Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La tutela penalistica della proprietà intellettuale (di Maurizio Riverditi)


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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La disciplina penale della proprietà intellettuale: un inquadramento - 3. Le (principali) disposizioni di riferimento - 4. Il diritto penale della “proprietà industriale”: a) la tutela dell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi registrati - 5. La tutela penale del diritto d’autore. Cenni - 6. La responsabilità da reato degli enti ex d.lgs. 231/2001 - 7. Conclusioni


1. Premessa

La materia degli intangible è certamente ampia e ricca di spunti d’indagine e riflessione, che precedono – di gran lunga – quelli lambiti dal diritto e, in particolar modo, dal diritto penale. Quest’ultimo s’interessa della proprietà intellettuale sotto vari punti di vista ed in circostanze assai differenti: essendo un “bene della vita”, ogni volta che l’agire dell’uomo – soprattutto, ma non solo, in ambito economico – interessa ed interagisce con gli intangible, questi ultimi si pongono al centro dei riflettori del diritto penale, ricevendone tutela nei limiti in cui tale azione è contemplata da una fattispecie incriminatrice. Così impostato, peraltro, il tema affidatomi diverrebbe talmente ampio da risultare “ingestibile” e, probabilmente, di scarso rilievo pratico. Per tal motivo, la prospettiva in cui mi collocherò per affrontarlo è focalizzata sulla disciplina della tutela della proprietà intellettuale in sé e per sé considerata, onde farne emergere il volto poliedrico e parzialmente autonomo rispetto alla sottostante disciplina civilistico-amministrativa.


2. La disciplina penale della proprietà intellettuale: un inquadramento

La disciplina penalistica della proprietà intellettuale, come sovente accade, ha natura “ambivalente”: per un verso, ha portata essenzialmente sanzionatoria rispetto a quella civilistico-amministrativa di riferimento; dall’altro, se ne discosta, sia sul versante della definizione dei beni giuridici tutelati, sia, conseguentemente, su quello della selezione dei fatti giudicati meritevoli di incriminazione. Dal primo angolo visuale, che è quello che maggiormente caratterizza la materia in esame, collocandola a pieno titolo nell’ambito della disciplina degli intangible, l’esame delle disposizioni penalistiche pone immediatamente in evidenza come le stesse, indipendentemente dalla collocazione sistematica (su cui infra), siano costruite mediante la tecnica del rinvio alle nozioni ed agli istituti disciplinati dalla normativa di settore, che il legislatore penale richiama e traspone nelle disposizioni incriminatrici, di cui divengono, ad ogni effetto, parte integrante. In questo senso, la normazione penale ha natura sanzionatoria e di “secondo livello” rispetto alla sottostante disciplina definitoria (e “sostanziale”) degli istituti dalla stessa richiamati. Dal secondo punto di vista, questa impostazione non ha impedito all’ela­borazione dottrinale e giurisprudenziale di cimentarsi nell’individua­zione (parzialmente) autonoma dei beni giuridici tutelati dalle singole ipotesi criminose, nell’ambito delle quali gli intangiblenon rappresentano (quantomeno non necessariamente e non in via assoluta) lo scopo ultimo dell’inter­vento penale, bensì lo strumento per mezzo del quale si tutelano oggettività giuridiche (anche) differenti, in un quadro di plurioffensività dei comporta­menti sanzionati. Questa prospettiva, del resto, è stata adottata anche dal legislatore, che, come vedremo, non si è limitato a costruire reati a contenuto meramente san­zionatorio rispetto alle scelte di tutela (già) compiute dalle disposizioni “sostanziali” di riferimento, ma ha allargato gli orizzonti del proprio intervento a fatti che, pur risultando (direttamente o indirettamente) lesivi del macro-interesse della proprietà intellettuale, concentrano il focus punitivo su obbiettivi con quest’ultima solo in parte coincidenti (ne è un classico esempio, l’art. 517 [continua ..]


3. Le (principali) disposizioni di riferimento

Il quadro normativo di riferimento può convenzionalmente distinguersi in ragione della tradizionale partizione di cui si compone la categoria della proprietà intellettuale: proprietà industriale e diritto d’autore (copyright). Questa distinzione, sul piano definitorio ed operativo, è stata portata a compimento dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, che ha espunto dall’art. 473 c.p. (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni) ogni riferimento alle opere dell’ingegno (tutt’ora prese in considerazione, invece, dall’art. 517 c.p.), la cui protezione è oggi prevalentemente affidata agli artt. 171-174-quinquies della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio). La c.d. proprietà industriale trova tutela nel Codice penale, in parte tra i c.d. delitti di falso, al già citato art. 473 ed agli artt. 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), 474-bis (Confisca), 474-ter (Circostanza aggravante), 475 (Pena accessoria); ed in parte tra i delitti contro l’economia pubblica, agli artt. 517 (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci), 517-bis (Circostanza aggravante), 517-ter (Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale). Un posto a sé è occupato dall’art. 4 della legge 19 aprile 1925, n. 475 (Repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche), che, punendo il c.d. plagio, mira a reprimere l’utilizzo dell’opera dell’ingegno altrui in vista del conseguimento di titoli ed abilitazioni.


4. Il diritto penale della “proprietà industriale”: a) la tutela dell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi registrati

Tra i delitti posti a presidio della c.d. proprietà industriale, spiccano, anzitutto, gli artt. 473 e 474 c.p., collocati, pur dopo la riforma apportata con la legge 23 luglio 2009, n. 99, nel titolo del Codice dedicato ai delitti di falso, il che ha sollevato non poche discussioni circa la loro effettiva oggettività giuridica. Secondo un’impostazione tradizionale, i delitti di falso ledono, essenzialmente, la fede pubblica, intesa come affidamento riposto dai consociati nella genuinità di determinati segni o documenti funzionali al corretto svolgimento del traffico giuridico loro tramite assicurato. Nello specifico, questa tutela si declinerebbe nella fiducia dei consumatori nei mezzi simbolici di pubblico riconoscimento, che, come il marchio, contraddistinguono i prodotti industriali. Di talché, il bene giuridico tutelato viene in tal modo individuato nell’inte­res­se collettivo dei consumatori alla distinzione della fonte di provenienza dei prodotti posti sul mercato. Conseguenza immediata, sul piano operativo, di questa impostazione esegetica, è, anzitutto, l’individuazione della persona offesa dal reato nel pubblico dei consumatori (e nelle relative associazioni esponenziali di categoria) lesi dai fatti di falsificazione in esame, con conseguente esclusione dei titolari dei diritti di proprietà industriale contraffatti o alterati. Né, del resto, si può dubitare dell’importanza pratica di questo profilo d’indagine, posto che, ad esempio, solo alla persona offesa dal reato spettano determinati diritti e prerogative, fra cui, in primis, quello di ricevere notizia della richiesta di archiviazione del procedimento e di proporre opposizione alla stessa. Sulla base degli stessi presupposti, inoltre, si nega la disponibilità dell’inte­resse protetto dalla fattispecie e conseguentemente si afferma che «in presenza di una contraffazione, i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio» (Cass. pen., Sez. II, 27 aprile 2012, n. 28423). Diversa soluzione è proposta da chi (in posizione minoritaria) ipotizza che i beni protetti sarebbero i soli diritti di esclusiva del titolare della privativa industriale. In quest’ottica, ad esempio, il falso grossolano, pur se inidoneo a trarre in inganno i consumatori, [continua ..]


5. La tutela penale del diritto d’autore. Cenni

Senza poter entrare nel merito di un tema vasto e complesso qual è quello della disciplina accordata alla tutela del diritto d’autore dagli artt. 171-174 della legge 22 aprile 1941, n. 633, tenterò di porne in evidenza solo alcuni aspetti peculiari, utili al fine di tratteggiarne le specificità nel quadro della tutela degli intangible. Notoriamente, nell’alveo della legge n. 633/1941 convivono due “settori” significativamente differenti: quello delle opere dell’ingegno definibili, in senso lato, espressioni di cultura (musica, letteratura, teatro, arti figurative, cinematografia, architettura) e quello delle c.d. banche dati e dei software. Si tratta, come è evidente, di ambiti che ben poco hanno in comune, se non il “mero” fatto di essere frutto dell’ingegno dell’uomo. Proprio a motivo di questa differenza, la disciplina in esame abbraccia situazioni ed oggetti inter se distinti: dal diritto morale ai diritti patrimoniali dell’autore, dalle monopolistiche (e più disparate) funzioni della Siae a quegli oggetti (im)materiali di autotutela che sono i meccanismi tecnologici di protezione (MTP). Una caratteristica di immediata percezione nell’analisi delle diverse ipotesi di reato contemplate dalla legge n. 633/1971 è la diversa modulazione dell’elemento soggettivo. In estrema sintesi e non senza qualche evidente approssimazione dovuta alle presenti finalità espositive, si rileva come a fianco della punibilità delle condotte di indebito sfruttamento (lato sensu intese) del­l’opera dell’ingegno altrui (non altrimenti qualificata e, quindi, collocata in posizione residuale rispetto alle altre ipotesi) realizzate «a qualsiasi scopo» (art. 171), si collocano le condotte di indebito sfruttamento del software e delle banche dati punite se ed in quanto l’autore persegua un «fine di profitto» (art. 171-bis); le condotte di abusivo sfruttamento (lato sensu intese), per uso non personale ed a fini di lucro, delle opere dell’ingegno di carattere musicale, cinematografico, audiovisivo, letterario, scientifico e multimediale e le condotte volte all’inserimento sul mercato di tali prodotti (art. 171-ter lett. a-c), nonché le condotte, poste in essere, con i medesimi fini e sulle medesime opere dell’ingegno in [continua ..]


6. La responsabilità da reato degli enti ex d.lgs. 231/2001

La tutela degli interessi protetti dai delitti sin qui considerati è affidata anche alla disciplina della responsabilità da reato degli enti. In particolare, l’art. 25-bis, lett. f-bis del decreto prevede che in caso di condanna per i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. sia applicabile all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote, ed il secondo comma del medesimo articolo prevede altresì la possibilità di applicazione delle sanzioni interdittive per una durata non superiore ad un anno. Analoga risposta sanzionatoria è accordata dall’art. 25-bis.1 del decreto (tra l’altro) per i delitti di cui agli artt. 517 e 517-ter c.p. e dall’art. 25-novies per i delitti di cui agli artt. 171, primo comma, lett. a-bis, e terzo comma, 171-ter, 171-septies e 171-octies della legge n. 633/1941.


7. Conclusioni