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1. Definizione – Cenni introduttivi - 2. Elementi della rettifica unilaterale - 3. Ambito di applicazione - 4. I dati non rettificabili - 5. Conseguenze sanzionatorie - 6. Effetti della rettifica - Breve chiosa finale, in tema di rettifica di atti di società di capitali destinati all'iscrizione nel registro delle imprese - Note
La rettifica unilaterale per atto notarile è disciplinata dall’articolo 59/bis della legge notarile, secondo il quale “il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini del l’esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in un atto pubblico da lui formato”. La norma è stata introdotta dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 110, a sua volta emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 65 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile). L’elencazione puntuale delle fonti è necessaria perché ci fornisce le coordinate con cui procedere all’interpretazione dell’istituto. Da un lato, appare evidente che la rettifica si pone nell’alveo di un processo di semplificazione che il legislatore ha voluto estendere al procedimento di correzione degli atti notarili. Di qui il favor con cui va guardata la possibilità di applicare la norma. D’altro canto, dalla semplice lettura dell’articolo, si evince che l’atto in questione viene formato in assenza delle parti private; con tutte le ovvie cautele che questo comporta per evitare che il notaio, da solo, possa determinarne il contenuto essenziale.
L’esigenza di correggere atti notarili non nasce certo con l’art. 59-bis l.n. Già in precedenza i notai utilizzavano il negozio di rettifica nel quale intervenivano tutte le parti dell’atto originario, o alcune di esse, per rinnovare, stavolta in forma corretta, la propria volontà [1]. Il negozio di rettifica continua ad essere applicabile; ma la prassi ha dimostrato che non è privo di inconvenienti. Si pensi alla difficoltà, quando non all’impossibilità di reperire le parti in caso di errore scoperto dopo molto tempo; si pensi ancora all’ipotesi che tra le parti sia insorta litigiosità, e così via. Opportunamente dunque, il legislatore ha affiancato al rimedio tradizionale un nuovo istituto caratterizzato da maggiore scioltezza ed agilità, visto che non prevede l’intervento delle parti private in atto. Questo però dà luogo a problemi interpretativi in ordine alla natura della rettifica nonché alla sua sfera di applicabilità. Come detto, il presupposto è duplice, e risiede nel fatto che l’errore sia “materiale” e relativo a dati preesistenti all’atto da correggere. Esaminiamo questi due elementi. La dottrina è concorde nel ritenere che l’errore materiale, e quindi rettificabile, sia un vizio di scarso rilievo, tale cioè da escludere ogni interferenza con il processo di formazione della volontà delle parti e riguardante invece la sua sola estrinsecazione [2]. L’impossibilità di utilizzare la rettifica per correggere vizi della volontà è diretta conseguenza della peculiare caratteristica dell’istituto: di essere un atto senza parti [3]. Non essendovi parti private, è conseguentemente esclusa ogni indagine sulla volontà, che è prescritta dall’art. 47 l.n. per gli atti in cui intervengono soggetti privati. In altri termini: ogni qual volta per correggere un atto precedente, il notaio deve far ricorso alla funzione di adeguamento, gli è preclusa la strada della rettifica ex art. 59-bis l.n.. Oltre che materiale, il dato da correggere deve essere preesistente alla redazione dell’atto errato. Questo carattere sottolinea ulteriormente l’assenza di ogni aspetto discrezionale nel rogito di rettifica. Si tratta semplicemente di accertare l’esistenza di elementi [continua ..]
Abbiamo visto che le caratteristiche dell’errore limitano l’ambito di applicazione dell’art. 59-bis l.n. ad aspetti secondari del rogito. Ciò non vuol dire necessariamente che gli atti di rettifica saranno poco numerosi nella pratica; ma soltanto che prescindono da ogni tipo di accertamento e valutazione della volontà delle parti. L’attività meramente oggettivo-ricognitiva cui il notaio deve limitarsi, giustifica, tra l’altro, la liceità di una rettifica di un atto provenente da un altro notaio. Per lo stesso motivo, come vedremo, è lecita la rettifica notarile di atti pubblici amministrativi redatti da pubblici ufficiali [5]. Quanto ai dati concretamente rettificabili, la dottrina presenta un sostanziale accordo di vedute. Ciò è dovuto da un lato ai rigidi paletti normativi che poco spazio lasciano alla discrezionalità; e dall’altro, all’applicazione in certo qual senso analogica delle regole stabilite per la correzione di atti giudiziari ed amministrativi [6]. Non bisogna però confondere un procedimento interpretativo con cui si ricostruisce l’istituto in discorso, con il suo ambito di applicazione. La rettifica notarile non si applica, infatti, agli atti giudiziari (stante l’esplicita riserva posta dagli artt. 287 ss. c.p.c.), né ai provvedimenti amministrativi, che possono essere rettificati soltanto dell’autorità che li ha emanati. Ciò posto, esaminiamo i singoli aspetti di un atto notarile che sono rettificabili. Dati catastali Statisticamente si tratta di uno degli errori più corretti; e, in effetti, il dato catastale presenta le caratteristiche tipiche di un elemento accessorio e preesistente che possono renderlo oggetto di un atto di rettifica. Si tratta infatti di un elemento già inscritto in pubblici registri nel momento in cui viene confezionato l’atto destinato a contenerlo: rispetta dunque il requisito dell’anteriorità richiesto dall’art. 59-bis. Inoltre, l’indicazione del dato catastale è estraneo al processo formativo della volontà, risolvendosi in un rimando ad un elemento esterno e, si ripete, già formato al momento della stipula. È quindi un dato materiale nel senso già chiarito [7]. Ed infatti, le parti ricorrono ai dati catastali in funzione accessoria e confermativa rispetto [continua ..]
Va ribadito, per individuare un principio valido in ogni possibile caso, che il confine entro cui è possibile la rettifica unilaterale è dato dal sostanziarsi dell’azione del notaio in una mera azione di accertamento di dati precedenti alla redazione dell’atto e non implicanti in sede di correzione, un accertamento della volontà dei soggetti privati. Tra le parti dell’atto sottratte alla rettifica unilaterale, va annoverato sicuramente l’oggetto, nelle varie forme e contenuti che può assumere in base alla volontà di volta in volta manifestata. È evidente infatti che il regolamento pattizio non può essere disciplinato dal notaio, che, altrimenti, assumerebbe la qualifica di parte. Passando all’esame di casi pratici, la decisione della Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina (d’ora in poiCOREDI) della Toscana del 27 novembre 2014, ha giudicato non lecito, perché ricevuto al di fuori della competenza attribuita dall’art. 59/bis, un atto di rettifica unilaterale in cui il notaio ha dichiarato che oggetto di una precedente compravendita doveva essere non la quota di 1/12, ma quella di 6/12 di proprietà. Ha osservato la Commissione che “l’errore cosiddetto materiale oggetto della rettifica di cui all’art. 59/bis della legge notarile può considerarsi tale solo quando nell’atto sia ravvisabile con assoluta certezza la volontà del suo autore, cosicché l’integrazione può considerarsi una operazione puramente meccanica e quindi tale da escludere qualsiasi attività interpretativa da parte del notaio (in tal senso Carlino, Rettifica di errori materiali negli atti notarili, in Gazzetta Notarile, 2011, n. 1/3, 32)”. Mentre l’ammontare della quota compravenduta non può essere determinata in base a dati oggettivi e preesistenti, bensì soltanto con un’attività valutativa della volontà delle parti. Ancora più evidente l’impossibilità di rettifica notarile allorquando nell’atto che viene corretto siano stati venduti dei beni che i privati non intendevano trasferire. Di un’ipotesi del genere si è occupata COREDI Toscana del 7 maggio 2015 cui è stato sottoposto il caso di una rettifica di un precedente atto in cui le parti, intervenute [continua ..]
Si è visto sopra che la rettifica non è idonea a modificare l’efficacia sostanziale dell’atto, ma soltanto ad eliminarne dei difetti sul piano materiale [17], e che se usata al di fuori dei limiti previsti dal legislatore (ad esempio, per “correggere” cause di nullità), essa è improduttiva di effetti. Ma un atto rogato senza rispettare la competenza prevista dalla legge, pone altresì il problema della responsabilità disciplinare del pubblico ufficiale. La dottrina, già in sede di prima analisi della norma, ha prospettato una violazione dell’art. 28 l.n.; in quanto un atto rogato al di fuori delle proprie attribuzioni, è senz’altro da considerare non consentito dalla legge (Petrelli). Alla stessa conclusione giunge anche Carlino [18], prendendo spunto dalla giurisprudenza formatasi in tema di verbali di constatazione e precostituzione di prove testimoniali da parte del notaio [19]. In accordo, la maggioranza delle decisioni prese dalla giurisprudenza amministrativa delle COREDI [20]. Condividiamo quest’opinione, espressa con particolare efficacia da COREDI Toscana del 7 maggio 2015: “... anche a considerare il solo significato logico dell’espressione il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, ne discende che il notaio che infranga detto limite (e dunque, in negativo, il notaio che rettifichi atto che non contenga errori materiali), compia un atto proibito dalla legge e, in quanto tale, sussumibile nella fattispecie prevista dall’art. 28 n. 1 della legge notarile”. Per completezza, diamo conto anche dell’opinione, minoritaria, che nega l’applicabilità dell’art. 28 l.n. al caso di specie [21]. Al riguardo si è sostenuto che presupposto dell’art. 28 è la nullità assoluta dell’atto, mentre la rettifica, se rogata non rispettando i limiti di legge, sarebbe soltanto inefficace. Anche nell’ambito della magistratura togata non si registra unanimità di vedute. Da un lato infatti, una Corte d’Appello [22] ha respinto la doglianza contro una condanna inflitta dalla COREDI per violazione dell’art. 59-bis e conseguente [continua ..]
L’art. 59-bis prevede in capo al notaio, l’obbligo della pubblicità. È sorta questione se sia sufficiente l’annotazione della rettifica, o se invece occorra trascrivere anche l’atto di rettifica con una nota a se stante. La questione è legata all’esigenza di tutelare i diritti dei terzi, espressamente fatti salvi dall’art. 59-bis in commento. Parte della dottrina argomenta dalla mancanza di effetti innovativi sostanziali, la non necessità di un’apposita nota di trascrizione. La prassi, a quanto ci consta, è di segno contrario, e suffragata da convincente dottrina notarile. Ed infatti, è stato giustamente osservato [24] che la nota di trascrizione della rettifica si pone come formalità autonoma, benché collegata all’atto che viene corretto. Ora, la nota spiega i suoi effetti dal momento in cui viene trascritta. Quindi, in base alla regola della priorità delle trascrizioni, la rettifica non sarebbe opponibile ad un atto precedentemente trascritto; con il che i diritti dei terzi, sempre se hanno trascritto anteriormente, sono fatti salvi, come l’art. 59-bis richiede. La trascrizione della rettifica, dunque, rende opponibile ai terzi l’effettivo contenuto negoziale (Petrelli), ma non può retroagire; perciò i diritti dei terzi in buona fede che hanno trascritto medio tempore sono tutelati. Se invece si sostiene che, mancando la rettifica di contenuto innovativo, è sufficiente la sola annotazione, questo “non farebbe altro che segnalare che l’atto rettificato è stato fin, dall’origine, inserito nei registri immobiliari secondo il contenuto risultante dall’attività rettificativa.” (Leo). In conseguenza, la rettifica verrebbe ad assumere valore retroattivo, prevalendo anche sulle trascrizioni di terzi, successive all’atto rettificato. Soluzione questa in contrasto sia con il principio generale che affida la tutela dei terzi alla priorità delle trascrizioni, che con l’esplicito richiamo fatto dall’art. 59-bis l.n.
Maurizio Cavanna Elementi di flessibilità nelle tecniche di documentazione giuridica, come quelli che esprime l’art. 59-bis l.n. (introdotto dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 110) meritano di essere riconsiderati allorché ad essere formalizzate in un atto notarile siano vicende inerenti lo svolgimento dell’attività di impresa. Questo ambito normativo infatti si rivela essere interessante banco di prova per tale strumento di facilitazione nella redazione dei documenti, per ragioni diverse. È quasi doveroso partire dalla considerazione delle norme dettate in tema di invalidità degli atti costitutivi e delle deliberazioni delle società di capitali, che appaiono tutte improntate al perseguimento del comune obiettivo di stabilizzare nella massima misura possibile gli effetti dei medesimi atti e deliberazioni. La sanatoria ex lege del vizio dell’atto costitutivo di società di capitali una volta che lo stesso sia iscritto presso il registro delle imprese (e sempre al netto dei casi di irregolarità più gravi, che eccezionalmente comportano la nullità dell’atto costitutivo medesimo, cui altrettanto eccezionalmente consegue la messa in liquidazione della società), ovvero le regole che prevedono ulteriori casi di eccezionale sanatoria delle deliberazioni assembleari (si pensi ad esempio a talune specie descritte nell’art. 2479-ter c.c.), rendono manifesta l’intenzione del legislatore di escludere la rilevanza di taluni vizi meno significativi del processo di documentazione. Per essi pertanto non si pone la necessità di procedere ad alcuna rettifica, essendo ex lege inidonei a produrre alcun difetto dell’atto. Nulla invero sembra possa impedire di introdurre una rettifica dell’atto medesimo, che, ove ne sussistano i presupposti, potrà essere inserita unilateralmente dal notaio ai sensi del citato art. 59-bis l.n. Lo stesso si può forse argomentare con riguardo al caso di altri errori nella documentazione giuridica delle vicende assembleari, che siano pur sempre qualificati come privi di valenza giuridica da legge. È ad esempio il caso dell’errore del conteggio dei voti che si riveli non decisivo ai fini dell’assunzione della deliberazione collegiale: laddove la stessa deliberazione deve intendersi pur sempre validamente assunta anche se, in ipotesi, la [continua ..]