Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La valutazione d'azienda nelle procedure concorsuali (di L.M. Quattrocchio B.M. Omegna)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L'acquisizione dell'azienda all'attivo - 3. Il programma di liquidazione - 4. La cessione d'azienda nel concordato preventivo - 5. La valutazione d'azienda - 6. La valutazione del canone d'affitto - 7. Le procedure competitive - 8. Conclusioni - Note


1. Premessa

Il Legislatore, al fine di favorire – da una parte – la conservazione dei complessi produttivi e – dall’altra – la salvaguardia dei livelli occupazionali, ha introdotto una serie di norme che attribuiscono una sorta di primazia al trasferimento dell’azienda o di rami d’azienda rispetto alla cessione atomistica, che – per contro – implica lo smembramento del complesso aziendale. Anche senza prendere in considerazione l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ove la conservazione dei complessi aziendali (o la loro cessione) costituisce una priorità assoluta, le tracce della citata primazia si possono cogliere un po’ ovunque, con riguardo sia al fallimento sia al concordato preventivo: – art. 104-bis, comma 1, l. fall.: “Anche prima della presentazione del programma di liquidazione di cui all’articolo 104-ter su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza l’af­fitto dell’azienda del fallito a terzi anche limitatamente a specifici rami quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa”; – art. 105, comma 1, l. fall.: “La liquidazione dei singoli beni ai sensi degli articoli seguenti del presente capo è disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”; – art. 186-bis, comma 1, l. fall.: “Quando il piano di concordato di cui al­l’articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo”. In tale contesto, il Legislatore ha introdotto un principio cardine che deve essere osservato nella prospettiva della individuazione del c.d. “prezzo giusto”, stabilendo – all’art. 104-bis, comma 2, l. fall. – che “La scelta dell’af­fittuario è effettuata dal curatore a norma dell’articolo 107, sulla base di stima …” e – all’art. [continua ..]


2. L'acquisizione dell'azienda all'attivo

L’acquisizione all’attivo dei beni aziendali, come degli altri beni del fallito, consegue automaticamente alla dichiarazione di fallimento. Infatti, l’art. 42, comma 1, l. fall., stabilisce che “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento” (c.d. “spossessamento”). La ricognizione dei beni aziendali avviene, invece, in sede di inventario. Infatti, a norma dell’art. 87, comma 1, l. fall., “Il curatore, rimossi i sigilli, redige l’inventario nel più breve termine possibile secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile, presenti o avvisati il fallito e il comitato dei creditori, se nominato, formando, con l’assistenza del cancelliere, processo verbale delle attività compiute”. Il successivo comma 3 aggiunge che “Prima di chiudere l’inventario il curatore invita il fallito o, se si tratta di società, gli amministratori a dichiarare se hanno notizia che esistano altre attività da comprendere nell’inventario, avvertendoli delle pene stabilite dall’articolo 220 in caso di falsa o omessa dichiarazione” (c.d. “Interpello”). L’espressione “inventario”, sia pur diversamente utilizzata e definita in dottrina nel corso del tempo, indica “un complesso di atti che ha la funzione di accertare la composizione di un patrimonio” e “consiste nell’individuazione delle attività e delle passività di cui il patrimonio è composto, e nell’elencazione di esse in un apposito documento, detto “processo verbale d’inventario” (o semplicemente “inventario”)” [2]. In particolare, l’art. 775 c.p.c. stabilisce che il processo verbale d’inven­ta­rio deve – tra l’altro – contenere: – la descrizione degli immobili, mediante l’indicazione della loro natura, della loro situazione, dei loro confini, dei dati catastali e delle mappe censuarie; – la descrizione e la stima dei mobili, con la specificazione del peso e del marchio per gli oggetti d’oro e d’argento; – l’indicazione della quantità e specie delle monete per il danaro contante; – l’indicazione delle [continua ..]


3. Il programma di liquidazione

3.1. I termini La “strategia di liquidazione” è disegnata dal curatore nel programma di liquidazione, disciplinato dall’art. 104-ter l. fall., il quale costituisce – come espressamente indicato dal comma 2 – “l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo”. In particolare, l’art. 104-ter, comma 1, l. fall., prevede che il curatore debba predisporre un programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori, entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario. Il d.l. n. 83/2015, conv. con la legge n.132/2015, ha stabilito che il curatore deve dare corso all’adempimento “in ogni caso” non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, e che “Il mancato rispetto del termine di centottanta giorni di cui al primo periodo senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore”. Inoltre, sempre il cit. d.l. n. 83/2015 ha aggiunto al comma 2 dell’art. l la lett. f), stabilendo che il programma di liquidazione deve prevedere il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo. Il successivo comma 3, a sua volta modificato dal cit. d.l. n. 83/2015, prevede che “Il termine di cui alla lettera f) del precedente comma non può eccedere due anni dal deposito della sentenza di fallimento”; e che “Nel caso in cui, limitatamente a determinati cespiti dell’attivo, il curatore ritenga necessario un termine maggiore, egli è tenuto a motivare specificamente in ordine alle ragioni che giustificano tale maggior termine”. Al proposito vale ancora la pena di ricordare che lo stesso d.l. n. 83/2015 ha introdotto il comma 10, stabilendo che “Il mancato rispetto dei termini previsti dal programma di liquidazione senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore”. 3.2. Il contenuto 3.2.1. L’affitto d’azienda o di rami d’azienda In ordine al contenuto del programma di liquidazione, l’art. 104-ter, comma 2, lett. a), l. fall., prevede anzitutto che sia specificata “l’opportunità di autorizzare l’affitto dell’azienda, o di rami, a terzi ai sensi dell’articolo 104 bis”. In particolare, l’art. 104-bis, comma 1, l. fall., [continua ..]


4. La cessione d'azienda nel concordato preventivo

4.1. Premessa Possono individuarsi tre forme di concordato: – il concordato liquidatorio; – il concordato con continuità aziendale; – il concordato misto. 4.2. Il concordato liquidatorio Il concordato liquidatorio (puro) è definito dall’art. 160, comma 1, l. fall., il quale prevede che “L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; b) l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato …”. La cessione dei beni – nella prospettiva liquidatoria – può, quindi, avvenire: – in forma atomistica; – in forma di cessione d’azienda, di rami d’azienda o di beni in blocco; – mediante cessione di partecipazioni in società conferitarie dei beni. 4.3. Il concordato con continuità aziendale 4.3.1. Forme di continuità aziendale L’art. 186-bis, comma 1, l. fall., prevede che “Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”. La continuità aziendale può essere totale o parziale; nel secondo caso si prevede la liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio dell’impresa, dando vita ad [continua ..]


5. La valutazione d'azienda

5.1. Premessa. Il dato normativo L’unico dato normativo di riferimento per la valutazione d’azienda è contenuto nell’art. 63, comma 1, del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (“Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274”), ove si prevede che “Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma dell’articolo 62, comma 3, tiene conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo”. Pare utile rammentare che la legge 21 febbraio 2014, n. 9, di conversione del d.l. n. 23 dicembre 2013, n. 145, ha previsto – all’art. 11, comma 3-quinquies – che “All’articolo 9 del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: ‘2-bis. L’articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e le valutazioni discrezionali di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita’”. Al proposito, la Circolare di Assonime n. 12/2014 ha precisato che il Decreto Legge è “intervenuto, infine, sulla disciplina delle operazioni di vendita dell’impresa soggetta alla procedura di amministrazione straordinaria, prevedendo che l’articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 deve interpretarsi nel senso che il valore determinato ai sensi del primo comma dello stesso articolo non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita. Per comprendere il senso e gli effetti della nuova disposizione occorre ricordare come l’articolo 63 del D.Lgs. 270/1999 sancisca alcune disposizioni speciali per la vendita di aziende in esercizio, volte a favorire la prosecuzione dell’attività e il mantenimento dei livelli occupazionali per almeno un biennio. In base a tale disposizione l’individuazione del prezzo di vendita da parte degli esperti nominati dal commissario straordinario, deve essere effettuata tenendo conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo. In altre [continua ..]


6. La valutazione del canone d'affitto

6.1. Premessa La stima del canone di affitto d’azienda rappresenta una tematica già affrontata in passato dalla letteratura economico-aziendale, che ha proposto a tal fine – vari approcci. In particolare alcuni Autori [6] hanno affermato che il valore del canone “congruo” di affitto risulta pari al prodotto tra il valore del capitale economico dell’azienda concessa in affitto e un tasso di remunerazione del capitale investito nell’azienda concessa in affitto. Allo scopo di determinare il valore del capitale economico tali Autori sostengono che i metodi fondati su grandezze flusso, quali i metodi finanziari, reddituali e misti, siano di scarsa utilità in quanto nell’applicazione della formula di determinazione del canone “congruo” i flussi attesi rappresentano proprio l’incognita da determinare, generando conseguentemente dei problemi di circolarità. Per tale ragione essi sostengono la necessità di stimare il valore economico dell’azienda ricorrendo ai metodi patrimoniali complessi, ovverosommando al patrimonio netto rettificato il valore dei beni immateriali non contabilizzati. In merito al tasso di remunerazione gli Autori affermano che debba essere calcolato sommando un tasso risk free e un risk premium rappresentativo del rischio economico d’impresa, determinato utilizzando la tecnica del Capital Asset Pricing Model (CAPM) o tramite la regola empirica cosiddetta di Stoccarda. Gli stessi Autori considerano anche il caso in cui venga concesso in affitto solamente l’attivo operativo dell’azienda: in tale circostanza il canone “congruo” risulta pari al prodotto tra il valore corrente dei beni dati in affitto, sempre comprensivo di quelli immateriali non contabilizzati, e un tasso di remunerazione corrispondente al Weighted Average Cost of Capital (WACC). Infine, qualora l’affitto sia concesso nel corso di una procedura concorsuale, il valore del capitale economico o dell’attivo operativo dovrebbe essere determinato sempre ricorrendo alle metodologie sopra esposte, prevedendo tuttavia – allo scopo di tener conto che la società si trova in situazione di default e quindi incapace di remunerare in maniera “congrua” il capitale investito – di sottrarre dal valore così stimato l’ammontare di una [continua ..]


7. Le procedure competitive

7.1. Le procedure tradizionali Come si è detto, l’art. 107, comma 1, l. fall., prevede che “Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”. Con riguardo al caso in cui il curatore preveda che l’attività di liquidazione sia delegata a terzi, avvalendosi di “soggetti specializzati” e degli “operatori esperti”, occorre rammentare che l’art. 107, comma 7, l. fall., stabilisce che – con un emanando regolamento del Ministero della Giustizia – verranno individuati i requisiti di onorabilità di detti soggetti. Occorre ancora rammentare che si potrebbe ricorrere anche alle vendite telematiche, in relazione alle quali l’art. 107 l. fall. nulla prevede, sebbene il curatore possa prevedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni siano effettuate dal giudice delegato secondo le previsioni del codice di rito, in quanto compatibili. 7.2. Le vendite con modalità telematiche La vendita con modalità telematiche è prevista dall’art. 161-ter disp. att. c.p.c. (introdotto dal d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, conv. con la legge 22 febbraio 2010, n. 24) che ha attribuito al Ministro della giustizia il compito di stabilire, con decreto, le regole tecniche e operative per lo svolgimento della vendita dei beni mobili e immobili mediante gara telematica, nel rispetto dei principi di competitività, trasparenza, semplificazione, efficacia, sicurezza, esattezza e regolarità delle procedure telematiche. Il Regolamento è stato approvato dal Ministero della Giustizia con decreto 26 febbraio 2015, n. 32. Successivamente, il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, ha istituito il Portale nazionale per la pubblicità delle “vendite pubbliche”. 7.2.1. La disciplina originaria Il servizio di vendita telematica è attribuito ai c.d. “Gestori della vendita telematica”, soggetti costituiti in forma societaria autorizzati dal giudice a gestire, appunto, la vendita telematica. Il Ministero deve formare [continua ..]


8. Conclusioni

Le considerazione sopra svolte consentono di rispondere all’interrogativo posto e, cioè, se – muovendo dal presupposto che il trasferimento dell’azienda (o di rami d’azienda) sottende l’esistenza di un complesso (almeno in potenza) funzionante – sia più corretto adottare metodi che implicano la continuità (azien­dale) o piuttosto metodi di natura liquidatoria e, operata questa scelta, quali siano i metodi più opportunamente utilizzabili. Per rispondere correttamente al quesito, anzitutto occorre – secondo il costante insegnamento della giurisprudenza – assumere che l’azienda, o il ramo di azienda oggetto di valutazione, costituisce necessariamente un complesso coordinato di beni, di rapporti giuridici, di risorse umane unito da una comune finalità economica e dalla capacità di generare un autonomo flusso di risultati. È necessario – inoltre – premettere che la valutazione del “going concern” deve essere fatta avendo riguardo non all’impresa in crisi, che per definizione si trova in una situazione di discontinuità (fatta eccezione per il caso di continuità aziendale diretta, su cui v. supra), ma all’azienda alla stessa facente capo. In altri termini, mentre l’impresa può essere in continuità o in discontinuità, l’azienda per la quale si prospetta una dismissione “in blocco” è ontologicamente in continuità. Fatta tale premessa, occorre ribadire (ma v. supra) che la valutazione è un giudizio che richiede una stima, non è il risultato di un mero calcolo matematico; pertanto, non esiste il valore “giusto” o il valore “vero” di un bene. Ogni valore è sempre e comunque frutto di una stima; si tratta sempre, quindi, di una quantità approssimata e non esatta. Pur in tale contesto di incertezza, è – peraltro – necessario prendere le mosse dal dato normativo e, in particolare, dall’art. 63, comma 1, del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (“Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274”), il quale prevede che “Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma [continua ..]


Note