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Il regime tributario delle vendite giudiziali
A. Franco, Dottore di Ricerca in Diritto Tributario delle Società, docente a contratto e cultore di Diritto Tributario presso il Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino. Dottore commercialista e revisore legale
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Sommario:
1. Introduzione - 2. L'alternatività tra Iva ed imposta di registro nelle vendite giudiziali - 3. Le norme in materia di imposta di registro - 4. Le agevolazioni recate dal d.l. n. 18/2016
1. Introduzione
Il regime tributario delle vendite giudiziali presenta significative peculiarità con riferimento, principalmente, all’ambito delle imposte indirette applicabili ai trasferimenti immobiliari, ovverosia, imposta sul valore aggiunto, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali.
Difatti, negli ultimi anni si è assistito (oltre a una più generale riforma delle imposte applicabili ai trasferimenti immobiliari e, soprattutto, alle imposte di registro, ipotecarie e catastali) a sensibili modificazioni del regime fiscale applicabile alle vendite giudiziali. Più in dettaglio, le principali modifiche possono essere individuate, da una parte, nella estensione del regime del c.d. prezzo valore anche alle vendite giudiziali (problematica che ha ormai trovato soluzione con la sentenza della Corte cost. n. 6/2014, la quale ha riconosciuto al contribuente la possibilità di optare per tale regime anche nelle vendite giudiziarie) e dall’altra parte alla norme introdotte nel febbraio scorso in tema di applicazione dell’imposta di registro, nonché delle imposte ipotecarie e catastali, in misura fissa al verificarsi di talune circostanze.
Di conseguenza, dopo aver esaminato in via generale il tema del regime fiscale delle vendite giudiziali con riferimento al tema dell’alternatività tra Iva ed imposta di registro, si analizzerà più in dettaglio il regime fiscale di tali operazioni ai fini dell’imposta di registro, nonché le sopra citate norme recentemente introdotte in relazione all’applicazione delle imposte in misura fissa.
2. L'alternatività tra Iva ed imposta di registro nelle vendite giudiziali
Preliminarmente, occorre osservare che il regime fiscale relativo alle vendite giudiziali è, ai fini delle imposte indirette, in via di principio analogo al regime fiscale “ordinario” su tali operazioni.
Pertanto, anche con riferimento alle vendite giudiziali, come sopra accennato, vige il principio di alternatività tra imposta sul valore aggiunto ed imposta di registro, poiché l’art. 8, comma 1, della Tariffa Parte Prima del d.P.R. n. 131/1986 prevede che alle vendite giudiziarie si applichino le stesse imposte previste per i corrispondenti atti, e ciò viene interpretato nel senso di ricomprendere in tale formulazione, appunto, l’alternatività Iva-imposta di registro.
Chiaramente, l’assoggettamento ad Iva in luogo dell’imposta di registro si avrà se e solo se i presupposti della prima (ovverosia, il presupposto oggettivo, soggettivo e territoriale) sono tutti soddisfatti; in tal caso, quindi, vi sarà l’applicazione dell’imposta secondo le regole (e le aliquote) “ordinarie”. Al contrario, in mancanza anche di uno solo di tali presupposti, la vendita giudiziaria sarà soggetta ad imposta di registro.
Con riferimento al presupposto oggettivo, occorre precisare che, se è ormai consolidato l’orientamento secondo cui la vendita giudiziale si qualifica come “cessione di beni” ai fini dell’Iva, tale impostazione non è a ben vedere così scontata ed evincibile ictu oculi dal quadro normativo vigente, per cui appare interessante ricostruire il percorso logico che ha condotto all’affermazione di tale tesi.
Difatti, dato che non vi è alcuna norma espressa al riguardo nel d.P.R. n. 633/1972, il dubbio si potrebbe porre, in via di principio, poiché gli artt. 1 e 2 del Decreto sembrerebbero sottoporre ad Iva determinate operazioni se ed in quanto riferibili alla volontà del soggetto passivo di imposta; di conseguenza, in tale prospettiva il decreto di trasferimento non dovrebbe essere assoggettato ad Iva in quanto non sarebbe un atto riferibile alla volontà del soggetto, bensì è atto del Giudice.
A ben vedere, tuttavia, appare più corretta la tesi largamente maggioritaria (e confermata peraltro dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 7528 del 12 agosto 1997), secondo cui l’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972 non distinguerebbe tra la natura volontaria o coattiva del trasferimento; peraltro, si può anche riconoscere l’applicabilità dell’imposta sul valore aggiunto alle vendite forzate riferendosi a due dati normativi testuali, ovverosia il disposto dell’art. 6 del d.P.R. n. 633/1972 secondo cui, nell’individuare il momento in cui si effettua la cessione, si riferisce anche alle “cessioni di beni per atto della pubblica autorità” (comma 2, lett. a) nonché dell’art. 13 dello stesso Decreto, che, nel determinare la base imponibile delle operazioni soggette ad Iva, fa riferimento anche a quelle dipendenti da atto della pubblica autorità (comma 2, lett. a).
Pertanto, appurato che la vendita giudiziale può rientrare in via generale nella categoria delle cessioni di beni, e quindi che anche in questo caso può esservi il soddisfacimento del presupposto oggettivo ai fini dell’Iva, come per una cessione di beni “ordinaria” vi sarà l’assoggettamento ad Iva se sussiste anche il presupposto soggettivo, ovverosia se la cessione è effettuata nell’esercizio di impresa, arte o professione (nonché, chiaramente, il presupposto territoriale e il fatto che i beni debbano comunque essere inerenti l’attività esercitata).
Con riferimento al presupposto soggettivo, in particolare, occorre determinare su quale soggetto valutare la sussistenza dello status di esercente impresa, arte o professione. Nulla quaestio se l’espropriazione viene effettuata presso il debitore, ma se l’espropriazione viene effettuata presso un terzo ex art. 602 c.p.c. si potrebbe in via di principio chiedersi in capo a quale soggetto vada valutato lo status di imprenditore (ovverosia, se nei confronti del debitore o del terzo).
Secondo l’orientamento espresso dall’Agenzia Entrate nella Risoluzione 10/E del 17 gennaio 2006, in caso di espropriazione presso un terzo è in capo a quest’ultimo che deve essere valutato il presupposto soggettivo, poiché l’effetto traslativo della vendita giudiziaria si realizza tra il terzo proprietario espropriato dell’immobile e il soggetto aggiudicatario individuato nel decreto.
3. Le norme in materia di imposta di registro
Se manca anche solo uno dei presupposti per l’applicazione dell’Iva, oppure l’inerenza, come sopra accennato trova applicazione l’imposta di registro in luogo di quella sul valore aggiunto.
Ai fini dell’imposta di registro, per le vendite giudiziarie è previsto un regime particolare: secondo l’art. 44 del d.P.R. n. 131/1986, infatti, la base imponibile non è rappresentata dal valore del bene come per l’applicazione “ordinaria” dell’imposta di registro. Difatti, il criterio generale per gli atti a titolo oneroso secondo l’art. 43 è che la base imponibile sia costituita, per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto. Secondo l’art. 44 citato, invece, “per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione, diminuito, nell’ipotesi prevista dall’art. 587 del codice di procedura civile, della parte già assoggettata all’imposta”.
Il riferimento per l’applicazione dell’imposta è quindi il prezzo di aggiudicazione, e non il valore del bene. Alla base di tale norma vi è l’idea che nell’ambito di queste fattispecie non sia contestabile l’autenticità del prezzo di trasferimento: il controllo dell’autorità giudiziaria esclude a priori la possibilità di una differenza tra il prezzo di aggiudicazione e quello effettivamente pagato (Corte di Cassazione, sentenza n. 13217 del 6 giugno 2007).
Di conseguenza, non sembrerebbe corretto identificare la ratio della norma nella presunta corrispondenza tra valore del bene e prezzo di aggiudicazione (anche perché è evidente che nella prassi tale corrispondenza può non verificarsi, e spesso infatti non si verifica). La ratio non è nemmeno agevolativa, quantomeno non direttamente, nonostante il fatto che l’Amministrazione finanziaria non possa procedere a rettificare la base imponibile del tributo appare indubbiamente un plus della norma dalla prospettiva dell’acquirente (ma esso è semmai un effetto della norma, e non la ratio della stessa).
Pertanto, in relazione alla portata della noma, occorre osservare che essa si applica in due casi:
1. vendite nel procedimento di espropriazione forzata, con o senza incanto; e
2. vendite, aggiudicazioni e stipulazioni fuori dall’esecuzione forzata ma che si svolgono con la modalità dell’asta pubblica o del pubblico incanto.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 6403/2003) stabilisce espressamente come la norma, in quanto speciale e derogatoria rispetto al regime generale, sia di stretta interpretazione e quindi non possa essere soggetta ad integrazione analogica. Difatti, secondo la Suprema Corte la norma deve essere applicata solo in presenza dei due citati presupposti, negando l’applicabilità della norma a taluni trasferimenti, in specie a quelli effettuati in esecuzione di concordati fallimentari, concordati preventivi e nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, poiché in tali circostanze il controllo dell’autorità giudiziaria è successivo, eventuale, e limitato alla legittimità degli atti. Parte della dottrina obietta che per l’amministrazione straordinaria in realtà si potrebbe comunque sostenere l’applicabilità, per le caratteristiche della procedura.
Al riguardo, sembra opportuno effettuare una precisazione sull’ambito oggettivo di applicazione della norma, con riferimento alle aziende. Infatti, nonostante l’azienda sia menzionata solo nel secondo comma, si ritiene che anche nel primo comma siano compresi i trasferimenti di aziende, ciò non per effetto di una interpretazione analogica bensì per una interpretazione estensiva della norma; non sembrerebbe infatti che la sola menzione nel comma 2 comporti a contrario l’inapplicabilità nella fattispecie prevista al comma 1, bensì appare piuttosto che in questo caso il legislatore “minus dixit quam voluit”, e pertanto la norma sembra suscettibile di poter essere interpretata estensivamente.
4. Le agevolazioni recate dal d.l. n. 18/2016
Il D.L. n. 18 del 14 febbraio 2016 (c.d. “Decreto Banche”, il quale reca principalmente misure urgenti per la riforma del credito cooperativo e, più in generale, per il settore del credito) ha introdotto una disposizione all’articolo 16 con la quale si riduce in maniera significativa le imposte di registro, ipotecarie e catastali relative ai trasferimenti immobiliari nell’ambito di vendite giudiziarie.
Tale norma prevede infatti che siano soggetti ad imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, per un importo pari ad Euro 200 ciascuna:
(i) gli atti e i provvedimenti che recano il trasferimento della proprietà o di diritti reali su beni immobili emessi, a favore di soggetti che svolgono attività d’impresa, nell’ambito di una procedura giudiziaria di espropriazione immobiliare ex artt. 555 ss. c.p.c. o di una procedura di vendita ex art. 107 l. fall.;
(ii) gli atti e i provvedimenti emessi in favore di soggetti che non esercitano attività d’impresa, purché ricorrano le condizioni previste nella nota II-bis dell’art. 1, Tariffa Parte Prima in materia di c.d. agevolazioni “prima casa”.
L’agevolazione in parola presenta quindi indubbi profili di convenienza sia per i soggetti che acquistano l’immobile con applicazione dell’Iva (in quanto le imposte ipotecarie e catastali, secondo le norme “ordinarie”, sarebbero pari rispettivamente al 3% ed all’1%) sia per i soggetti che acquistano l’immobile con applicazione dell’imposta di registro, dato che in tal caso si applicherebbe tale imposta nella misura del 9% (e le imposte ipotecarie e catastali, che tuttavia troverebbero applicazione in misura fissa pari ad Euro 100 ciascuna).
Ciò nonostante, si rileva come l’appeal della norma possa essere profondamente limitato dal fatto che la stessa trovi applicazione con riferimento agli atti emessi fino al 31 dicembre 2016, e pertanto abbia un ambito temporale di applicazione particolarmente ridotto (che si giustifica forse con il fatto che gli oneri dell’agevolazione in esame per l’anno 2016 sono valutati pari ad Euro 220 milioni). È quindi auspicabile che tale norma sia oggetto di proroga, anche in considerazione del fatto che le ragioni che hanno condotto all’introduzione di una siffatta agevolazione (ovverosia, in buona sostanza, favorire il recupero dei crediti sostenendo il settore delle vendite giudiziarie) sembrano permanere anche nell’attuale contesto economico.
4.1. L’agevolazione per i soggetti esercenti attività d’impresa
Per quanto riguarda i soggetti esercenti un’attività d’impresa, l’agevolazione è subordinata alla condizione che l’acquirente dichiari che intende trasferire gli immobili entro due anni. Se tale trasferimento non avviene, le imposte di registro, ipotecaria e catastale saranno dovute nella misura ordinaria, e si applicherà inoltre una sanzione amministrativa pari al 30% oltre ad interessi di mora.
Lo schema dell’agevolazione riproduce quindi il medesimo meccanismo relativo alle agevolazioni previste in favore delle imprese immobiliari di rivendita (art. 1, comma 1, sesto periodo) in vigore fino al 31 dicembre 2013, secondo cui “se il trasferimento avente per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato è esente dall’imposta sul valore aggiunto […], ed è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell’atto l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni ... 1%”, in relazione al quale la nota II-ter prevedeva che, ove non si fosse realizzata la condizione del ritrasferimento entro il triennio, le imposte di registro, ipotecaria e catastale avrebbero dovuto essere corrisposte nella misura ordinaria e si sarebbe resa applicabile una sanzione del 30 per cento (oltre agli interessi di mora).
Sembra quindi utilizzabile anche nell’interpretazione della norma introdotta nel febbraio del 2016 la medesima dottrina e giurisprudenza precedentemente formatasi in relazione alle problematiche che la norma abrogata poneva, specie con riferimento al concetto di “ritrasferimento”.
Difatti, tale norma abrogata presentava alcune problematiche applicative soprattutto con riferimento alle ipotesi di trasferimento parziale degli immobili acquistati, che con ogni probabilità si presenteranno anche in relazione alla norma introdotta nel febbraio scorso. Difatti, se usualmente l’Amministrazione finanziaria ritiene che per il mantenimento dell’agevolazione sia necessaria la totale rivendita dell’immobile stesso, la dottrina e la giurisprudenza ritengono (CTR Piemonte, sentenza 18 del 22 marzo 2012) che la norma agevolativa non distingue tra rivendita totale e rivendita parziale dell’immobile nel triennio, per cui sarebbe sufficiente il trasferimento anche parziale dell’immobile per mantenere la totalità dell’agevolazione, o quantomeno che la decadenza dall’agevolazione debba verificarsi pro quota (i.e., l’agevolazione viene mantenuta per la parte ceduta dell’immobile, mentre si verifica la decadenza per la parte non ceduta) – anche se non manca un orientamento giurisprudenziale più restrittivo secondo cui non è possibile nemmeno il mantenimento pro quota, poiché l’immobile ceduto deve essere il medesimo acquistato.
Un secondo problema che può limitare l’attrattività dell’agevolazione potrebbe inoltre essere rappresentato dal termine relativamente ridotto (due anni) entro il quale il soggetto acquirente deve cedere l’immobile al fine del mantenimento dell’agevolazione. Ciò potrebbe essere particolarmente critico per gli operatori, stanti le importanti penalizzazioni in caso di decadenza dall’agevolazione.
Infine, ci si chiede se, con riferimento alle imprese, questa norma sia suscettibile di essere esaminata alla luce della disciplina relativa agli aiuti di Stato. Si potrebbe infatti sostenere che, se si ritiene che tale norma attribuisca un vantaggio selettivo e con caratteristiche “anomale” rispetto al sistema fiscale italiano, essa potrebbe forse essere suscettibile di ricadere nell’ambito di applicazione della disciplina relativa agli aiuti di Stato in materia fiscale.
4.2. L’agevolazione per i soggetti non imprenditori
In relazione ai soggetti non imprenditori, l’agevolazione si applica se sono soddisfatte le condizioni poste dalla nota II-bis dell’art. 1, Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131/1986 in materia di c.d. agevolazioni “prima casa”.
In particolare, le condizioni previste da tale disposizione sono:
a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le medesime agevolazioni ovvero con altre agevolazioni citate allo stesso articolo.
Inoltre, in caso di rivendita nel quinquennio (o di dichiarazione mendace) saranno dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte, secondo modalità sostanzialmente analoghe a quanto sopra menzionato per i soggetti esercenti attività d’impresa.
Occorre al riguardo segnalare che tali disposizioni sono state introdotte con le modifiche recate dalla legge di conversione del D.L. sopra citato (legge 8 aprile 2016, n. 49); la norma originariamente prevista dal D.L. non distingueva tra soggetti imprenditori e non imprenditori, assoggettando entrambi all’agevolazione secondo le medesime modalità sopra esposte con riferimento ai soggetti imprenditori; i.e., prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, per i soggetti non imprenditori trovava applicazione il medesimo regime sopra descritto con riferimento ai soggetti esercenti attività d’impresa, con quindi l’unica condizione, al fine di poter beneficiare dell’agevolazione, di dichiarare che si intende ritrasferire l’immobile entro due anni.
Orbene, con la legge di conversione sopra citata, invece, si è radicalmente mutato il regime per gli acquirenti non imprenditori, prevedendo l’applicazione di tale regime solo se sussistono, in sostanza, le condizioni per beneficiare dell’agevolazione “prima casa”. Pertanto, si sono di fatto espunti dall’ambito di applicazione di tale norma tutti i soggetti non imprenditori che non possono beneficiare dell’agevolazione “prima casa”.
Tale modifica è suscettibile di generare significativi problemi. Infatti, oltre il fatto che tale modifica non sembrerebbe trovare piena giustificazione nella ratio della norma, ci si chiede come debbano essere considerate le vendite giudiziarie effettuate a favore di soggetti “privati” che non possono beneficiare dell’agevolazione “prima casa” nel periodo tra la data di entrata in vigore del Decreto, ossia il 16 febbraio scorso, e la data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia il 15 aprile 2016.
È infatti evidente che il soggetto non imprenditore, privo delle condizioni per poter beneficiare dell’agevolazione “prima casa”, che abbia acquisito un immobile in tale lasso temporale possa essersi visto negare l’agevolazione poiché l’acquisto si è perfezionato solo successivamente, in quanto il provvedimento è stato emesso dopo il 15 aprile 2016; difatti la norma, si ricordi, si applica in relazione agli “atti ed ai provvedimenti emessi”, quindi sembrerebbe doversi fare riferimento al regime fiscale vigente alla data di emissione dell’atto.
Tuttavia, tale impostazione appare piuttosto paradossale e penalizzante per il contribuente, poiché è naturale che tale soggetto abbia espresso la volontà di acquistare l’immobile nel corso di una vendita giudiziaria anche sulla base di (legittime) considerazioni di risparmio fiscale, secondo quanto disposto dalla norma illo tempore vigente – risparmio che poi viene ad essere negato da un provvedimento successivo, la legge di conversione, che chiaramente tale soggetto non poteva conoscere all’atto della partecipazione alla vendita giudiziaria. Appare quindi evidente come in questo caso vi sia una palese lesione dell’affidamento del contribuente, che sembra richiedere (quantomeno) un successivo intervento normativo per disciplinare le vendite svoltesi nel periodo di vigenza del d.l. ante modifiche della legge di conversione.