Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La riforma della pubblica amministrazione: le novità in tema di società a partecipazione pubblica (di Sergio Foà)


SOMMARIO:

1. Introduzione e ambito di riferimento - 2. Discipline speciali e esclusioni - 3. Le partecipazioni necessarie - 4. Le scelte organizzative - 5. La responsabilità degli enti pubblici partecipanti - 6. Affidamenti in house (sanabili) e personale - Note


1. Introduzione e ambito di riferimento

L’oggetto della relazione è l’esame dello «Schema di decreto legislativo recante il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”». Il carattere di non definitività del testo di legge unito alla brevità e alla sintesi richieste dal contesto impongono di procedere ad una rapida disamina dello schema di decreto legislativo che dà attuazione alla riforma Madia sul tema delle società a partecipazione pubblica e della loro razionalizzazione. Verranno pertanto evidenziati gli elementi più importanti dello schema di decreto legislativo, anche attraverso i rilievi che il Consiglio di Stato, in sede di parere, ha formulato sul testo medesimo e quali prospettive in questo periodo si possono avanzare su una possibile modifica dell’articolato, che effettivamente appare perfettibile sotto numerosi profili. Il “Testo Unico” – così è stato denominato – è un decreto ambizioso perché ha la finalità di riformulare le “norme sparse” che si sono accumulate negli anni, spesso stratificandosi in leggi finanziarie, prima, o successivamente nelle leggi di stabilizzazione o in norme di legge che, a vario titolo, hanno mirato alla razionalizzazione della spesa pubblica [1]. Il quadro attuale ante-riforma è dato da un insieme stratificato di disposizioni che, in effetti, non danno un quadro completo della materia e che, di conseguenza, incrementano le difficoltà sul piano applicativo. Complicazioni che crescono per gli enti funzionali, se si tiene e a mente che la matrice della riforma è pensata per gli enti territoriali. Ad esempio, l’Università di Torino ha recentemente affrontato e tentato di risolvere i numerosi problemi antinomici insorti nel coniugare le diverse forme di dismissione obbligatoria in relazione alle proprie partecipazioni a società pubbliche. La complessità della questione è in gran parte dovuta alla frammentarietà della materia ed alla difficoltà del coordinamento, anche sostanziale, tra alcune norme contenute nelle leggi finanziarie con le norme sopraggiunte negli anni successivi. Sotto il profilo della frammentarietà, quindi, [continua ..]


2. Discipline speciali e esclusioni

Le tipologie di discipline speciali che questa normativa fa salve sono quelle dedicate ai servizi pubblici ovvero – ma occorre fare chiarezza – ai servizi di interesse generale o servizi di interesse economico generale, per utilizzare la terminologia del diritto dell’Unione Europea, secondo quanto la giurisprudenza europea ci ha insegnato. Qui timidamente il legislatore prova a circoscrivere il campo della “disciplina speciale” alle fondazioni di partecipazione ed agli enti associativi diversi dalle associazioni e dalle società. Quindi – per chiarire l’ambito di applicazione del Testo Unico – si tratta di una disciplina che si applica soltanto alle società partecipate ed alle controllate di cui lo stesso testo di legge dà definizione. Per il resto, là dove il testo non se ne occupi, si applicano il codice civile e le leggi o pubblicistiche “di diritto amministrativo” o “di diritto privato commerciale”, che trattano degli altri soggetti giuridici a veste societaria. Qualora invece si tratti di enti associativi che non assumono veste societaria o di fondazioni, si applica la disciplina speciale. A margine occorre rilevare che anche in questi casi – ma la legge Madia non si è spinta a tanto – sarebbe bene avere previsto una disciplina che regolasse le fondazioni di partecipazione, che oggi la Corte dei Conti fa spesso fatica a inquadrare e spesso ne vede un utilizzo strumentalmente distorto e insincero, dissimulando le finalità proprie dello strumento societario, specie nei casi in cui lo scopo perseguito è formalmente sociale ma nasconde una gestione a rilevanza indiretta di tipo commerciale. Un’ulteriore notazione del Consiglio di Stato riguarda il comma 6 dell’art. 1, che disciplina la modalità di esclusione che può essere disposta con l’ado­zione di un «decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze o dell’organo di vertice dell’ammini­strazione partecipante, motivato con riferimento alla misura e qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al tipo di attività svolta, anche al fine di agevolarne la quotazione ai sensi dell’art. 18, che può essere deliberata l’esclusione totale o parziale dell’applicazione delle [continua ..]


3. Le partecipazioni necessarie

Per rimanere aderenti all’obiettivo di enucleare alcune criticità rilevabili nello schema di decreto, senza pretesa di sistematicità nell’analisi, ci limitiamo ad evidenziare che l’art. 2 fornisce l’elenco delle definizioni terminologiche della materia. A tal proposito occorre semplicemente rilevare la presenza di una utile e agognata trasposizione all’interno del testo di legge delle voci che in passato erano affidate tout court alla giurisprudenza. Si riscontra – per esempio – la definizione di controllo analogo in caso di affidamenti in house, o di controllo analogo congiunto, allo scopo di comporre le possibili divergenze interpretative. Fino ad ora queste erano disposizioni riservate prevalentemente alla giurisprudenza, timidamente introdotta e recepita in alcune limitate normative di settore. Meritano a tale proposito di essere segnalate le lett. h) e i) dell’art. 2, riportanti le definizioni di servizi di interesse generale e di servizi di interesse economico generale che attestano come, con uno sforzo notevole, il nostro legislatore abbia finalmente recepito indicazioni che la giurisprudenza dell’Unio­ne europea fin dal 2003 ha fornito e che tendenzialmente già il libro verde aveva prospettato ai vari Stati membri. Il successivo art. 3 dispone quali siano i tipi di società per le quali è ammessa la partecipazione pubblica. In questo caso la scelta compiuta dal legislatore è stata – per così dire – aderente al c.d. “Piano Cottarelli”, evocativo del trascorso tentativo del commissario di razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica attraverso un prospettato piano di revisione articolato e severo. Come si ricorderà, il piano Cottarelli prevedeva sanzioni pecuniarie assai gravose qualora gli enti pubblici non avessero dismesso le partecipazioni che non rispondevano ai criteri ivi enucleati, nonché precise responsabilità in capo agli amministratori evidentemente inadempienti. Tuttavia, in sede di approvazione della legge n. 190/2014, il testo venne mitigato e la norma giuridica che ne scaturì fu una norma imperfetta, cioè una norma giuridica che non prevede sanzioni nel caso della sua violazione. La conseguenza inevitabile fu l’impasse del processo di dismissione. Gli enti territoriali [continua ..]


4. Le scelte organizzative

L’art. 6 tratta dei Principi fondamentali sull’amministrazione e gestione delle società a controllo pubblico. A tal proposito basti evidenziare che lo schema di Testo Unico ingerisce fortemente sulle scelte organizzative interne dei futuri enti pubblici, società partecipate da enti pubblici, perché fornisce già un modello di organizzazione minimo necessario che ogni partecipata dovrà adottare. Anche su questo vedremo se supererà il vaglio di eventuali censure di incostituzionalità, laddove queste scelte organizzative si sovrapporranno agli ambiti di autonomia normativa o regionale o degli enti territoriali minori. L’art. 6, infatti, dispone quali siano le scelte organizzative minime, assimilando le società partecipate o controllate alle amministrazioni pubbliche anche per quanto riguarda i codici di condotta propri nella gestione dei comportamenti imprenditoriali, alla gestione dei dipendenti e così via. Gli artt. 7, 8 e 9 si occupano, in estrema sintesi di costituire, regolare, estinguere le società e il correlato rapporto patrimoniale con gli enti pubblici. L’art. 7 tratta della costituzione delle società. L’art. 8 di come acquistare le partecipazioni in società. L’art. 9, con una formula sibillina, si occupa di come gestire le partecipazioni pubbliche. L’unica annotazione che la brevità di questo lavoro consente è la seguente. Quando nell’atto costitutivo della nuova società è prevista la partecipazione dei privati – dice l’art. 7, comma 5 – questi vanno previamente individuati me­diante l’espletamento di procedure aperte oppure, nei soli casi previsti dalle legge, di procedure competitive di negoziazione (il legislatore utilizza il gergo delle nuove direttive sugli appalti e quindi dell’art. 62 del d.lgs. n. 50/2016). L’art. 10 si occupa delle alienazioni delle partecipazioni sociali ed i principi enunciati sono “a maglie larghe”, come già è adesso rilevabile nella legislazione vigente, e sono i principi di pubblicità, trasparenza e di non discriminazione. Quindi per dismettere o alienare una partecipazione sociale, l’operazio­ne è effettuata nel rispetto di questi tre principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione. In casi eccezionali e a seguito di deliberazione motivata dia [continua ..]


5. La responsabilità degli enti pubblici partecipanti

Infine occorre fare almeno un cenno ad un argomento che non è per nulla secondario e che è quello della responsabilità degli enti partecipanti e dei com­ponenti degli organi delle società partecipate. Anche qui occorrerà un po’ più di chiarezza sulla distinzione tra partecipate e controllate, perché questo è un tema su cui – almeno in logica anti-corruttiva – ancora adesso c’è una confusione notevole e la tendenza degli enti pubblici, soprattutto degli enti territoriali, è, in caso di dubbio, di classificare tutte le società come controllate anche quando il controllo non c’è. L’art. 12 è “ungarettiano” per brevità, mentre il tema trattato è complicatissimo: quello delle responsabilità. Forse la sinteticità deriva dall’inveterato insegnamento che prevede che convenga essere succinti più il tema è complicato. E allora l’art. 12 recita: «I componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salvo il danno erariale». Summa divisio sul riparto di giurisdizione, quindi responsabilità civile e responsabilità previste dalla disciplina ordinaria del diritto societario, salvo che ci sia danno erariale. Secondo comma: «Costituisce danno erariale esclusivamente il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti (quindi si legga: dall’ente pubblico), ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che abbiano con dolo o colpa grave trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della partecipazione». Questo comma è sostanzialmente un riassunto di quanto la Corte di Cassazione a sezioni riunite aveva detto in quella celebre pronuncia, su cui si fecero tanti convegni, sulla ripartizione tra giudice ordinario e giudice contabile nella valutazione del danno cagionato dagli amministratori delle società [7]. Se è un danno cagionato come soci o se è un danno cagionato, invece, come enti pubblici che, quindi, ricade sul patrimonio dell’ente pubblico [continua ..]


6. Affidamenti in house (sanabili) e personale

In conclusione ancora due rapidi cenni sull’in house e sul personale, due temi che da soli richiederebbero molto tempo. L’art. 16 è quello sugli affidamenti in house e l’art. 19 è quello sulla gestione del personale. L’art. 16 parla di società a controllo pubblico con affidamenti diretti di contratti. Qui il legislatore usa questa locuzione un po’ articolata, mentre il Codice dei contratti pubblici ha operato una scelta decisamente diversa ed ha scritto in rubrica semplicemente “in house”, neanche “in house providing”. Nel testo in commento, invece, si è voluto essere più puntuali, rubricando l’articolo Società a controllo pubblico titolari di affidamenti diretti di contratti pubblici. Esso ci dice quand’è ammessa la partecipazione dei privati e chiaramente riporta un recepimento delle direttive europee in tema di controllo analogo, disponendo che gli statuti prevedano che almeno l’80% del fatturato della società debba essere effettuata nello svolgimento di compiti affidati dell’ente pubblico. Ma c’è un punto dolente: cioè l’in house deve realizzare almeno l’80% del fatturato a favore degli enti pubblici che lo hanno costituito, un 20% può farlo sul mercato. A tal proposito, in Italia c’è sempre il dubbio se sia “sanabile” oppure no il mancato rispetto del limite dell’80% del fatturato. C’è un comma 6, che il Consiglio di Stato ha censurato richiamando alla legalità sostanziale, che dice che la società può sanare le irregolarità se non rispetta l’80% di fatturato a favore degli enti pubblici, entro tre mesi dalla data in cui si è manifestato, se rinuncia a una parte di rapporti di fornitura con i soggetti terzi e quindi rientra in house e abbandona la tentazione del mercato, sciogliendo (il termine atecnico non aiuta) i rapporti contrattuali. Il termine sciogliendo fa pensare di nuovo al dismettere ex lege di cui accennammo sopra. Ma in questo caso è ancora peggio sotto il profilo della gestione amministrativa dello ‘scioglimento’ da parte dell’ente pubblico e della società che deve deliberare. Certamente, sciogliendo i relativi rapporti, le attività precedentemente [continua ..]


Note