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1. Introduzione - 2. Il fondo patrimoniale - 3. I vincoli di destinazione (di cui all'art. 2645-ter c.c.) - 4. I trusts: aspetti di fiscalità diretta e indiretta - 5. Un caso particolare: la trasformazione eterogenea del trust - 6. Le polizze vita - Note
I profili tributari riguardanti i differenti strumenti concessi dal legislatore per la tutela del patrimonio rappresentano un argomento estremamente eterogeneo e ancora caratterizzato da diversi aspetti critici. La varietà del tema è la diretta conseguenza dell’ampio panorama che contraddistingue i modi in cui è possibile ottenere la tutela del patrimonio, attraverso strumenti molto differenti tra di loro e che sono forieri di diverse implicazioni sia dal punto di vista dell’imposizione diretta sia dal punto di vista dell’imposizione indiretta. Inoltre, soprattutto in riferimento al trust o ai trusts, come più precisamente identificati dalla dottrina più attenta, il dibattito giurisprudenziale e dottrinale risulta tutt’altro che pacifico e consolidato. Sarà, infatti, proprio l’analisi dei profili tributari connessi alle varie tipologie di trust ad avere più spazio nel presente contributo. L’ampiezza del tema imporrà quindi un’analisi necessariamente riassuntiva e distinta strumento per strumento. Oltre agli aspetti riguardanti l’IRPEF e l’IRES, ci si soffermerà sull’imposta sulle successioni e donazioni e in parte sull’imposta di registro. Il presente contributo non tratterà invece la legittimità dal punto di vista civilistico e penale dei singoli strumenti, così come la loro efficacia non verrà valutata in modo critico. Saranno perciò oggetto di approfondimento unicamente i profili tributari specifici di ciascuno strumento nonché alcune fasi della “vita” degli stessi.
Il fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167 ss. c.c., sotto il profilo tributario deve essere affrontato prioritariamente dal punto di vista dell’imposizione diretta e, in seconda battuta, dal punto di vista dell’imposizione indiretta. Pur non mancando alcuni casi complessi che possono generare una qualche incertezza, lo strumento in analisi rappresenta quello maggiormente consolidato dal punto di vista dell’imposizione fiscale. Il Testo Unico delle imposte sui redditi ha infatti espressamente previsto all’art. 4, comma 1, lett. b) che i redditi dei beni appartenenti al fondo siano imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei due coniugi, titolari del diritto di fruirne e di disporne. I redditi rilevanti ai fini IRPEF, si possono generare, ad esempio, nel caso di locazioni attive derivanti da immobili, dall’affitto attivo di beni mobili registrati o ancora da dividendi o da plusvalenze scaturiti da partecipazioni in società di capitali [1]. Tuttavia, qualche perplessità rispetto al dettato letterale della norma vi può essere nel caso in cui, conformemente al dettato dell’art. 168, comma 1, c.c., i coniugi decidano di non attribuire a entrambi la proprietà dei beni costituenti il fondo attraverso diversa pattuizione nell’atto di costituzione del fondo stesso. A parere di chi scrive, come peraltro osservato da autorevole dottrina [2], una lettura orientata al principio costituzionale di capacità contributiva dovrebbe privilegiare le differenze in termini di riserva di proprietà o meno che i coniugi o il terzo hanno deciso di imprimere al fondo ed ai suoi beni. Non deve però essere tralasciato il dettato del secondo periodo dell’art. 4, comma 1, lett. b) il quale, invece, prevede espressamente che, qualora si verifichi la cessazione del fondo patrimoniale, ex art. 171 c.c., in presenza di figli minori, i redditi dei beni che rimangono destinati al fondo siano da imputarsi per intero al coniuge superstite o al coniuge cui sia stata esclusivamente attribuita l’amministrazione del fondo medesimo [3]. Dal punto di vista dell’imposizione indiretta, invece, le problematiche risultano più facilmente distinguibili a seconda dei casi e riguardano l’imposta di registro, l’imposta di donazione o successione, l’imposta ipotecaria e catastale. È [continua ..]
L’art. 2645-ter non brilla certo per chiarezza e coerenza in virtù dell’inserimento nella parte codicistica dedicata alla trascrizione immobiliare. Tale atipica posizione normativa ha persino sollevato dubbi in merito alla propria natura di disciplina sostanziale o meno. La collocazione nelle norme in materia di trascrizione avrebbe anche potuto riguardare gli effetti di alcuni atti ma non gli atti stessi. Tuttavia, la prevalente dottrina ritiene che l’articolo in questione abbia natura sostanziale e anzi che la liceità del vincolo di destinazione non sia soltanto da ritenersi soddisfatta secondo le previsioni dell’art. 1322 c.c., bensì attraverso un interesse meritevole di tutela più forte rispetto al generale interesse di tutela dei creditori. Si fa quindi riferimento a un interesse “ultra meritevole” [4]quale ad esempio il mantenimento della prole, la tutela dei soggetti disabili, la tutela di esigenze familiari in senso proprio e improprio, finalità liberali verso soggetti deboli, pubbliche amministrazioni o ancora forme di previdenza e assistenza. Questa breve introduzione è finalizzata a sottolineare il fatto che con l’espressione “vincolo di destinazione” in realtà si intende un insieme di previsioni giuridiche molto eterogeneo e diversamente configurabile. Tali previsioni possono essere più o meno articolate e includere una ben chiara realizzazione di un fine attraverso un programma di destinazione, oppure possono non comportare alcun effetto di alienazione, ma semplicemente una limitazione all’utilizzo dei beni. Né tantomeno la destinazione, o meglio l’apposizione del vincolo, devono per forza essere a titolo gratuito. Pertanto, per non trattare in modo meramente casistico l’argomento è opportuno rifarsi a considerazioni generali e a principi che torneranno utili, di volta in volta, all’interprete che dovrà decidere quale tassazione diretta applicare e, non ultimo, quale imposizione indiretta considerare corretta. Sul fronte dell’imposizione diretta, a differenza di quanto è accaduto per il fondo patrimoniale, il legislatore non ha inserito uno specifico articolo per disciplinare la tassazione dei vincoli di destinazione. La diretta conseguenza di tale fatto è che ci si dovrà rifare alle norme generali quali l’art. 1 del TUIR per [continua ..]
Nel nostro ordinamento, sul fronte dell’imposizione diretta, il trust, o meglio i trusts [6], godono di una disciplina tributaria organica da circa una decina d’anni. Fu la legge 27 dicembre 2006, n. 297, attraverso una modifica dell’art. 73 del TUIR, a citare per la prima volta il trust in una norma fiscale italiana. L’intervento sistematico del legislatore fu certo una novità da accogliere con favore, a differenza di quanto avvenuto invece in ambito di imposizione indiretta, pur tuttavia richiedendo un certo periodo di interpretazione, non sempre semplice, delle norme introdotte. Il nostro Legislatore tributario, con una scelta non scontata, identificò il trust quale soggetto passivo d’imposta, considerandolo dotato di una capacità tributaria autonoma. Pur tuttavia, l’impianto normativo non rinunciò a operare alcune importanti distinzioni connaturate alle diverse tipologie logiche che l’istituto può assumere. Rientrando in prima istanza tra i soggetti passivi IRES all’interno dell’art. 73 del TUIR, il trust è stato inserito sia al comma b), sia al comma c) che al comma d) dell’articolo in questione. Pertanto, il trust può essere soggetto passivo IRES sia nel caso in cui abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, sia nel caso in cui non abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. Da questa identificazione positiva deriva che un trust di scopo, liberale, di garanzia, discrezionale, con beneficiari di reddito e/o di capitale individuati o meno realizzi comunque il presupposto impositivo anche se, a seconda della tipologia di trust o dello svolgimento di attività commerciale o non commerciale, i risvolti tributari conseguenti saranno assolutamente rilevanti. La qualificazione circa la commercialità o meno di un trust sarà poi ancora rilevante per applicare i criteri positivi propri della disciplina del reddito d’impresa oppure tipici delle diverse categorie reddituali previste per gli enti non commerciali residenti. Entrando più nel dettaglio dei meccanismi impositivi, la circostanza più rilevante per la qualificazione del trust è rappresentata dall’individuazione o meno dei beneficiari di reddito. [continua ..]
La possibilità per una società di capitali, nella fattispecie una S.r.l., di trasformarsi in un trust è cosa tutt’altro che consolidata, pacifica e lineare [10]. Pur nella specificità del tema, l’analisi di questa particolare fattispecie può presentare profili di interessante riflessione dal punto di vista tributario, anche perché potrebbe acquisire una certa rilevanza pratica in tutte quelle situazioni in cui una società di capitali abbia terminato la propria iniziale attività d’impresa e sia di fatto intestataria di beni immobili o mobili, anche sotto forma di strumenti finanziari. In tal caso il patrimonio sociale è finalizzato a mantenere il proprio valore nel tempo o ad ottenere un rendimento ragionevole, pur nel principale obiettivo di conservazione del patrimonio. Di grande interesse sotto il profilo tributario, è la recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma 26 gennaio 2017, n. 1836, che si occupa proprio di una trasformazione di una Srl in un trust. La Sentenza si esprime sul tema dell’imposta di donazione in contrapposizione alla teoria dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui l’imposta sarebbe applicabile subito in quanto connessa al vincolo di destinazione che si origina con la costituzione di, o meglio la trasformazione in, un trust. Secondo la CTP in questione la trasformazione in trust: “integra una trasformazione eterogenea, in cui la modifica soggettiva della titolarità dei beni e dei rapporti giuridici non determina l’arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità che costituisce il fondamento dell’imposta di successione e donazione, ma solo una regressione del soggetto giuridico proprietario dei beni senza che vi sia un trasferimento a terzi”. In tal caso la Commissione di merito si rifà alla già citata Sentenza della Cassazione n. 21614/2016 in cui appunto si è ritenuto che l’incremento patrimoniale, a fondamento della realizzazione del presupposto dell’imposta, si verifichi nel momento in cui il trustee devolva il patrimonio del trust ai beneficiari e non invece al momento in cui i beni vengano vincolati in trust. In tal caso, pertanto, si applicherebbe l’imposta di registro in misura fissa ed eventualmente le imposte ipotecarie e catastali sempre in misura fissa, in caso di [continua ..]
Lo strumento delle polizze vita, seppur in modo indiretto e in alcuni casi anche in modo improprio, rientra nella generale categoria degli strumenti di protezione del patrimonio, presentando peraltro anche alcuni trattamenti fiscali di favore che il legislatore ha voluto attribuirvi. Senza voler entrare nel dettaglio degli aspetti di legittimità dal punto di vista civilistico, che esulerebbero dalle finalità del presente contributo, si ripercorrono brevemente alcune peculiarità dello strumento. Innanzitutto il contratto di assicurazione sulla vita è disciplinato dagli artt. 1919 ss. c.c. e dal Codice delle Assicurazioni private come negli anni modificato ed aggiornato (d.lgs. n. 209/2005, c.d. TUA). Le assicurazioni vita che rientrano nella generale categoria degli strumenti di protezione del patrimonio, a cui si fa riferimento in questa sede, sono le polizze appartenenti al cosiddetto ramo III di cui all’art. 2, comma 1, TUA, ossia quelle polizze che, pur facendo riferimento ad assicurazioni sulla durata della vita umana, caso morte o vita, hanno le prestazioni principali collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni, o ancora collegati agli indici o ad altri valori di riferimento. Non si considerano in questa sede i cosiddetti contratti di capitalizzazione appartenenti al ramo V. Senza entrare nel dettaglio di un ampio e complesso dibattito in merito ai profili protettivi delle polizze vita, il principale riferimento è comunque quello stabilito dall’art. 1923 Cod. civ. sul tema dell’impignorabilità e insequestrabilità [12], anche se in sede penale l’efficacia di tale strumento è stata fortemente messa in dubbio dalla giurisprudenza [13]. Su temi di rilevanza più strettamente fiscale, invece, gli articoli di riferimento sono gli artt. 44, comma 1, lett. g-quater e 45, comma 4 TUIR e l’art. 26-ter del d. P.R. n. 600/1973. Innanzitutto è opportuno segnalare che i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita sono considerati redditi di capitale. Inoltre, i capitali corrisposti in dipendenza di tali contratti costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati, ossia solamente per il maggior valore che l’assicurato o i beneficiari percepiranno in [continua ..]