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Premessa - 1. I precedenti - 2. L’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari - 3. La convenzione di moratoria - 4. I limiti dell’accordo e della convenzione - 5. La relazione dell’ausiliario - 6. La disciplina penalistica - NOTE
La c.d. “Miniriforma delle procedure concorsuali” [1] ha introdotto ex novo l’art. 182-septies l.f., con il quale vengono disciplinati due nuovi istituti nel quadro della crisi, quando la stessa sia caratterizzata da “prevalente indebitamento verso intermediari finanziari” (così la rubrica dell’art. 9, d.l. n. 83/2015) [2]. I due nuovi istituti sono denominati, rispettivamente, “accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari” e “convenzione di moratoria” e prerequisito perché possano applicarsi è che ricorra una “crisi d’impresa con prevalente indebitamento verso intermediari finanziari”, per tale intendendosi quella in cui un’impresa abbia debiti verso banche e (altri) intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo. Al riguardo, occorre subito precisare che la formulazione della norma è infelice, giacché parla di “prevalente indebitamento”, configurando lo stesso “in misura non inferiore alla metà” dell’indebitamento complessivo, con un’evidente imprecisione tecnica: infatti, per poter essere qualificato “prevalente”, l’indebitamento verso intermediari finanziari dovrebbe essere maggiore della metà dell’indebitamento complessivo e non invece – come indicato dalla norma – “non inferiore” [3]. L’obiettivo della previsione – che accomuna i due istituti – è quello di impedire ai creditori finanziari, che vantano un credito di piccola entità, di rendere sostanzialmente impraticabili le operazioni di ristrutturazione concordate fra il debitore e (la maggioranza de)i creditori finanziari.
1.1. L’analisi comparatistica 1.1.1. Premessa L’idea non è nuova, ma è già stata applicata in altri ordinamenti europei, ove sono disciplinati accordi di ristrutturazione, operativi e vincolanti anche in assenza di consenso unanime da parte del ceto creditorio: in particolare, nell’ordinamento francese è prevista la “sauvegarde financière accélerée” e in quello inglese lo “scheme of arrangement”. 1.1.2. La “sauvegarde financière accélerée” La “sauvegarde financière accélerée” è applicabile al debitore – nell’ambito di una “procédure de conciliation” in corso – a condizione che il debitore medesimo: – non sia in stato di “cessation de paiements”; – sia in grado di dimostrare l’esistenza di “difficultés insurmontables”; – soddisfi i criteri richiesti per la costituzione di un “comités de créanciers”; – sia in grado di dimostrare di aver elaborato, nel corso della “conciliation”, un piano suscettibile di ottenere l’approvazione della maggioranza dei “créanciers financiers et obligataires”. Il “plan de sauvegarde” deve essere approvato da un maggioranza qualificata pari a due terzi dei crediti vantati dai membri del “comité des établissements de crédit”, che abbiano espresso il voto; con la precisazione che i crediti vantati dai “créanciers financiers ayant participé à la conciliation” sono conisderati “déclarées”. La “sauvegarde financière accélerée” ha effetti soltanto nei confronti dei creditori membri del “comité des établissements de crédit” e, all’occorrenza, degli “obligataires”. 1.1.3. Lo “scheme of arrangement” Lo “scheme of arrangement” è una procedura di tipo giudiziale prevista dal Companies Act 2006, tramite la quale una società può conferire carattere vincolante ad un accordo approvato da una maggioranza dei propri soci o creditori (o categorie particolari di soci o creditori) in una assemblea convocata ad hoc dalla [continua ..]
2.1. Considerazioni preliminari Quando la crisi assume connotati di relativa gravità, accade spesso che il debitore – anziché accedere ad una procedura concorsuale – avvii con il ceto creditorio una negoziazione volta al raggiungimento di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f. In passato, tuttavia, accadeva spesso che alcuni creditori finanziari – solitamente soggetti stranieri o piccole banche – si “sfilassero” dalle negoziazioni; con la conseguenza – nella migliore delle ipotesi – di avvantaggiarsi indebitamente del sacrificio economico delle altre banche o intermediari finanziari creditori, in virtù del pagamento integrale dei creditori estranei all’accordo, previsto dall’art. 182-bis l.f. [4]; in altri casi, compromettendo il raggiungimento dell’accordo e condannando l’impresa ad accedere a procedure concorsuali (in senso tecnico). Si parla, al proposito, di scenari di free-riding, in cui talune banche saldano integralmente le altre riottose. Lo stesso d.l. n. 83/2015 – come riferito nella relazione accompagnatoria – parte dalla constatazione che nella prassi sono frequenti «operazioni volte a tentare il salvataggio nelle quali il debitore non si interfaccia con la generalità dei creditori, ma soltanto con le banche. Successo o insuccesso di queste operazioni non sono solo decretati dalle regole del mercato e del vantaggio economico: non sono pochi i casi in cui la maggioranza (spesso la larga maggioranza) delle banche creditrici concorda con le proposte dell’impresa, ma alcune di esse, solitamente quelle che vantano crediti di importo minore, si dichiarano contrarie, impedendo così il successo dell’operazione». Il nuovo accordo (rectius, la nuova subspecie di accordo) di ristrutturazione di cui all’art. 182-septies l.f. è stato introdotto per evitare tali distorsioni, consentendo al debitore di chiedere che gli effetti dell’accordo sottoscritto con i creditori finanziari sia esteso anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria (di creditori finanziari), purché siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati, in buona fede, messi in condizione di parteciparvi; alla condizione che i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il [continua ..]
3.1. Premessa La convenzione di moratoria è un unovo istituto e, probabilmente, anche un nuovo strumento di soluzione o – meglio – prodromico alla soluzione della crisi d’impresa: essa consiste in una convenzione fra l’impresa debitrice e una o più banche o intermediari finanziari, diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari. L’opportunità della sua introduzione discende dalla constatazione che spesso accade che, nella fase prodromica alla negoziazione degli strumenti giuridici per la soluzione alternativa alla crisi d’impresa, non tutti i creditori finanziari aderiscono ad accordi di moratoria sottoscritti dalla gran parte del ceto creditorio. Lo scopo del legislatore è, quindi, quello di dare all’impresa (e ai suoi creditori) il tempo necessario per elaborare la soluzione della crisi, proteggendola dai creditori finanziari che – in disaccordo con la maggior parte degli altri – intendano aggredirla (cosiddetto standstill, ma v. infra) [19]. La convenzione di moratoria costituisce un ulteriore strumento di composizione (o, meglio, prodromico alla soluzione) della crisi d’impresa che – almeno secondo una certa lettura – si aggiunge al novero di quelli già disciplinati dalla legge fallimentare. La tesi secondo cui si tratta di uno strumento nuovo è confermata dal fatto che – come si è anticipato – la convenzione di moratoria può essere prodromica ad un altro strumento di soluzione della crisi, negoziale o giudiziale, ma non ne costituisce parte integrante, come invece accade per l’accordo di ristrutturazione con intermediri finanziari. Essa, in particolare, non integra una modalità di soddisfazione del credito, ma solo una dilazione della sua esigibilità; circostanza, quest’ultima, che di per sé può rientrare nel più ampio concetto di ristrutturazione del debito (in senso atecnico), ma che non impedisce – anche se sembra presupporre – il ricorso a procedure concorsuali vere e proprie in una fase successiva. Come è stato osservato, la convenzione di moratoria ha natura ordinariamente extraprocessuale, non essendo previsto un necessario intervento omologatorio del tribunale: per contro, è [continua ..]
Come disciplinato dal comma 7: «In nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di cui ai commi precedenti, ai creditori non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Agli effetti del presente articolo non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati». La disposizione sottolinea la una matrice contrattuale dei due nuovi istituti: infatti, sebbene questi prevedano la possibilità di un’estensione degli accordi anche agli intermediari finanziari non aderenti, l’estensione non può spingersi al punto di obbligare i non aderenti ad eseguire prestazioni o a subire l’incremento della propria esposizione, anche in conseguenza dell’utilizzo di affidamenti già concessi. In particolare, come riferito nella relazione di accompagnamento al decreto legge, la maggioranza degli intermediari finanziari può imporre ai non aderenti solo la ristrutturazione del debito esistente e cioè riscadenzamenti, modifiche ai tassi di interesse o riduzioni. Se dunque l’accordo prevede sia una manovra sul debito (dilazioni, rinunzie, conversioni di crediti in capitale) sia nuova finanza, i creditori finanziari non aderenti sono vincolati solo per la prima, mentre non possono essere obbligati a versare nuovo capitale né a mantenere aperte linee di credito esistenti [23]. Quindi, ove – nell’ambito degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari – sia prevista l’erogazione di nuova finanza, le relative previsioni non potranno in alcun caso estendersi ai creditori non aderenti. Parziale eccezione (ma coerente con la natura del contratto) è quella del leasing, del quale possono essere imposti il mantenimento o la rimodulazione: in particolare, non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati.
L’art. 182-septies l.f. si chiude con la previsione secondo cui «La relazione dell’ausiliario è trasmessa a norma dell’articolo 161, quinto comma». Il riferimento è al comma 4, ove si prevede che «Il tribunale procede all’omologazione previo accertamento (avvalendosi ove occorra di un ausiliario) che le trattative si siano svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo: a) abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti; b) abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative; c) possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili». Come previsto dalla norma in oggetto, la relazione dell’ausiliaro deve essere trasmessa al pubblico ministero; per contro, pare non debba essere pubblicata nel registro delle imprese, a cura del cancelliere, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria (art. 161, comma 5, l.f.). Pare opportuno rammentare che la verifica dell’ausiliario sopperisce quella (specifica) del professionista, contemplata soltanto nella convenzione di moratoria.
L’applicazione pratica di questi strumenti potrebbe essere compromessa dalla potenziale responsabilità penale per bancarotta alla quale è esposto l’imprenditore che se ne avvale, dato che eventuali fattispecie divengono punibili come per il fallimento o il concordato: viene, infatti, modificato l’art. 236 l.f. per estendere la disciplina sanzionatoria ivi prevista (per il concordato preventivo e l’amministrazione controllata) alle ipotesi di illecito riferite ai nuovi istituti di ristrutturazione del debito con intermediari finanziari e convenzione di moratoria. In particolare, integrando il primo comma dell’art. 236 l.f. viene previsto che l’imprenditore, il quale – per ottenere l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione o il consenso degli intermediari finanziari alla convenzione di moratoria – si sia attribuito attività inesistenti o abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. Ci si potrebbe interrogare sul motivo per cui l’estensione sia stata circoscritta all’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (e alla convenzione di moratoria). Al proposito è stato osservato: «La ragione va ravvisata, a mio giudizio, nella circostanza che solo nella disciplina dei due nuovi istituti è stata prevista l’estensione dei relativi effetti in capo ai terzi non aderenti, con un conseguente aumento della loro potenzialità offensiva, e conseguente equiparabilità, sotto questo aspetto, al concordato preventivo, che produce effetti verso tutti i creditori anteriori anche se non consenzienti e se siano rimasti assenti nella procedura. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., invece, non prevedono – nella forma base o comune – tale estensione, se non limitatamente ad un modesto slittamento dei termini di pagamento scaduti o a scadere» [24]. Inoltre, un comma aggiuntivo allo stesso art. 236 l.f. estende ai due istituti la disciplina sanzionatoria prevista dalle seguenti disposizioni: – art. 223 l.f. (bancarotta fraudolenta), nelle ipotesi di distrazione, occultamento, distruzione o dissipazione (anche parziale) di beni ovvero di esposizione di passività inesistenti; nonché per la falsificazione, la distrazione o la distruzione di libri contabili, per ostacolare la ricostruzione del [continua ..]