Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Le decisioni dei soci (di Angelo Bertolotti)


Lo scritto propone un’analisi approfondita della disciplina delle decisioni dei soci. Nello specifico, la trattazione si snoda a partire dal dato normativo, per poi soffermarsi sull’ambito e sulle modalità di formazione delle decisioni riservate alla competenza dei soci. Da ultimo, l’autore analizza le ipotesi di invalidità di tali decisioni, nonché le disposizioni in merito all’invalidità delle deliberazioni sul capitale, sulle obbligazioni e sul bilancio.

The decisions of shareholders

The paper offers an in-depth analysis of the discipline of shareholders' decisions. In particular, the essay starts from the regulatory framework, and then it focuses on the scope and methods of making decisions reserved for the competence of the shareholders. Lastly, the author analyzes the hypotheses of invalidity of these decisions, as well as the provisions regarding the invalidity of the resolutions on capital, obligations and the annual financial statement.

SOMMARIO:

1. La disciplina delle decisioni dei soci: il quadro normativo - 2. L’ambito delle decisioni dei soci: a) le materie loro riservate dall’atto costitutivo - 2.1. (segue) Gli argomenti sottoposti alla loro approvazione - 2.2. (segue) le materie ex lege riservate alla loro competenza - 3. Le modalità di formazione delle decisioni dei soci. Il metodo assembleare. La legittimazione alla convocazione - 3.1. (segue) Le modalità di convocazione - 3.2. (segue) La riunione. La votazione. Il verbale - 4. L’assemblea totalitaria - 5. Le decisioni non assembleari - 6. L’invalidità delle decisioni dei soci: premessa - 7. Le ipotesi normative di invalidità delle decisioni dei soci: i primi due commi dell’art. 2479-ter - 7.1. (segue) Il terzo comma dell’art. 2479-ter - 8. Le disposizioni relative all’invalidità di deliberazioni in tema di capitale, di obbligazioni e di bilancio - NOTE


1. La disciplina delle decisioni dei soci: il quadro normativo

La disciplina delle decisioni dei soci è contenuta nei tre articoli (2479, 2479-bis e 2479-ter) che costituiscono la Sezione IV del Capo dedicato alla società a responsabilità limitata. Essi, frutto della riforma del 2003, al pari di quelli dettati per l’amministrazione ed i controlli pongono in evidenza da un lato il suo affrancamento dalle regole della società per azioni in tema di assemblea (alle quali invece, prima del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, rinviava, quasi integralmente, l’art. 2486), dall’altro l’emersione del ruolo assegnato ai soci nella formazione della volontà sociale, in attuazione del principio della loro rilevanza centrale, indicato dalla l. 3 ottobre 2001, n. 366 (legge delega) [1].


2. L’ambito delle decisioni dei soci: a) le materie loro riservate dall’atto costitutivo

La normativa introdotta dalla riforma consente – come si è appena anticipato – un intervento dei soci in misura assai più ampia di quanto fosse possibile in precedenza: l’art. 2479, 1° comma, infatti, statuisce che essi decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sottopongano alla loro approvazione. Ferma altresì l’attribu­zione alla loro decisione dei casi previsti nel secondo comma in relazione alla loro particolare rilevanza ed alla potenziale incidenza sia sui loro diritti che sull’assetto organizzativo della società. E con la precisazione che, ogni qual volta siano i soci a decidere, non per questo gli amministratori dovranno obbligatoriamente dare esecuzione alla loro volontà: la conferma si trae, nella s.r.l., dall’(ora) ottavo comma dell’art. 2476, che costruisce la responsabilità dei secondi in termini di eventuale solidarietà con quella dei primi. Quest’ultima, dunque, in ambito gestorio non potrà mai mancare allorché ne sussistano i presupposti: pertanto, quante volte gli amministratori ritenessero illegittima o suscettibile di cagionare danni la volontà così espressa, per andarne esenti dovranno rifiutarsi di eseguirla, consci che il contrasto che in tal modo verrebbe ad emergere potrebbe comportare le loro dimissioni [2]. Il primo comma dell’art. 2479 statuisce, come si è detto, che i soci “decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo”. Ne emerge una rilevante differenza con quanto dispone l’art. 2364, 1° comma, n. 5) in tema di s.p.a. [3], ove non è l’atto costitutivo, ma la legge a definire il perimetro delle attribuzioni deliberative dei soci, senza possibilità di integrazioni di sorta. Si aggiunga che il sostantivo utilizzato dal legislatore (“materie”, riferibile a categorie di atti) è talmente generico da abbracciare senza dubbio anche questioni concernenti la gestione, estese a tutte le attribuzioni diverse da quelle inderogabilmente conferite agli amministratori [4]. Sì da concludere che sia “legittima ogni clausola che, in ragione del valore delle operazioni sociali, e per quanto in basso sia [continua ..]


2.1. (segue) Gli argomenti sottoposti alla loro approvazione

La seconda parte dell’art. 2479, 1° comma, prevede che i soci decidano sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale sottopongano alla loro approvazione. Così com’è formulata, la disposizione (che, nell’avere ad oggetto “argomenti”, pare riferirsi a singoli atti) non pone limiti di sorta, limiti che potrebbero però risultare dall’atto costitutivo [15], giustificati anche nel constatare che la facoltà prevista dalla norma non è subordinata ad alcun obbligo di motivazione, cosicché il suo esercizio, che ha l’effetto di bloccare la potestà decisionale, ed a maggior ragione esecutiva, dell’organo gestorio, è del tutto discrezionale. Sì che, in assenza di limitazioni, una richiesta potrebbe essere disattesa solo qualora fosse viziata da abuso di potere: come quando in una società con due soci la facoltà di avviare il procedimento di approvazione fosse sistematicamente utilizzata da uno per condizionare l’attività degli amministratori. Resta il problema di stabilire a chi competa la valutazione della richiesta, degli amministratori o dei soci, sotto il profilo della sua congruenza con l’ambito in cui l’autorizzazione dei soci sia legittima, perché non preclusa da limiti di legge o statutari, e con quali modalità procedurali, soprattutto in ambito extra-assembleare; ma anche come, eventualmente, censurarne il risultato, se non ex post, impugnando la decisione che ne rappresenti il momento conclusivo. Questi interrogativi, invero, sarebbero privi concreta rilevanza qualora l’atto cui sono chiamati i soci, l’“approvazione” appunto, non fosse vincolante, opinione da cui però dissente la dottrina nettamente prevalente: a ragione si argomenta che, se essa non incidesse sugli obblighi esecutivi dell’organo di gestione, ne risulterebbero snaturate le caratteristiche del modello, in quanto perderebbe gran parte del suo significato la stessa possibilità (per i soci) di “avocare” a sé la valutazione su determinate operazioni gestorie, anche già deliberate dagli amministratori [16]. Dunque, una volta intervenuta l’approvazione (od il suo diniego), gli amministratori non potranno che prenderne atto e conformarsi ad essa in sede esecutiva. A meno [continua ..]


2.2. (segue) le materie ex lege riservate alla loro competenza

Se il primo comma dell’art. 2479 rivela l’ampia autonomia riconosciuta ai soci nel definire la propria competenza decisionale, anche sotto il profilo dell’avocazione di argomenti sui quali esprimersi in termini di approvazione, il secondo elenca specifiche materie loro riservate “in ogni caso”: dunque, parrebbe, inderogabilmente. Inderogabile, in effetti, è quella sub 1), la competenza ad approvare il bilancio e a distribuire gli utili: essa ricalca la disciplina della società per azioni (che non adotti il modello dualistico) e non pone problemi interpretativi. Segue, al n. 2), “la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori”. L’inciso rivela che l’attribuzione è solo eventuale: infatti l’atto costitutivo, in alternativa, potrebbe invece attribuire il potere gestorio, senza limiti di tempo, a singoli soci, ai sensi dell’art. 2468, 3° comma [24], mentre è oggetto di discussione se possa prevedere l’attribuzione ad uno o più tra di loro (non, comunque, ad un terzo) del potere di nomina di uno o più amministratori [25]. Il codice tace, invece, sulla revoca [26] e, più in generale, su di ogni altra ipotesi di cessazione dalla carica prima della sua naturale scadenza. Al n. 3) il secondo comma dell’art. 2479 indica “la nomina nei casi previsti dall’art. 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti”. La competenza è inderogabile. Si deve precisare, in proposito, che il collegio sindacale è ora estraneo alla s.r.l., ove è sostituito, nei casi previsti, da un organo di controllo, anche monocratico; che la norma si applica sia quando la nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria, cioè nei soli casi previsti dall’art. 2477, 1° comma [27], sia quando è il frutto della volontà dei soci; e che, sebbene manchi un’espressa menzione, nel potere di nomina sono compresi quello di determinare il compenso, di revoca e di promuovere l’azione di responsabilità (art. 2477, 5° comma [28]). Appartiene altresì ai soci – lo si prevede sub 4) – la competenza a modificare l’atto costitutivo. La disposizione è chiara e lo è altrettanto l’unica, importante [continua ..]


3. Le modalità di formazione delle decisioni dei soci. Il metodo assembleare. La legittimazione alla convocazione

Il terzo ed il quarto comma dell’art. 2379 chiariscono che il modello decisionale legale della s.r.l. è e continua ad essere quello assembleare: infatti da un lato solo un’espressa previsione statutaria può far sì che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto e, dall’altro, quando l’atto costitutivo la contenga, il ricorso ad una deliberazione assembleare è comunque imprescindibile sia in determinate, specifiche ipotesi [quelle individuate ai nn. 4) e 5) dello stesso articolo e la deliberazione di riduzione del capitale per perdite, ai sensi dell’art. 2482-bis, 4° comma], sia quando ne facciano richiesta uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale. “Il metodo collegiale continua pertanto a conservare un ruolo privilegiato nel sistema, per il rico­no­scimento che la garanzia di una riunione fisica in un luogo ed ora prestabiliti costituisce genericamente un meccanismo valido a semplificare la risoluzione dei conflitti interni alla società, garantendo maggiore certezza al procedimento deliberativo” [52]. L’assemblea dei soci è disciplinata (ma solo parzialmente, come vedremo subito) dall’art. 2479-bis. Il suo primo comma, nello statuire che l’atto costitutivo ne determina i modi di convocazione e che, in difetto, essa dev’essere effettuata mediante lettera raccomandata, non precisa, però, a chi spetti la legittimazione a convocare. Ci si troverebbe dunque “al cospetto di una sorta di vuoto legislativo” [53], che l’atto costitutivo dovrebbe colmare, potendola riconoscere agli amministratori anche singolarmente – almeno quando l’amministrazione sia disgiuntiva – ed ai soci, nel quorum stabilito dal quarto comma dell’art. 2379 od altro, ed altresì all’organo di controllo [54] ed allo stesso revisore [55]. Il tutto in base al principio dell’autonomia contrattuale. Qualora anche l’atto costitutivo fosse silente al riguardo, parrebbe tuttavia difficile negare che l’organo amministrativo ne sia comunque il sottinteso titolare. Lo confermano – se lo si ritenesse necessario – non solo il primo comma dell’art. 2366, che, pur essendo formulato per la s.p.a., è comunque ritenuto esprimere un [continua ..]


3.1. (segue) Le modalità di convocazione

Come si è già ricordato, “L’atto costitutivo determina i modi di convocazione dell’assemblea dei soci, tali comunque da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. In mancanza la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell’adunanza nel domicilio risultante dal registro delle imprese” (art. 2479-bis, 1° comma). Ai soci, dunque è concessa un’ampia autonomia nello stabilire le modalità di convocazione [68], in particolare a proposito della trasmissione dell’avviso. Andranno tuttavia privilegiati quelle che consentano di documentarne la ricezione, come la raccomandata con avviso di ricevimento, il messaggio di posta elettronica certificata [69] od il plico a mezzo corriere. L’avviso dovrà comunque contenere – sebbene la legge non lo precisi – la data (giorno ed ora) ed il luogo dell’adunanza e l’ordine del giorno, la cui formulazione seguirà gli stessi principi elaborati per la società per azioni: dunque gli argomenti da trattare andranno indicati con sufficiente chiarezza, non in modo sommario o generico [70]. La convocazione dovrà essere diretta a tutti i soggetti che hanno diritto di intervento in assemblea: quindi ai soci, all’usufruttuario ed al creditore pignoratizio della partecipazione (se titolari di tale diritto), al custode [71] in caso di sequestro, agli amministratori, ai componenti dell’organo di controllo ed al revisore (questi ultimi, in ipotesi di controllo facoltativo, in quanto aventi diritto di intervento) [72]. L’informazione ottenibile dall’avviso dovrà però essere “tempestiva”. Se non risultasse tale, ne sortirebbe un motivo di invalidità delle decisioni che nondimeno venissero assunte. Il rispetto del principio di tempestività, tra l’altro, incide negativamente sull’astratta facoltà dei soci di rimodulare il termine legale (otto giorni prima della riunione) entro il quale deve essere spedito l’avviso: non, ovviamente, quando ritengano di dilatarlo, bensì qualora intendano ridurlo. Infatti, restando nell’esempio della lettera raccomandata, se il termine venisse compresso, sarebbe più che probabile che essa sarebbe ricevuta in tempi talmente ristretti da escludere la possibilità [continua ..]


3.2. (segue) La riunione. La votazione. Il verbale

L’assemblea si riunisce presso la sede sociale, quale risultante dal registro delle imprese. Tuttavia lo statuto può indicare un luogo diverso, anche rimettendone l’individuazione, entro certi limiti [77], a chi procede alla convocazione. È regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. Così dispone il terzo comma dell’art. 2479-bis: il quorum, al pari di quello deliberativo, può tuttavia essere diversamente modulato dai patti sociali [78] in senso più o meno rigoroso. Il suo mancato raggiungimento estingue gli effetti della convocazione e ne impone una nuova, a’ termini di legge o di atto costitutivo. Quest’ultimo potrebbe tuttavia prevedere una seconda convocazione, con un quorum costitutivo eventualmente ridotto, anche solo per alcune decisioni. Il secondo comma dell’art. 2479-bis statuisce che, se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il socio può farsi rappresentare in assemblea e che la relativa documentazione è conservata secondo quanto prescritto nell’art. 2478, primo comma, n. 2) [79]. Da quest’ultima disposizione si trae che la delega dev’essere conferita per iscritto (non è però necessaria l’autentica della firma del delegante), in consonanza con l’art. 2372, 1° comma, dettato per la società per azioni [80]. Se si deve escludere l’applicazione automatica degli altri principi contenuti nell’art. 2372, essendo assente un espresso richiamo a tale articolo [81] (l’atto costitutivo li potrebbe tuttavia recepire), una regola presente nel suo secondo comma sembra comunque imporsi anche nella s.r.l.: la revocabilità della delega. Milita in tal senso “soprattutto la tutela dell’interesse del socio a poter esprimere liberamente il proprio voto, con nuove istruzioni, con la sostituzione del delegato, con la partecipazione diretta all’assemblea”, tutela che “non trova qui solo giustificazione nella ’correlazione’ tra decisioni e rischio del­l’investimento, ma anche in quella tra decisioni e responsabilità per gli atti di gestione” [82]. Più dubbia, invece, la possibilità del rilascio di una delega “in bianco” [83]. In proposito le considerazioni riportare in tema di revocabilità, [continua ..]


4. L’assemblea totalitaria

Dispone l’art. 2479-bis, nel quinto comma, che “In ogni caso la deliberazione s’intende adottata quando ad essa partecipa l’intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell’argomento”. Dunque il legislatore della riforma, avendo riguardo alla disposizione (l’art. 2366) che, in precedenza, disciplinava l’assemblea totalitaria sia nella s.p.a. che, mediante un rinvio, nella s.r.l., nel diversamente regolamentare in proposito i due tipi societari, nella seconda ha inteso facilitare particolarmente il procedimento assembleare. Dal tenore della norma riportata, infatti, emerge che per la validità di una deliberazione – ferma l’esigenza della partecipazione dell’intero capitale sociale [94] e fermi altresì i quorum deliberativi – non occorre la presenza di alcuno dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, a differenza dell’art. 2366, che, per la s.p.a., nel testo rinnovato richiede la presenza, almeno, della loro maggioranza. Ne è sorto un primo problema (comune ad entrambe le società), quello della derogabilità: se, in altri termini, siano legittime clausole statutarie dal contenuto meno liberale, ad esempio tali da imporre la presenza di un certo numero di amministratori o dell’amministratore unico. Al riguardo la dottrina si presenta divisa. Da un lato vi è chi ritiene la deroga ipotizzata perfettamente ammissibile, pur conscio che essa, se adottata, sarebbe suscettibile di rendere meno agevole la formazione di deliberazioni; ma, in un sistema normativo che concede ai soci ampio spazio in ordine alla deter­mi­na­zione delle maggioranze non vi sarebbero elementi per escluderla, né potrebbe ritenersi indice di segno opposto l’incipit del quinto comma dell’art. 2479-bis (“In ogni caso la deliberazione s’intende adottata […]”), da riferire alla mancanza di formalità [95]. Per contro, si sottolinea come proprio il comma in questione sia l’unico, all’interno dell’articolo, a non contemplare la possibilità di una diversa previsione dell’atto costitutivo, argomento ritenuto difficilmente superabile in un sistema improntato alla costante esplicitazione della facoltà di deroga a favore dei soci; e si aggiunge che in un [continua ..]


5. Le decisioni non assembleari

Ai sensi del terzo comma dell’art. 2479, l’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto; in tal caso dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa. Il comma successivo precisa però che le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare ex art. 2479-bis non solo quando l’atto costitutivo sia silente, ma anche allorché i soci siano chiamati a decidere con riferimento alle materie indicate nei nn. 4 e 5 del secondo comma (cioè la modificazione dell’atto costitutivo od operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale od una rilevante modificazione dei diritti dei soci) nonché nel caso previsto dall’art. 2482-bis (riduzione del capitale sociale per perdite) oppure quando lo richiedano uno o più amministratori o un numero di soci che rappresenti almeno un terzo del capitale sociale. Il primo problema interpretativo attiene alla differenza tra “consultazione scritta” e “consenso espresso per iscritto”. Si può convenire che la prima modalità si traduca in una consultazione basata sul sistema referendario, dunque su di un’iniziativa che sottoponga ai soci una proposta di decisione ben definita, sulla quale essi siano chiamati ad esprimere un voto, che di volta in volta potrà essere favorevole o contrario oppure consistere in una preferenza per una delle varie alternative loro indicate [115]. Parrebbe tuttavia una forzatura vedere nella seconda una sorta di secca alternativa alla prima, cioè una procedura nettamente contrapposta. Sembra in effetti più corretto scorgervi un’endia­di, per mezzo della quale il legislatore abbia inteso segnalare che la legittimità di una decisione non assunta nel contesto di un’assemblea non sia intaccata dalle modalità della sua formazione nel suo momento propositivo: essendo indifferente che il consenso si sia formato sottoponendo ai soci una proposta già strutturata o sia il punto d’arrivo di un’iniziativa che tragga origine da uno o più tra essi (o da uno o più dei componenti dell’organo amministrativo [116] o di controllo [117]) e che si traduca in un testo [continua ..]


6. L’invalidità delle decisioni dei soci: premessa

L’art. 2479-ter rivela, già a partire dalla rubrica (Invalidità delle decisioni dei soci), la linea di tendenza seguita dal legislatore nel disciplinare i vizi che possono affliggere le decisioni dei soci, indipendentemente dall’essere adottate in ambito assembleare od extra-assembleare: il superamento della distinzione tra annullabilità e nullità, presente nel contesto della s.p.a. (artt. 2377 e 2379), in favore della onnicomprensiva e generica categoria dell’invalidità [127]. L’unitarietà della costruzione si accompagna però ad una necessaria diversificazione in relazione ai vari vizi: cosicché ne risulterebbe riaffermato, anche se non espressamente, il binomio annullabilità-nullità [128] e – pur nella consapevolezza che in ambito societario la distinzione tra le due categorie rischia di presentarsi come puramente nominalistica – sarebbe comunque possibile [129] ascrivere le fattispecie disciplinate nei primi due commi dell’art. 2479-ter all’annullabilità [130] e quelle previste dal terzo alla nullità [131]. Ma forse l’ap­proccio più coerente con l’intenzione del legislatore è che il testo, nell’aste­nersi dal “correlare nullità ed annullabilità a categorie generali, più pragmaticamente” abbia disposto “ciò che il socio [od altri] può fare di fronte a ipotesi determinate che presentano vizi o lacune” [132]. Null’altro parrebbe consentito ipotizzare in termini di vizi, in particolare per le ipotesi di inesistenza, [133] cui il legislatore del 2003 ha dichiarato “guerra aperta” [134], e di abuso del diritto. La prima, in realtà, parrebbe difficile da espungere ogni qual volta una deliberazione o decisione sia adottata in forma tale che riesca impossibile individuarvi gli elementi minimi per poterla definire tale [135]; altrettanto la seconda, che non è prevista neppure nel contesto della s.p.a., ma discende dal principio generale di buona fede e che non a caso è recepita pianamente in recenti sentenze [136].


7. Le ipotesi normative di invalidità delle decisioni dei soci: i primi due commi dell’art. 2479-ter

Le decisioni non conformi alla legge od all’atto costitutivo, oggetto del primo comma dell’art. 2479-ter, comprendono, in linea di principio, qualunque ipotesi di contrasto con una norma di legge ovvero con una previsione contenuta nei patti sociali: si tratta dell’ipotesi più lieve di invalidità, sia nel senso che essa è assoggettata ad un termine assai breve di impugnazione, di natura decadenziale (novanta giorni decorrenti dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci), sia in quello dei limiti soggettivi alla legittimazione. Sotto il secondo profilo, l’azione può essere promossa “dai soci che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale”. Quanto ai soci, la locuzione utilizzata dal legislatore deve ritenersi equivalente a quella presente, per la s.p.a., nel secondo comma dell’art. 2377 (“soci assenti, dissenzienti od astenuti”), pur non richiamato dall’ultimo comma dell’art. 2479-ter: pertanto, è comprensiva anche degli astenuti [137]. La legittimazione compete indipendentemente dalla quota di capitale detenuta: a questo proposito il mancato richiamo al terzo comma dell’art. 2377 pare inequivoco [138]. Salvo il dubbio sull’impugnazione di un bilancio sul quale il revisore (quando vi sia) non abbia formulato rilievi, per la cui proposizione – statuisce l’art. 2434-bis (cui rimanda l’appena citato ultimo comma) – occorre una partecipazione pari ad almeno il cinque per cento; se ne tratta nell’ultimo paragrafo. Sono legittimati, come si diceva, ogni amministratore, dunque anche singolarmente, e l’organo di controllo [139] (nella sua collegialità, qualora non sia monocratico). Si discute invece a proposito del revisore, pretermesso dal legislatore [140], al quale, pertanto, la legittimazione parrebbe comunque attribuibile dall’atto costitutivo. L’ultimo comma dell’art. 2479-ter, già più volte richiamato, torna ancora una volta in gioco nel suo rimandare, tra gli altri e nei limiti di compatibilità, al quinto dell’art. 2377, che circoscrive le ipotesi di annullabilità delle deliberazioni di s.p.a. Pertanto pure nella s.r.l. sarà irregolarità priva di effetto sulla validità della decisione “la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, salvo che [continua ..]


7.1. (segue) Il terzo comma dell’art. 2479-ter

Ai sensi del terzo comma dell’art. 2479-ter, prima parte, le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazione possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Le prime due fattispecie, che attengono al contenuto della decisione [152], corrispondono ad altrettante ipotesi di nullità previste dall’art. 2379, 1° comma, per la s.p.a. [153]. L’ultima, in cui si concretizza un vizio di procedura, è invece, nella sua formulazione, peculiare alla s.r.l. [154]. La sua estrema genericità ha peraltro determinato interpretazioni dottrinali non del tutto coincidenti. In proposito si è affermato che essa concerne il caso in cui i soci non abbiano ricevuto l’avviso di convocazione dell’assemblea o l’abbiano ricevuto in difetto dei requisiti minimi di contenuto fissati nell’art. 2379, 3° comma (compare, dunque, un riferimento alla disciplina della s.p.a.), oppure non abbiano ricevuto notizia dell’avvio dei procedimenti finalizzati all’adozione di decisioni scritte [155]. E, in una visuale parzialmente differente, allorché i soci non siano informati, con qualsiasi modalità e da chiunque e, come sembra, in qualsiasi momento, del luogo, della data e dell’ora (anche dell’ordine del giorno?) dell’assemblea, nonché nell’ipotesi in cui manchi ogni informazione in ordine alla raccolta dei consensi tramite le procedure extra-assembleari [156]. La provenienza dell’avviso di convocazione, invece, è stata ritenuta del tutto estranea alla previsione del terzo comma dell’art. 2479-ter, ed a ragione: infatti pretendere che esso emani dal­l’or­gano amministrativo sarebbe comunque incoerente con l’ordinamento della s.r.l. e con il potere di diretta convocazione nei termini che vasta parte della giurisprudenza riconosce ai soci [157]. Estranea anche la mancata redazione del verbale, vizio da ricondurre – come si è già visto – al primo comma dell’articolo [158], tale però da precludere la possibilità di iscrivere la delibera nel registro delle imprese. Quanto ancora alle procedure extra-assembleari, è stata posta la questione se tra le decisioni “prese in assenza assoluta di informazione” [continua ..]


8. Le disposizioni relative all’invalidità di deliberazioni in tema di capitale, di obbligazioni e di bilancio

L’ultimo comma dell’art. 2479-ter statuisce che alla s.r.l. si applicano, in quanto compatibili, anche gli artt. 2379-ter e 2434-bis. Essi – formulati per la s.p.a. – introducono deroghe in tema di impugnazione di talune decisioni. Il primo disciplina l’invalidità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e di emissione di obbligazioni e, nel primo comma [167], all’uopo statuisce che nei casi previsti dall’art. 2379 la relativa impugnazione “non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata convocazione, novanta giorni dall’approvazione del bilancio dell’esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita”. In dottrina [168], molto opportunamente, la regola è stata “adattata” alla s.r.l., precisando che le ipotesi di nullità sono evidentemente quelle previste nel modello; che all’invalidità della deliberazione di emissione di obbli­ga­zioni dovrà essere sostituita quella relativa alla decisione diretta ad emettere titoli di debito, decisione che, ai sensi dell’art. 2483, può essere attribuita alla competenza dei soci o degli amministratori (e può avere natura collegiale od extra-assembleare); che il dies a quo del termine di centottanta giorni pare decorrere dalla trascrizione negli appositi libri sociali; che la fattispecie della mancata convocazione dell’assemblea deve essere sostituita da quella della mancanza assoluta di informazione; ed infine che il dies a quo del termine di novanta giorni pare da individuare non nell’approvazione del bilancio dell’esercizio in corso, bensì nella sua trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Il secondo articolo richiamato detta regole in tema di invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio. Nel suo primo comma fissa il principio – pianamente applicabile alla s.r.l. – che le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 (dunque dall’art. 2479-ter) “non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo” [169]. I dubbi, invece, riguardano il secondo, ove si legge che la legittimazione ad impugnare la [continua ..]


NOTE