere. Come è stato osservato, [continua ..]


3. L’inefficacia degli atti a titolo gratuito, al di fuori del fallimento

L’art. 12 del d.l. n. 83/2015 ha introdotto nel codice civile l’art. 2929-bis, finalizzato a prevedere una forma semplificata di tutela esecutiva del creditore pregiudicato da atti dispositivi del debitore, compiuti a titolo non oneroso. Il nuovo art. 2929-bis c.c. stabilisce che «Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia pre­ventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto e’ stato trascritto». L’azione esecutiva semplificata ivi prevista non necessita, quindi, di un atto di citazione, ma è introdotta direttamente in sede esecutiva contestualmente all’atto di pignoramento. Come riferisce la relazione illustrativa al d.d.l. di conversione, la nuova azione vuole evitare che il soggetto la cui posizione creditoria sia anteriore all’atto (ma non tutelabile, in quanto non ipotecario o pignoratizio) sia costretto, nei casi citati, a ricorrere all’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) che – oltre a richiedere specifici presupposti (in particolare, il dolo del debitore) – consente di richiedere il pignoramento del bene solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza (art. 2902 c.c.). La stessa relazione rileva la frequenza delle revocatorie che, tuttavia, richiedono tempi molto lunghi per il formarsi del giudicato (in media 8 anni); dalla disciplina dell’art. 2929-bis dovrebbe derivare, quindi, sia una riduzione dei costi da sopportare per la realizzazione coattiva del credito sia una diminuzione del contenzioso. In particolare, l’art. 12 del d.l. n. 83/2015 ha aggiunto la Sezione I-bis nel Capo II (Dell’esecuzione forzata) del libro VI del Codice Civile, costituita dall’unico art. 2929-bis c.c., prevedendo la possibilità per il creditore, titolare di un credito sorto prima dell’atto pregiudizievole e munito di titolo esecutivo (atto di pignoramento), di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche in assenza di una sentenza definitiva di revocatoria che abbia dichiarato l’ineffi­cacia di [continua ..]


4. Conclusioni

Ci si potrebbe chiedere se le due norme introdotte dalla novella legislativa – l’art. 64, comma 2, l. fall., e l’art. 2929-bis c.c. – siano perfettamente fungibili, ovvero se la disposizione da ultimo richiamata abbia un ambito di applicazione più ampio, di talché il curatore possa avere un interesse alla sua applicazione. Come si è detto, l’art. 64, comma 2, l. fall., consente – ora – di rendere inefficaci gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, acquisendoli all’attivo fallimentare mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Per contro, il nuovo art. 2929-bis c.c. prevede che il creditore – che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito – possa procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. Le due norme sono perfettamente fungibili con riguardo alla natura degli atti: in entrambi i casi, si fa riferimento ad atti a titolo gratuito. Vi è, invece, una differenza con riguardo al periodo temporale di riferimento: l’art. 64, comma 1, l. fall., riguarda gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, la cui inefficacia discende dalla trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento; l’art. 2929-bis c.c. inerisce, invece, agli atti a titolo gratuito compiuti successivamente al sorgere del credito, per i quali l’inefficacia consegue alla trascrizione del pignoramento – nel caso di specie, della sentenza dichiarativa di fallimento – nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. Si potrebbe ritenere che vi sia un’area di residua applicazione dell’art. 2929-bis c.c. nell’ipotesi – forse soltanto teorica – in cui l’atto dispositivo sia compiuto in un periodo antecedente al biennio che precede la dichiarazione di fallimento, ma sia stato trascritto soltanto nell’ultimo anno. In tale caso, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016