Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Finanziamenti infruttiferi e rilevanza ai fini del Transfer Price (di Marco Bargagli)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Ambito normativo di riferimento - 3. La normativa nazionale - 4. Presupposto soggettivo - 5. Presupposto oggettivo - 6. Transfer Price ed onere della prova - 7. Il recente arresto giurisprudenziale - 8. Considerazioni conclusive - Note


1. Premessa

Con la recente sentenza n. 7493 del 15 aprile 2016 la Corte di Cassazione ha previsto la rilevanza, ai fini della normativa sul Transfer Price, delle operazioni di finanziamento infruttifero poste in essere tra imprese appartenenti allo stesso gruppo. Tale ultimo precedente giurisprudenziale si pone in netto contrasto con il diverso orientamento espresso dal supremo giudice tributario che, con la sentenza n. 15005 del 17 luglio 2015, aveva ritenuto sostanzialmente inapplicabile la disciplina sui prezzi di trasferimento infragruppo ai finanziamenti intercompany che non generavano interessi passivi. Le argomentazioni contenute nella citata sentenza n. 7493/2016 si fondano sul noto principio di libera concorrenza [2] di cui all’art. 9 del modello OCSE, dal quale discende la possibilità di valutare la congruità dei prezzi di trasferimento praticati nelle transazioni economiche poste in essere, potenzialmente produttive di componenti reddituali positivi (ricavi) o negativi (costi). Tale valutazione, secondo l’interpretazione fornita dagli ermellini, può prescindere dalle singole pattuizioni contrattuali stabilite dai soggetti economici interessati, ivi compresa la concessione di un prestito a titolo gratuito, senza prevedere quindi l’onere di versare gli interessi passivi sul capitale concesso a mutuo. In definitiva, l’eventuale qualificazione di infruttuosità del finanziamento concordata dalle parti non esclude, di per sé, l’applicazione delle disposizioni tributarie di carattere antielusivo previste in tema di corretta determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo.


2. Ambito normativo di riferimento

In un contesto economico globalizzato le multinazionali, nel diversificare le loro strategie di investimento, costituiscono imprese appartenenti allo stesso gruppo nei vari mercati esteri, in territori UE ed EXTRA-UE. Tuttavia, occorre considerare che qualora un’impresa residente in Italia scambi beni o servizi con altre imprese controllate e/o consociate estere, il valore della cessione infragruppo deve essere determinato in base a precise regole, con lo scopo di impedire il trasferimento di utili (rectius “travaso di utili”) dall’Italia all’estero, attuando politiche di pianificazione fiscale aggressiva creando, contestualmente, erosione di base imponibile, una distorsione del mercato e della libera concorrenza. Nello specifico, i prezzi delle transazioni infragruppo non devono essere determinati sulla base di valutazioni soggettive riconducibili alle politiche commerciali e industriali del singolo gruppo societario, bensì devono essere in linea con il valore normale di mercato della transazione economica, in base alle regole previste dalla disciplina sui prezzi di trasferimento o “Transfer Price”. Da queste preliminari considerazioni si comprende bene come il Transfer Price costituisca un argomento di centrale importanza strategica, commerciale e fiscale di grande interesse per tutti i gruppi multinazionali che, come noto, presenta notevoli profili di criticità nella sua concreta applicazione [3]. La normativa sostanziale di riferimento in subiecta materia è prevista dall’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917/1986, dalla prassi interna e dalle linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali [4]. Tuttavia, non esistono regole certe che disciplinano le modalità di determinazione dei prezzi di trasferimento intercompany: a titolo esemplificativo i metodi previsti dalla prassi Ocse non sono di facile applicazione, spesso mancano i soggetti comparabili che operano in settori merceologici simili al modello di business adottato dalla singola multinazionale residente in Italia, che sovente è caratterizzata da strategie commerciali proprie non assimilabili ad altri concorrenti. Di conseguenza, le imprese si muovono in un contesto economico e commerciale caratterizzato da profonda incertezza e da un ampio margine di discrezionalità nella corretta [continua ..]


3. La normativa nazionale

L’art. 110, comma 7, d.P.R. 917/1986, stabilisce che: «I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti … omissis ... se ne deriva aumento del reddito; (…)». Il comma 2 del medesimo articolo prevede che: «(…) per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese ed oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell’articolo 9 (…)». In merito, l’art. 9, comma 3, d.P.R. n. 917/1986 dispone che: «per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati e in mancanza nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere di Commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».


4. Presupposto soggettivo

Come in precedenza evidenziato l’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917/1986 prescrive che per procedere alla rettifica dei ricavi e/o dei costi che non risultano in linea con il valore normale di mercato, occorre che le cessioni e/o gli acquisti di beni sottoposti a controllo siano avvenute fra un’impresa italiana ed una società non residente nel territorio dello Stato, tra le quali esiste un rapporto di controllo, che può essere diretto o indiretto. In merito, per circoscrivere la nozione di controllo societario, si deve fare riferimento in via preliminare all’art. 2359, comma 1, c.c. Tuttavia, in ambito Transfer Price non è applicabile la semplice nozione civilistica di controllo societario ex art. 2359 c.c., in quanto lo stesso deve essere assunto in senso più ampio. Tale importante concetto, è stato confermato di recente anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8130/16, nella quale è stato affermato che il concetto di controllo deve essere esteso ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile dalle singole circostanze. In senso pressoché conforme la prassi ministeriale [6] ha escluso che, agli effetti dell’applicazione della normativa in tema di Transfer Price, il controllo esercitato sull’impresa sia riconducibile nei limiti previsti dall’art. 2359 del c.c., come di seguito schematizzato. Schema di sintesi: il controllo societario ai fini del TP


5. Presupposto oggettivo

Sono soggette alla disciplina dei prezzi di trasferimento tutte le operazioni poste in essere nell’ambito dello stesso gruppo (cessioni di beni e/o prestazioni di servizi). In particolare, sono suscettibili di rettifica i ricavi e i costi relativi a: – operazioni economiche tra imprese italiane ed imprese non residenti controllanti (quando la società italiana è figlia di un soggetto non residente); – operazioni economiche tra imprese italiane ed imprese non residenti controllate (in questo caso la società italiana è madre di un soggetto non residente); – operazioni economiche tra imprese residenti ed imprese non residenti (c.d. consorelle) tutte a loro volta riconducibili, direttamente od indirettamente, ad una comune direzione unitaria, (ovvero alla società “capogruppo” o “casa madre”). Di seguito schematizziamo i presupposti applicativi della normativa sui prezzi di trasferimento. Schema di sintesi: applicazione del Transfer Price


6. Transfer Price ed onere della prova

La Corte di Cassazione, sezione Tributaria, con la sentenza numero 6656, depositata in data 6 aprile 2016, ha chiarito che grava sull’amministrazione l’onere di dimostrare che un’operazione antieconomica realizzata mediante transazioni effettuate con una società controllata o controllante estera, sia riferibile ad un maggiore reddito imponibile. In merito il supremo giudice, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale espresso da parte del giudice di legittimità [7], ha affermato che l’onere di dimostrare che un’operazione economica realizzata all’estero, con una società controllata o controllante costituisce un maggior reddito imponibile, è posto a carico dell’Amministrazione finanziaria. Infatti, la prova dell’asserita elusione fiscale e dei suoi presupposti, grava sempre sull’Amministrazione che intende operare le conseguenti rettifiche reddituali. La sentenza in rassegna, consente dunque di affermare che spetta all’Uffi­cio finanziario dimostrare la congruità dei componenti positivi e negativi di reddito, sulla base delle tradizionali regole di determinazione dei prezzi di trasferimento. Quindi, solo in esito ad un’articolata analisi di comparabilità ed all’applica­zione del metodo più appropriato previsto dalla prassi OCSE, si potranno operare le pertinenti rettifiche in tema di Transfert Price [8].


7. Il recente arresto giurisprudenziale

La Corte di Cassazione Civile, sez. V, nella sentenza n. 7493 del 15 aprile 2016, ha sancito la rilevanza fiscale dei finanziamenti infruttiferi ai fini della disciplina prevista sul tema della corretta determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo. L’Agenzia delle entrate aveva emesso un avviso di accertamento con contestale recupero a tassazione di interessi attivi a carico di una società di capitali italiana nei rapporti economici e commerciali di natura finanziaria intercorsi con la società controllata estera (lussemburghese). Infatti, secondo la tesi dell’ufficio, i rapporti riconducibili tra i due soggetti economici si erano concretizzati nella concessione di un finanziamento produttivo di interessi, rientrante nella disciplina sui prezzi di trasferimento nonostante che la società italiana lo avesse qualificato come versamento infruttifero, in conto futuro aumento di capitale. Nello specifico, la questione su cui si è espressa la suprema Corte riguardava la corretta qualificazione delle operazioni poste in essere e, in particolare, se: «nel caso di finanziamenti erogati da un’impresa stabilita nel territorio dello Stato a società da essa controllate, non residenti nel territorio dello Stato, le componenti di reddito derivanti dall’operazione, per l’impresa che ha effettuato il finanziamento, devono essere valutate – quale che siano le condizioni pattuite dalle parti assumendo quale corrispettivo il valore normale del servizio prestato e se, conseguentemente, in presenza di versamenti di denaro tra i suddetti soggetti, il giudice di merito, il quale rilevi che tali rimesse siano comunque improduttive di interessi, nondimeno non possa considerare assorbita la questione della qualificazione dei negozi nei quali hanno titolo i versamenti medesimi (se cioè si tratti di somme date a mutuo ovvero in conto di futuri aumenti di capitali)». La Corte di Cassazione ha dapprima rilevato che la normativa sui prezzi di trasferimento non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del Transfer Pricing, ossia lo spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti. Sulla specifica materia, la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria non riguarda la maggiore [continua ..]


8. Considerazioni conclusive

Come ampiamente illustrato, la Corte di Cassazione ha previsto la rilevanza, ai fini del Transfer Price, delle operazioni di finanziamento infruttifero poste in essere tra imprese appartenenti allo stesso gruppo. Nello specifico, le argomentazioni giuridiche espresse dal giudice di legittimità consentono di affermare che l’Amministrazione finanziaria potrà valutare, nel corso di una verifica fiscale, la congruità – in linea con il valore normale di mercato – delle operazioni poste in essere potenzialmente produttive di componenti reddituali, a prescindere dall’autonomia negoziale delle parti e delle pattuizioni contrattuali stabilite dai soggetti economici interessati. Infatti, come detto, l’eventuale infruttuosità del finanziamento concordata dalle parti non esclude, di per sé, l’applicazione delle disposizioni in tema di corretta determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo. Sulla base dell’autorevole pronunzia giurisprudenziale, le imprese ad ampio respiro internazionale che erogano denaro alle imprese controllate sotto forma ad esempio di mutuo, dovranno quindi considerare l’impatto fiscale delle operazioni di finanziamento infruttifero, anche a titolo di futuro conto di au­mento di capitale, poste in essere a favore di altre società del gruppo per eventualmente favorire nuovi investimenti. In caso contrario, si potrebbe ingenerare un nuovo contenzioso tra fisco ed imprese alimentando ulteriori profili ermeneutici da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità che, tra l’altro, proprio sul tema dei finanziamenti infruttiferi rilevanti ai fini del Transfer Price non ha fornito, nel tempo, un’in­ter­pretazione costante.


Note