Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La disciplina della Centrale Rischi e il danno da segnalazione illegittima (di Luciano M. Quattrocchio)


Nel presente elaborato, l’autore si propone di offrire un’ampia disamina del sistema informativo sull’indebitamento della clientela verso le banche e le società finanziarie, quale è la Centrale Rischi. La trattazione muove, innanzitutto, dell’individuazione delle fonti normative – primarie e secondarie –, con particolare attenzione agli Accordi di Basilea e al procedimento di valutazione del merito creditizio e di attribuzione del rating. La Centrale Rischi viene approfonditamente trattata, attraverso l’analisi della sua natura e delle sue funzioni, delle procedure di classificazione dei crediti – nella previgente e nella attuale normativa – e dei presupposti per la segnalazione delle esposizioni a sofferenza. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’autore offre un’analisi della nozione giuridica e economica di “insolvenza” e di “crisi” e un focus sui diversi modelli predittivi della crisi d’impresa. L’e­la­borato termina con l’individuazione delle possibili ipotesi di danno configurabili in caso di illegittima segnalazione e dei metodi di quantificazione dello stesso applicabili alla fattispecie concreta.

In the present paper, the author intends to offer a wide-ranging examination of the information system on customers’ borrowing from banks and financial companies, such as the Risk Central. The discussion moves, first of all, to the identification of the regulatory sources – primary and secondary –, with particular attention to the Basel Agreements and to the creditworthiness assessment and rating assignment procedure. The Risk Central is dealt with in detail, through the analysis of its nature and functions, of the credit classification procedures – in the previous one and in the current legislation – and of the prerequisites for reporting non-performing exposures. With reference to this last aspect, the author offers an analysis of the legal and economic notion of “insolvency” and “crisis” and a focus on the different predictive models of the corporate crisis. The paper ends with the identification of the possible hypotheses of damage that can be configured in case of illegitimate reporting and of the methods of quantification of the damage applicable to the specific case.

Keywords: risk central – creditworthiness – crisis – illegitimate reporting.

SOMMARIO:

1. La Centrale Rischi. Le fonti normative e regolamentari - 2. La Centrale Rischi. La normativa primaria e secondaria - 2.1. Il Testo Unico Bancario - 2.2. La Deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994 - 2.3. Decreto d'urgenza del Ministro dell'Economia e delle Finanze – Presidente del CICR del 3 febbraio 2011, n. 117 - 2.4. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi. Circolare n. 139 dell'11 febbraio 1991 (14° Aggiornamento del 29 aprile 2011) - 2.5. Il Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze dell'11 luglio 2012, n. 663 (Centrale dei rischi) - 2.6. Gli Accordi di Basilea - 2.7. Segue. La valutazione del merito creditizio - 2.7.1. Informazioni quantitative - 2.7.2. Informazioni qualitative - 2.7.3. Aspetti andamentali - 2.7.4. L'attribuzione del rating - 3. La Centrale Rischi - 3.1. Natura e funzioni - 3.2. La classificazione dei crediti. La normativa previgente [2] - 3.3. Le novità introdotte dalla Circolare della Banca d’Italia n. 272/2014 - 4. I presupposti per la segnalazione di esposizioni a sofferenza - 4.1. Le nozioni giuridiche di insolvenza (e crisi) - 4.1.1. Il presupposto oggettivo del fallimento e del concordato preventivo - 4.1.2. Il sovraindebitamento - 4.2. Le nozioni economiche di insolvenza. Il Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti "Ruolo e supporto del dottore commercialista e dell'esperto contabile come consulente di direzione nei momenti di crisi dell’impresa" (Dicembre 2009) - 4.2.1. Squilibrio e crisi - 5. I modelli predittivi - 5.1. I modelli elementari. Il Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti "Crisi d'impresa. Strumenti per l'individuazione di una procedura d’allerta" (Gennaio 2005) - 5.1.1. Premessa - 5.1.2. La riclassificazione del bilancio - 5.1.2.1. Lo stato patrimoniale - 5.1.2.2. Il conto economico - 5.1.2.3. Il rendiconto finanziario - 5.1.3. Gli indicatori delle performance economico-aziendali per la previsione della crisi d'impresa - 5.1.3.1. Gli indici di bilancio - 5.2. I modelli evoluti - 5.2.1. I modelli qualitativi - 5.2.2. I modelli quantitativi - 5.2.2.1. Il modello "Z score model" di Altman - 6. Le tipologie di danno risarcibile - 6.1. Il danno emergente ed il lucro cessante - 6.2. Il danno da perdita di chance - 6.3. Il danno all'immagine - 7. La quantificazione del danno - 7.1. I metodi di valutazione d’azienda - 7.2. Breve disamina dei metodi valutativi - 7.2.1. Il metodo patrimoniale semplice - 7.2.2. Il metodo patrimoniale complesso - 7.2.3. Il metodo reddituale - 7.2.4. Il metodo misto con stima autonoma dell'avviamento - 7.2.5. Il metodo misto con valutazione controllata delle immobilizzazioni - 7.2.6. Il metodo misto EVA - 7.2.7. Il metodo Discounted Cash Flow - 7.2.8. I metodi dei multipli - 8. La quantificazione del danno: le fattispecie riscontrabili - 8.1. Il caso di imprese (o società) - 8.1.1. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima conduca al default - 8.1.2. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima non conduca al default - 8.2. Il caso di persone fisiche - 8.2.1. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima conduca al default - 8.2.2. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima non conduca al default - 8.3. Il danno all'immagine o reputazionale - NOTE


1. La Centrale Rischi. Le fonti normative e regolamentari

Si riportano – di seguito e in ordine cronologico – le fonti di normazione primaria e secondaria: Testo Unico Bancario (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385). Deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994. Provvedimento della Banca d’Italia del 10 agosto 1995. Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze n. 29 del 17 febbraio 2009. Decreto d’urgenza del Ministro dell’Economia e delle Finanze – Presidente del CICR del 3 febbraio 2011, n. 117. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi. Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991 (14° Aggiornamento del 29 aprile 2011). Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze dell’11 luglio 2012, n. 663 – Centrale dei rischi. Vigilanza bancaria e finanziaria. Matrice dei conti. Circolare n. 272 del 30 luglio 2008(5º Aggiornamento del 16 luglio 2013). A tali fonti normative devono essere aggiunti, per la loro rilevanza pratica, gli Accordi di Basilea, che – come è noto – sono linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito da­gli enti regolatori del G10 (composto attualmente da undici paesi) più il Lussemburgo allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.


2. La Centrale Rischi. La normativa primaria e secondaria

2.1. Il Testo Unico Bancario

A norma dell’art. 53 (Vigilanza regolamentare), la Banca d’Italia – in conformità con le deliberazioni del CICR – emana disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto: • l’adeguatezza patrimoniale; • il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; • le partecipazioni detenibili; • l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni. • l’informativa da rendere al pubblico sulle materie di cui sopra. Come disposto dall’art. 125 (Banche dati), i gestori delle banche dati conte­nenti informazioni nominative sul credito consentono l’accesso dei finanziatori degli Stati membri dell’Unione europea alle proprie banche dati a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle previste per gli altri finanziatori abilitati nel territorio della Repubblica. Il CICR, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, individua le condizioni di accesso, al fine di garantire il rispetto del principio di non discriminazione. Se il rifiuto della domanda di credito si basa sulle informazioni presenti in una banca dati, il finanziatore informa il consumatore immediatamente e gratuitamente del risultato della consultazione e degli estremi della banca dati. I finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L’informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma. I finanziatori assicurano che le informazioni comunicate alle banche dati siano esatte e aggiornate. In caso di errore rettificano prontamente i dati errati. I finanziatori informano il consumatore sugli effetti che le informazioni ne­gative registrate a suo nome in una banca dati possono avere sulla sua capacità di accedere al credito.


2.2. La Deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994

Alla Banca d’Italia è affidato il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi. Le banche e gli altri intermediari finanziari sono tenuti, a richiesta della Banca d’Italia e con le modalità da questa stabilite, a comunicare periodicamente l’esposizione nei confronti dei propri affidati e i nominativi a questi collegati. La Banca d’Italia fornisce periodicamente a ogni soggetto tenuto a effettuare le comunicazioni di cui sopra la posizione riepilogativa dei rischi complessivamente censiti a nome di ciascun affidato dallo stesso segnalato e dei nominativi collegati. Le società e gli enti menzionati possono richiedere alla Banca d’Italia che sia loro resa nota la posizione globale di rischio di nominativi censiti diversi da quelli da essi segnalati. Tali richieste possono essere avanzate per finalità connesse all’attività di assunzione del rischio nelle sue diverse configurazioni. I dati personali censiti dalla Centrale dei rischi hanno carattere riservato. La Banca d’Italia e i soggetti sopra richiamati possono comunicare ai terzi le informazioni registrate a loro nome, secondo la procedura indicata dalla Centrale dei rischi.


2.3. Decreto d'urgenza del Ministro dell'Economia e delle Finanze – Presidente del CICR del 3 febbraio 2011, n. 117

L’accesso su base non discriminatoria alle banche dati contenenti informazioni nominative sul credito (“banchedati”), previsto dall’art. 125 TUB, è consentito ai finanziatori degli Stati membri dell’Unione Europea abilitati in conformità della legislazione dello Stato membro di appartenenza o in cui comunque operano (“finanziatori”), i quali intendono acquisire informazioni su un consumatore che abbia richiesto o ricevuto un finanziamento disciplinato dalla direttiva 2008/48/CE o su soggetti col medesimo coobbligati, anche in solido. Le informazioni cosi acquisite possono essere utilizzate esclusivamente per la valutazione del merito di credito del consumatore. L’accesso alle banche dati da parte di finanziatori degli Stati membri del­l’Unione Europea diversi dall’Italia è consentito entro limiti e a condizioni contrattuali non discriminatori rispetto a quelli previsti per i finanziatori aventi sede o comunque insediati in Italia (“finanziatori italiani”). In particolare sono praticate condizioni equivalenti con riguardo ai costi e alla qualità del servizio di accesso ai dati, alle modalità per la sua fruizione, alla quantità e tipologia di informazioni fornite. I gestori delle banche dati possono subordinare l’accesso dei finanziatori di cui sopra alla comunicazione, da parte di questi ultimi, delle informazioni in loro possesso sul consumatore per cui è stata interrogata la banca dati, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali. Sono fatte salve le eventuali limitazioni previste dalla legislazione dello Stato di appartenenza del finanziatore. Ai sensi dell’art. 125-octies TUB, la Banca d’Italia stabilisce, per il caso in cui si sia verificato uno sconfinamento: • il termine di invio al consumatore della comunicazione sullo sconfinamento, che non può superare il terzo giorno lavorativo successivo alla scadenza del mese di permanenza dello sconfinamento medesimo; • le condizioni in presenza delle quali lo sconfinamento è da reputarsi consistente, tenuto conto dell’ammontare delle somme utilizzate o del complesso degli oneri che lo sconfinamento comporta a carico del consumatore.


2.4. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi. Circolare n. 139 dell'11 febbraio 1991 (14° Aggiornamento del 29 aprile 2011)

Il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi gestito dalla Banca d’Italia è disciplinato dalla delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle istruzioni di Banca d’Italia emanate in conformità della stessa. La Centrale dei rischi è un sistema informativo sull’indebitamento della clientela delle banche e degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. Attraverso il servizio centralizzato dei rischi la Banca d’Italia fornisce agli intermediari partecipanti un’informativa utile, anche se non esaustiva, per la valutazione del merito di credito della clientela e, in generale, per l’analisi e la gestione del rischio di credito. L’obiettivo perseguito è di contribuire a migliorare la qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti e, in ultima analisi, ad accrescere la stabilità del sistema creditizio. Gli intermediari partecipanti comunicano alla Banca d’Italia informazioni sulla loro clientela e ricevono, con la medesima periodicità con cui sono raccolte, informazioni sulla posizione debitoria verso il sistema creditizio dei nominativi segnalati e dei soggetti a questi collegati. Essi ricevono, inoltre, informazioni aggregate riferite a categorie di clienti. Gli intermediari possono interrogare la Centrale dei rischi per chiedere informazioni su soggetti che essi non segnalano, a condizione che le richieste siano avanzate per finalità connesse con l’assunzione e la gestione del rischio di credito. Essi, inoltre, possono utilizzare le informazioni acquisite dalla Centrale dei rischi per fini di difesa processuale, sempre che il giudizio riguardi il rapporto di credito intrattenuto con la clientela. Le informazioni della Centrale dei rischi non hanno natura “certificativa”. Esse definiscono una situazione di indebitamento dei soggetti verso il sistema creditizio che potrebbe non coincidere con la loro effettiva posizione. È prevista infatti l’esclusione della partecipazione di alcune tipologie di intermediari e sono fissate soglie minime di censimento al di sotto delle quali gli intermediari partecipanti non devono segnalare. Il servizio centralizzato dei rischi opera in un contesto di continua interazione con gli intermediari i quali, ad eccezione delle segnalazioni di importo di fine mese, devono trasmettere le informazioni [continua ..]


2.5. Il Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze dell'11 luglio 2012, n. 663 (Centrale dei rischi)

La Centrale dei rischi è un sistema informativo sulla posizione debitoria individuale dei soggetti affidato alla Banca d’Italia. Partecipano alla Centrale dei rischi: • le banche iscritte nell’albo di cui all’art. 13 TUB e le società cessionarie di crediti di cui all’art. 3 della legge 30 aprile 1999, n. 130. Sono esonerati gli inter­mediari di minore complessità nel rispetto del principio di proporzionalità del­l’azione di vigilanza. La Banca d’Italia individua con proprio provvedimento i criteri di esonero in base alle caratteristiche operative, dimensionali e organizzative; • le altre categorie di soggetti che la Banca d’Italia può individuare in relazione ai poteri ad essa attribuiti dalla legge di emanare disposizioni nei loro confronti per il contenimento del rischio di credito. I soggetti che partecipano alla Centrale dei Rischi comunicano periodicamente, su richiesta della Banca d’Italia e con le modalità da questa stabilite, l’esposizione nei confronti dei propri affidati e dei nominativi collegati. A ogni soggetto partecipante la Banca d’Italia fornisce periodicamente la posizione globale di rischio di ciascun affidato dallo stesso segnalato e dei nominativi collegati. I soggetti partecipanti possono chiedere alla Banca d’Italia la posizione globale di rischio di nominativi diversi da quelli segnalati, per finalità connesse con l’assunzione e la gestione del rischio di credito. I dati nominativi della Centrale dei rischi hanno carattere riservato. I soggetti partecipanti possono utilizzarli solo per finalità connesse con l’assun­zione e la gestione del rischio di credito. La Banca d’Italia e i soggetti partecipanti possono comunicare a terzi i dati della Centrale dei rischi a questi ultimi riferiti. Nel caso di gruppi bancari di cui all’art. 60 TUB, alla capogruppo e alle banche e società finanziarie estere del gruppo è consentito conoscere, secondo le modalità stabilite dalla Banca d’Italia, i dati della Centrale dei rischi di nominativi di loro interesse, solo per finalità connesse con l’assunzione e la gestione del rischio di credito. La Banca d’Italia può subordinare l’accesso ai dati alla comunicazione delle informazioni sul nominativo per il quale è interrogata la Centrale dei [continua ..]


2.6. Gli Accordi di Basilea

A partire dagli anni ’90 la gestione del credito da parte di numerosi istituti di credito si è rivelata poco prudente e ci si è accorti dei limiti del quadro normativo con riguardo al rischio connesso ai prestiti concessi dalle banche alle imprese. L’accordo iniziale esistente sull’argomento (Accordo Basilea I) risultava incentrato su una visione semplificata dell’attività bancaria e della rischiosità delle aziende. L’Accordo attualmente in vigore (Basilea II) è un accordo internazionale di vigilanza prudenziale, maturato nell’ambito del Comitato di Basilea, riguardante i requisiti patrimoniali delle banche. In ottemperanza all’Accordo, le banche dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale proporzionate al rischio assunto, valutato attraverso lo strumento del rating. L’accordo è strutturato in tre “pilastri”: Requisiti patrimoniali; Controllo delle Autorità di vigilanza; Disciplina di mercato e Trasparenza. Il testo dell’accordo nella versione definitiva nel giugno del 2004, è entrato in vigore nel gennaio 2007, con una proroga di un anno concessa alle banche che hanno adottato il metodo advanced. La principale preoccupazione dei partecipanti al Gruppo Basilea II è la salvaguardia della stabilità del settore bancario, perno attorno al quale ruotano le economie mondiali: l’accordo muove, quindi, dall’idea che le banche non possano assumere rischi eccessivi e debbano tutelarsi dai rischi (già) assunti. Lo scopo dell’Accordo di Basilea II è quello di assicurare la stabilità del sistema bancario, attraverso l’acquisizione e l’elaborazione di informazioni reali, da aggiornarsi continuamente, vincolate alla effettiva capacità di produrre reddito in una prospettiva di crescita futura. L’Accordo impone un limite al livello di rischiosità dei prestiti; per contro, al di sotto di una certa soglia di rischio, non pone restrizioni alla quantità di denaro che un istituto di credito può erogare. A seguito della crisi finanziaria che ha colpito alcuni importanti istituti di credito, una nuova versione dell’accordo è stata emanata con il nome di Basilea III. In Europa sono, inoltre, rimaste in vigore altre normative che pongono un limite assoluto alla quantità di denaro che una banca può [continua ..]


2.7. Segue. La valutazione del merito creditizio

La valutazione del merito creditizio tiene conto di tre categorie di informazioni: • quantitative; • qualitative; • andamentali. Gli aspetti di carattere quantitativo hanno maggiore rilevanza, poiché sono più oggettivi e verificabili, specialmente per le imprese di media dimensione; quelli qualitativi hanno un peso significativo nella valutazione di imprese molto piccole. Anche le valutazioni sul settore di operatività dell’impresa devono essere prese in considerazione, poiché è ovvio che un settore in crisi abbia conseguenze immediate sugli operatori diretti. In particolare l’Accordo prevede specificamente che le valutazioni degli istituti di credito devono essere fatte in modo da tenere in considerazione il ciclo economico in corso e quindi, in una fase di recessione o crisi del settore, i parametri di giudizio sono più attenuati che in una fase di crescita.


2.7.1. Informazioni quantitative

Le informazioni quantitative sono informazioni di carattere economico-finanziario desumibili dai bilanci e dagli altri documenti contabili delle imprese. Le informazioni ritraibili dai bilanci hanno un peso determinante nella valutazione dell’impresa. Si tratta di informazioni di tipo oggettivo, che non dipendono dall’opinione dell’analista della banca e in genere si riconducono: • alla documentazione contabile, sia consuntiva sia prospettica, per determinare la redditività e la struttura finanziaria del debitore; • ai dati andamentali del rapporto con la banca e con l’intero settore bancario, tra l’altro desumibili dalla Centrale dei Rischi. Le informazioni ritraibili dai dati di bilancio, di norma sempre raccolte in una pratica di affidamento, vengono sottoposte ad un’analisi completa e siste­matica. I bilanci d’esercizio dell’impresa consentono di analizzare la gestione economico-finanziaria e quindi, ad esempio: • il grado di indebitamento, ossia il rapporto nella gestione d’impresa tra l’utilizzo di capitale proprio e quello proveniente da fonti di finanziamento e­sterne (ad un basso grado di indebitamento dell’impresa corrisponde una migliore valutazione dell’impresa da parte della banca); • il livello di liquidità, ossia la capacità di un’impresa di finanziarsi tramite flussi di cassa generati dalla sua gestione (la banca valuta migliore un’impresa che riesce a finanziarsi maggiormente con flussi di cassa generati dalla propria gestione). Viene, altresì, valutata la capacità dell’impresa di remunerare i finanziatori esterni attraverso il risultato della propria gestione; • la redditività, apprezzata dal proprietario e dai soci che hanno investito nell’impresa il proprio denaro o i propri beni. Dal bilancio si possono ricavare indicatori utili per comprendere l’attività dell’impresa che richiede il finanziamento e i risultati dalla stessa conseguiti, nonché per operare confronti nel tempo e con altre realtà simili. Un segnale per la comprensione della capacità dell’impresa di operare e delle sue prospettive è l’andamento del fatturato, che deve essere valutato confrontando gli andamenti storici e quelli prospettici. Altri principali indici di riferimento sono: • Margine [continua ..]


2.7.2. Informazioni qualitative

Le informazioni qualitative si fondano su elementi che richiedono una valutazione da parte dell’analista della banca e comportano un dialogo più diretto e approfondito con il management e riguardano sia le aree aziendali le cui caratteristiche possono modificare il profilo di solvibilità dell’impresa sia l’andamento del settore di appartenenza dell’impresa che richiede il finanziamento ed il suo ambiente competitivo. Le informazioni di carattere qualitativo si riconducono a un ampio spettro di informazioni relative ad esempio: • all’assetto giuridico e societario dell’impresa, se si tratta di un’impresa che fa parte di un gruppo, di una ditta individuale, di una società di persone, di capitali o di una cooperativa; • al suo sistema di governance, ossia la presenza o meno di un amministratore unico, di un consiglio di amministrazione, di un collegio sindacale, ecc.; • alla presenza di competenze finanziarie sviluppate dal management; • alla presenza di sistemi di controllo interni (sia sul piano operativo che finanziario); • al ruolo dell’impresa all’interno dell’eventuale gruppo di appartenenza; • alla qualità del management, ossia all’esperienza del management nel settore di appartenenza, alle caratteristiche del processo produttivo (ad esempio la presenza di una certificazione di qualità), all’adozione di specifiche procedure gestionali; • alla presenza di piani industriali di sviluppo e di strategie commerciali; • ai fattori di rischio (fiscale, sindacale, ambientale, assicurativo); • ad altri aspetti relativi alla vita dell’impresa, tenendo conto nella valutazione delle diverse fasi del suo ciclo economico (avvio, sviluppo, piena attività, maturità, declino). La raccolta di questo tipo di informazioni avviene generalmente attraverso incontri diretti tra la banca e il management dell’impresa. La valutazione delle micro-imprese, che operano con diversa struttura giuridica e in diversi settori (es. agricoltura, artigianato, servizi, cooperazione, ecc.), in un regime di contabilità semplificata e per le quali non sono disponibili tutte le informazioni relative al bilancio, è fondata prevalentemente sulle informazioni di natura qualitativa.


2.7.3. Aspetti andamentali

Per aspetti andamentali si intendono i rapporti che il cliente ha avuto in precedenza con le banche. In questo caso, la valutazione si basa su due fonti di informazione: • dati desumibili dalla Centrale dei Rischi; • rapporti precedenti con le banche di riferimento.


2.7.4. L'attribuzione del rating

Il giudizio sulla qualità/rischiosità del cliente viene espresso attraverso il rating, a cui è associata automaticamente, sulla base dell’esperienza maturata dalla banca, una determinata probabilità di insolvenza (probability of default). Maggiore è il punteggio assegnato, minore è il rischio per la banca e tanto minore il tasso di interesse applicato sul prestito; minore è il punteggio assegnato, maggiore è il rischio per la banca e maggiore potrà essere il tasso di interesse applicato sul prestito. Le scale su cui si basa il rating variano a seconda del modello utilizzato. I due più utilizzati sono: • Modello Standard & Poor’s: da AAA (miglior voto possibile) a D (situazione di insolvenza); • Modello Moody’s: da AAA (miglior giudizio possibile) a C (altissima probabilità di insolvenza). Il rating viene rivisto periodicamente, almeno una volta all’anno, per tener conto degli eventuali cambiamenti intervenuti nella struttura e nelle performance dell’impresa cliente. Le banche non sono obbligate a comunicare il rating ai propri clienti. Possono però decidere liberamente di informare la clientela affinché possa eventualmente correggere le criticità che concorrono a peggiorare il rating. Questa informazione non è tuttavia sufficiente per capire se si è stati valutati correttamente e se il profilo di rischio assegnato è coerente con la situazione concreta. Bisogna conoscere quante classi di rating sono previste dalla banca (la normativa ne prevede un minimo di nove, ma è possibile che siano di più). Per default si intende lo stato di insolvenza di un cliente a cui la banca ha concesso un prestito. Sulla base dell’Accordo di Basilea II, il concetto di insolvenza non è limitato solo al caso in cui la banca ritenga improbabile che il cliente possa rimborsare il prestito; si considera in default anche il cliente che ritardi il pagamento o il rimborso di una o più parti del finanziamento per oltre 90 giorni. Come si è detto, considerando le peculiarità delle Pmi e di quelle italiane in particolare, è stato inizialmente concesso un periodo transitorio di cinque anni durante il quale è valsa la regola dei 180 giorni.


3. La Centrale Rischi

3.1. Natura e funzioni

La Centrale dei Rischi è un sistema informativo, gestito da Banca d’I­talia, che raccoglie ed elabora le informazioni che gli intermediari bancari e finanziari, vigilati dalla stessa Banca d’Italia, trasmettono periodicamente. Si tratta di uno strumento, a disposizione delle banche, che consente di gestire i rischi derivanti dal cumulo degli affidamenti presso più istituzioni creditizie e che funge anche da supporto a Banca d’Italia nella sua funzione di vigilanza.


3.2. La classificazione dei crediti. La normativa previgente [2]

Le banche e gli intermediari finanziari devono essere in grado di percepire e quindi manifestare la qualità del credito del proprio “portafoglio impieghi”. La Banca d’Italia richiede – tra l’altro – di verificare, in ottemperanza della normativa e degli obblighi di segnalazione di vigilanza, se i singoli crediti rientrino o meno nelle attività cc.dd. deteriorate. La variabile di classificazione, da parte dell’intermediario segnalante, può pertanto assumere la qualifica di “credito deteriorato” oppure “non deteriorato”. In tale contesto, la normativa di bilancio ed i principi contabili Ias/Ifrs prevedono l’identificazione dei past due loan ovvero delle “attività deteriorate”, che sono suddivisibili, in base al livello di patologia, in esposizioni: scadute o sconfinanti; ristrutturate; incagliate; a sofferenza. L’ordine esposto individua i diversi livelli di patologia dei crediti deteriorati, in ordine crescente. La prima categoria ricomprende le esposizioni che alla data di riferimento sono “scadute o sconfinanti” da oltre 90 giorni (ex 180 giorni) con carattere continuativo [3]. Questa categoria di crediti deve comprendere le esposizioni di cassa e quelle fuori bilancio, per le quali l’impresa di credito ha monitorato e rilevato una condizione di inadempimento persistente. Le esposizioni ristrutturate sono posizioni per le quali l’intermediario, a causa del deterioramento della situazione economica e finanziaria del debitore, acconsente a modificare le originarie condizioni contrattuali dando origine ad una perdita. Ciò avviene ad esempio a seguito del prolungamento di un finanziamento da tre a cinque anni, per il quale la banca subisce una riduzione degli interessi da incassare. Le esposizioni incagliate sono le posizioni dei clienti che versano in una situazione di temporanea difficoltà di tipo economico, finanziario, gestionale, nella prospettiva che tale situazione possa essere superata in un congruo limite di tempo. Gli “incagli oggettivi” sono quelle esposizioni per le quali si sono verificate congiuntamente le seguenti condizioni: “Posizioni scadute o sconfinanti” in via continuativa da oltre 270 giorni. Importi delle quote sconfinanti superiori almeno del 10% dell’intera espo­sizione. Le sofferenze corrispondono alle [continua ..]


3.3. Le novità introdotte dalla Circolare della Banca d’Italia n. 272/2014

Le novità principali possono essere sintetizzate come segue: •    ai fini delle segnalazioni statistiche di vigilanza le attività finanziarie deteriorate sono ripartite nelle categorie delle sofferenze, inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate. Rispetto alla classificazione attuale, dunque, è eliminata la categoria delle esposizioni ristrutturate, mentre quella degli incagli è sostituita dalle “inadempienze probabili”. La classificazione in tale ultima categoria è, innanzitutto, il risultato del giudizio della banca circa l’improbabilità che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie, indipendentemente dalla presenza di Eventuali importi (o rate) scaduti e non pagati. Si sottolinea, tra l’altro, che la sostituzione della precedente categoria degli incagli fa venir meno la nozione di “incaglio oggettivo” precedentemente contenuta nella Circolare n. 272; •    per quanto concerne le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate, è mantenuta l’attuale distinzione tra approccio “per singolo debitore” e approccio “per singola transazione” (quest’ultimo applicabile alle sole esposizioni retail). L’esposizione complessiva verso un debitore deve essere rilevata come scaduta e/o sconfinante qualora, alla data di riferimento della segnalazione, il maggiore tra i due seguenti valori sia pari o superiore alla soglia del 5%: –        o media delle quote scadute e/o sconfinanti sull’intera esposizione rilevate su base giornaliera nell’ultimo trimestre precedente; –        o quota scaduta e/o sconfinante sull’intera esposizione riferita alla data di riferimento della segnalazione. Ai fini del calcolo della soglia di rilevanza: • fermo restando il requisito della persistenza di una posizione scaduta e/o sconfinante da più di 90 giorni, nel numeratore si considerano anche le eventuali quote scadute da meno di 90 giorni su altre esposizioni; • nel numeratore non si considerano gli eventuali interessi di mora richiesti al cliente; • il denominatore deve essere calcolato considerando il valore contabile per i titoli e [continua ..]


4. I presupposti per la segnalazione di esposizioni a sofferenza

4.1. Le nozioni giuridiche di insolvenza (e crisi)

4.1.1. Il presupposto oggettivo del fallimento e del concordato preventivo

Il presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza e consiste – secondo la sua definizione tradizionale – nell’incapacità non più reversibile dell’imprenditore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Dallo stato d’insolvenza va tenuto distinto lo stato di crisi, che integra il presupposto oggettivo del concordato preventivo. Nello stato di crisi rientrano diverse situazioni, che si estendono dall’insol­venza vera e propria sino all’insolvenza reversibile ed alla semplice tensione finanziaria, cioè a quella difficoltà nell’adempimento dei propri debiti. Prima della riforma della legge fallimentare, una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza dissentivano sul fatto che la crisi potesse ricomprendere l’insolvenza, identificandola esclusivamente in una condizione meno grave del dissesto; ritenevano, quindi, che potessero accedere al concordato i soli imprenditori che si trovassero in uno stato di difficoltà finanziaria temporanea e reversibile. A chiarire ogni possibile incertezza è intervenuto l’art. 36 del decreto legge 22 dicembre 2006 (c.d. decreto milleproroghe), per effetto del quale al testo originariamente vigente dell’art. 160 legge fall. è stato aggiunto l’inciso: «Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza».


4.1.2. Il sovraindebitamento

La composizione delle crisi da sovraindebitamento è una procedura concorsuale avente lo scopo di “porre rimedio” alle situazioni di sovraindebitamento non soggette, né assoggettabili, alle altre procedure concorsuali. In particolare, sono previste tre forme di composizione della crisi: l’accordo del debitore, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio. Il sovraindebitamento è una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte dal debitore e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente. Il sovraindebitamento può riguardare qualunque soggetto, a prescindere dalla sua qualità o meno di imprenditore. Il soggetto che può accedere ai procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento è, dunque, genericamente designato con il termine di “debitore”. La legge non collega l’ambito di applicazione della normativa in esame al tipo di attività svolta dal debitore e, pertanto, il ricorso a tali procedure prescinde dallo svolgimento dell’attività di impresa, potendo così riguardare ogni tipologia di lavoratore, autonomo o dipendente, i professionisti, o anche soggetti che non svolgono alcuna attività lavorativa. All’interno della categoria dei debitori è stata, poi, individuata la figura del “consumatore”, il quale viene definito dall’art. 6, comma 2, lett. b), legge n. 3/2012, come «il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta». Soltanto il debitore in stato di sovraindembitamento che rivesta la qualità di consumatore può, in alternativa all’accordo del debitore ed alla liquidazione del patrimonio, ricorrere al piano del consumatore. La qualifica di consumatore deriva dalla tipologia di obbligazioni per le quali si verifica la situazione di sovraindebitamento e prescinde, invece, dal tipo di attività normalmente svolta dal debitore. Può, quindi, rientrare in tale nozione di consumatore anche un imprenditore, pur sempre non soggetto né assoggettabile ad altre procedure concorsuali, qualora egli sia insolvente relativamente ad obbligazioni [continua ..]


4.2. Le nozioni economiche di insolvenza. Il Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti "Ruolo e supporto del dottore commercialista e dell'esperto contabile come consulente di direzione nei momenti di crisi dell’impresa" (Dicembre 2009)

4.2.1. Squilibrio e crisi

La vita delle imprese è caratterizzata da un’alternanza di periodi di successo e di insuccesso, ai quali le imprese solide sono peraltro abituate, senza che ciò generi allarmismi particolari. A caratterizzare la fase di declino possono concorrere ragioni di vario genere, riconducibili sia all’andamento tecnico-economico dell’impresa (motivi aziendali) sia a circostanze non direttamente correlate all’andamento aziendale (ad esempio, eventi extra-aziendali di tipo legale o politico). In questa prospettiva è possibile distinguere tra: cause aziendali fisiologiche; cause aziendali patologiche. Con la locuzione “crisi di impresa”, generalmente si intende fare riferimento a una manifestazione di tipo patologico che, partendo da fenomeni di squilibrio e/o di inefficienza interni o esterni, genera la perdita di valore economico dell’impresa. Può affermarsi, pertanto, che l’impresa si trova in una situazione di crisi irreversibile quando non sia in grado di operare secondo condizioni di economicità, con relativa incapacità di perseguire equilibri di natura economica, finanziaria e patrimoniale. La mancata produzione di utili, pur essendo un elemento significativo circa lo stato dell’impresa, deve essere considerata unitamente ad altri indicatori. Solo quando le cause da cui deriva un processo di crisi siano tali da impedire il ritorno ad una condizione di equilibrio, gli squilibri in atto si tramutano in vere e proprie criticità strutturali, sulle quali occorre intervenire ricorrendo a specifici strumenti correttivi. In definitiva, la crisi può essere definita come una manifestazione di tipo patologico, originata da squilibri ed inefficienze di origine interna o esterna all’impresa; manifestazione che si sviluppa progressivamente passando attraverso vari stadi di declino e di deterioramento delle condizioni aziendali.   STADI DELLA CRISI PROCESSO DIDETERIORAMENTO MANIFESTAZIONI Primo stadio Incubazione Squilibri in atto Secondo stadio Maturazione Perdite economiche   (Declino)   Terzo stadio Flussi finanziari negativi Carenza di liquidità eperdita di credito Quarto stadio Inasprimento dei rapporticon i terzi Insolvenza   (Crisi) Dissesto   È opportuno [continua ..]


5. I modelli predittivi

5.1. I modelli elementari. Il Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti "Crisi d'impresa. Strumenti per l'individuazione di una procedura d’allerta" (Gennaio 2005)

5.1.1. Premessa

Mentre lo stato di insolvenza è un presupposto facilmente accertabile, lo stesso non può dirsi della crisi d’impresa che rappresenta un “fenomeno empirico”, difficilmente standardardizzabile. Il proposito del modello elaborato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti è quello di creare una procedura che consenta, in armonia con le disposizioni e le prassi già utilizzate dagli enti creditizi nell’ambito dell’Ac­cordo di Basilea II, e con l’impostazione giuridica, di anticipare il fenomeno della crisi affinché il risultato non sia solo quello di perseguire esclusivamente finalità giuridiche ma anche di consentire una migliore gestione d’impresa. A tale fine occorre prendere le mosse dai dati di bilancio, rielaborati al fine di ottenere uno stato patrimoniale non tanto basato sul costo storico, quanto su criteri valutativi di mercato, e preferibilmente, in conformità alla prassi internazionale, sul fair value. La riscrittura dei dati al fair value deve essere articolata su determinati fattori riportati nel modello e tratti dai documenti nazionali e internazionali, emanati dallo IASB (International Accounting Standards Board) e dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), il quale ultimo si occupa di fornire supporto in relazione all’applicazione dei principi contabili internazionali in Italia, operando in stretto contatto con lo IASB. Tale sforzo intende migliorare la qualità dei prospetti dei bilanci e promuovere la convergenza verso un unico accounting standard in linea con l’International Financial Reporting Standards. La rielaborazione dei bilanci implica e comporta una riclassificazione del bilancio (stato patrimoniale e conto economico) basata su modelli predefiniti (per esempio, quello della centrale dei bilanci) tali da fornire una lettura gestionale dei prospetti contabili e, quindi, in grado di evidenziare la situazione finanziaria (stato patrimoniale), la destinazione e l’andamento divisionale delle performance (conto economico). Dopo tale fase, occorre prevedere un insieme di indicatori di bilancio ed extracontabili ritenuti particolarmente rilevanti per esprimere un giudizio sullo stato di salute dell’impresa. Anzitutto, dovrebbero essere considerati gli indici di solvibilità (per esempio, gli indici di indipendenza finanziaria, solidità del [continua ..]


5.1.2. La riclassificazione del bilancio

Talvolta, si verifica che i valori contabili delle voci di bilancio rappresentano la mera applicazione di regole contabili e seguono convenzioni e prassi ragionieristiche che, anche se applicate correttamente, forniscono una visione distorta dell’effettiva situazione aziendale. In molte occasioni, si osserva – soprattutto a livello internazionale – che il bilancio non è sempre in grado di fornire una informativa in grado di soddisfare le esigenze conoscitive di gran parte degli stakeholder e che, per poter raggiungere tale fine, è opportuno predisporre nuovi e specifici documenti volti a garantire una informazione tagliata su misura per gli specifici interessi. È opportuno osservare che la riclassificazione come le valutazioni delle poste di bilancio e le altre considerazioni in merito sono da riferirsi ad entità economiche per le quali si suppone una continuità operativa (going concern). Nel momento in cui, infatti, si presume che l’attività d’impresa è destinata a cessare volontariamente (scioglimento della società) o coattivamente (avvio di una procedura concorsuale), la prospettiva del redattore di bilancio muta, la classificazione e i prospetti contabili presentati assumono diversa forma e anche la valutazione delle voci di bilancio acquisisce peculiarità specifiche, tese a rispecchiare meglio le finalità del bilancio medesimo. Partendo dall’analisi delle più evolute tendenze internazionali in materia di valutazione ed esposizione delle poste, occorre quindi rivedere e correggere i dati quantitativi forniti tramite l’applicazione delle regole codicistiche e dei principi contabili nazionali, in modo da predisporre uno schema di bilancio riclassificato atto a rappresentare il più fedelmente possibile le effettive potenzialità che l’impresa può esprimere e se l’impresa sia in difficoltà possa o meno essere considerata già in crisi. Il punto di partenza consiste, quindi, nella rielaborazione degli schemi di bilancio, con riguardo sia allo stato patrimoniale sia al conto economico. Il bilancio rappresenta infatti per l’impresa il documento più significativo per la comunicazione finanziaria del proprio “stato di salute”. Il legislatore comunitario, con l’emanazione della IV Direttiva comunitaria (CEE 660/78), aveva l’intenzione di creare un [continua ..]


5.1.2.1. Lo stato patrimoniale

Come si è detto, il criterio ritenuto preferibile per la valutazione (di almeno alcune) delle poste di bilancio è il fair value inteso come «il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili». Ciò significa che nella valutazione dei beni devono essere considerate le condizioni di mercato, sul presupposto che le transazioni siano scevre da distorsioni connesse a specifici rapporti di forza tra i due contraenti – quali, per esempio transazioni commerciali tra società appartenenti al medesimo gruppo – ovvero dovute a situazioni patologiche d’impresa – quali bisogno di liquidità oppure, appunto, crisi d’impresa. La sola valutazione dei beni al fair value risulta assai rilevante perché di per sé potrebbe portare in evidenza una situazione di crisi d’impresa. Se il fair value degli elementi d’impresa è in media particolarmente basso rispetto alla media dei valori contabili, ciò significa che l’impresa potrebbe essere in difficoltà e decidere di non svalutare gli elementi di bilancio al fine di rendere più appetibile la propria immagine sul mercato. Per contro, una valutazione elevata del fair value rispetto ai valori contabili potrebbe essere indice del fatto che l’impresa esprime un potenziale maggiore rispetto a quanto si potrebbe ipotizzare da una prima lettura del bilancio. Tuttavia, per creare bilanci allineati alle migliori procedure internazionali e per creare, laddove possibile, corrispondenze opportune ed utili con la disciplina civilistica, devono essere utilizzati altri criteri valutativi – ad esempio quello del costo – ritenuti in grado di evidenziare il corretto valore dei beni.


5.1.2.2. Il conto economico

Con riferimento al conto economico, pare appropriato seguire la medesima impostazione proposta dal codice civile, in base alla quale le voci sono ripartite in relazione alla natura delle stesse. Si rende peraltro necessaria la valutazione dei beni esposti in bilancio a valori effettivi, affinché il Conto Economico insieme con lo Stato Patrimoniale non costituiscano un mero contenitore di numeri senza corrispondenza alla realtà dell’impresa, ma siano un utile strumento di sintesi di tutti quegli aspetti economico-aziendali che toccano da vicino la vita dell’impresa e la sua reale possibilità di ripresa in situazioni di difficoltà economica e/o finanziaria. La principale differenza che emerge dalla implementazione di criteri basati sui valori di mercato – ed in particolare sul fair value – consiste nel fatto che, non essendo più il principio del costo il criterio valutativo prevalente, l’am­mortamento perde di significato. Al posto dei termini “ammortamento”, “svalutazione” e “rivalutazione”, compaiono, quindi, voci di “rettifica” dei valori economici precedentemente iscritti in bilancio tese a modificare la stima del reale valore degli elementi attivi e passivi di bilancio.


5.1.2.3. Il rendiconto finanziario

Nell’ambito dell’informazione di bilancio, il Rendiconto finanziario assume un ruolo di primaria importanza. Non a caso il Regolamento CE n. 1606/2002 rendendo obbligatoria, a partire dal 2005, l’applicazione dei principi contabili internazionali ha previsto la redazione del rendiconto finanziario alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e a quelle tenute alla redazione del bilancio consolidato, secondo le modalità previste dallo IAS 7. Il Rendiconto fornisce indicazioni di carattere finanziario in termini di flussi. In particolare, le informazioni contenute nel Rendiconto Finanziario non sono destinate ad illustrare la situazione rilevabile in un determinato momento, bensì espongono le variazioni intervenute tra inizio e fine esercizio. In altri termini, mentre le informazioni contenute nello Stato Patrimoniale hanno natura essenzialmente statica, essendo costituite da saldi contabili di fine esercizio, il Rendiconto finanziario offre informazioni di carattere dinamico, esponendo – in termini di flussi – le variazioni intervenute nella situazione finanziaria d’impresa [4]. In tale ottica il rendiconto finanziario non è altro che il prospetto nel quale vengono rappresentati i flussi finanziari che si sono manifestati nel periodo di tempo intercorrente tra due esercizi consecutivi, fornendo informazioni utili per accertare la capacità dell’impresa a produrre disponibilità liquide o mezzi equivalenti e determinarne la necessità del loro impiego.


5.1.3. Gli indicatori delle performance economico-aziendali per la previsione della crisi d'impresa

La riclassificazione del bilancio al fair value costituisce e fornisce già di per sé una visione “reale” della situazione aziendale. Ciò nonostante, per l’individuazione di situazioni di crisi è opportuno costruire determinati parametri ed indici, funzionali ad una immediata rilevazione dei rischi economici e finanziari che l’impresa potrebbe correre nell’immediato futuro. Tali indici devono essere calcolati direttamente sui dati riclassificati e non sui dati contabili iscritti nel bilancio “civilistico”, al fine di sfruttare al meglio le potenzialità del sistema. Il sistema degli indici risulta, in aggiunta, tanto più rilevante quanto più la sua applicazione è costante nel tempo. Infatti, la comparazione sistematica e periodica può evidenziare trend economici e finanziari fondamentali per la comprensione dello stato di salute dell’impresa. La valutazione della “performance aziendale” tende, infatti, ad essere fondata sempre più sulla variazione subita dal valore degli indicatori aziendali in un determinato periodo di tempo piuttosto che sull’analisi dei risultati di bilancio. L’analisi del bilancio per indici consente una lettura o meglio una interpretazione dei dati contenuti nel bilancio dell’impresa, finalizzata a cogliere le performance economico-aziendali dell’impresa, cosicché possa essere rapidamente evidenziato un pericolo di crisi incombente o già in atto.


5.1.3.1. Gli indici di bilancio

L’eventuale insorgere di possibili stati di crisi può essere monitorato attraverso l’analisi di tre equazioni di base: Equazione patrimoniale; Equazione monetaria; Equazione economica. Equazione patrimoniale Lo squilibrio patrimoniale può essere rilevato, fondamentalmente, con l’au­silio delle seguenti categorie di indici: indici di durata; indici di solidità patrimoniale; indici di indebitamento. Equazione monetaria L’equazione monetaria mantiene l’equilibrio finanziario di cassa che in caso di squilibrio economico-patrimoniale potrebbe creare uno sbilanciamento a favore delle uscite. Gli indici che forniscono indicazioni sull’equilibrio finanziario a breve, ritenuti più significativi, sono: Indici di liquidità finanziaria; Margini finanziari. Margini finanziari. Equazione economica L’obiettivo fondamentale di ogni impresa è il raggiungimento di un reddito capace di remunerare adeguatamente il capitale investito. La realizzazione del­l’equilibrio economico è la condizione principale per avere una congrua redditività. La crisi può emergere quando i costi risultino costantemente superiori ai ricavi. L’analisi di redditività può essere studiata attraverso i seguenti indici: Indici di redditività; Indici finanziari; Indicatori extra-contabili. Per poter esprimere un giudizio completo sulla situazione d’impresa, occorrerebbe assumere a riferimento non solo indici di bilancio scaturenti da informazioni interne, ma anche indicatori costruiti su grandezze extra-contabili, quali: andamento portafoglio ordini; rotazione del personale e grado di affidabilità del personale; grado diknow-how in possesso dei dipendenti; customer satisfaction; indice di obsolescenza degli impianti (ricorrenza di guasti e riparazioni); indice del costo del lavoro; indici di produttività.


5.2. I modelli evoluti

Tali modelli possono essere suddivisi in due macrocategorie: modelli qualitativi e modelli quantitativi.


5.2.1. I modelli qualitativi

I modelli qualitativi si basano sul presupposto che un’analisi fondata meramente su dati numerici – e, in particolare, su indici di bilancio – limiti fortemente un giudizio di merito sullo stato di salute dell’impresa. Il modello qualitativo maggiormente diffuso ed apprezzato è l’“A score model”, elaborato da J. Argenti nel 1976, che si basa sulla seguente logica: le debolezze del management e le carenze a livello di sistema contabile (prima variabile) sono causa di errori (seconda variabile) che conducono ai sintomi del fallimento (terza variabile). Attribuendo un punteggio ad ogni singolo elemento componente le tre variabili testé indicate, è possibile ottenere un indice (“A score”), che, se inferiore a 25, denota un’elevata probabilità di insolvenza. La validità predittiva di tale modello, tuttavia, non è mai stata testata in modo scientifico ed è opinione condivisa che lo stesso pecchi di un’eccessiva “soggettività” nell’attribuzione dei punteggi.


5.2.2. I modelli quantitativi

I modelli quantitativi sono basati su alcuni indici di bilancio e, a loro volta, possono essere suddivisi, in modelli “teorici” e modelli “empirici”. La prima categoria non è mai stata utilizzata nella prassi, in quanto riguarda imprese “ideali” e persegue una logica astratta e troppo semplicistica, in base alla quale un valore di liquidazione inferiore alle passività conduce inevitabilmente al default. I modelli empirici, invece, utilizzano un approccio induttivo e statistico, testato su un campione di imprese significativo per trarre regole di valenza generale. I tentativi di elaborazione di modelli empirici sono stati molteplici: Beavel nel 1966, Altman nel 1968, Taffler e Tishaw nel 1977, Ezzamel, Brodie e Mar-Molinero nel 1987. Degno di menzione è anche il c.d. “Modello di Alberici”, che, per primo, ha trattato tali tematiche con un campione di imprese italiane.


5.2.2.1. Il modello "Z score model" di Altman

Nel 1968 Edward I. Altman (economista e professore alla New York University’s Stern School of Business) sviluppò un modello previsionale noto come test Z-SCORE3 [5]. Questo modello permette di prevedere, con tecniche statistiche, la probabilità di fallimento di un’impresa negli anni successivi. Il test fu sviluppato analizzando i dati di bilancio di 66 società industriali quotate, metà delle quali in default, e si dimostrò in grado di “prevedere” lo stato di default con un elevato grado di accuratezza. Il principale punto di forza del modello riguarda la semplicità d’uso: è sufficiente, infatti, risolvere un’equazione di primo grado ed ottenere un valore (lo “Z score”, appunto) da comparare con altri parametri (cc.dd. parametri di cut off) [6] per determinare se la società possa essere collocata nell’area di “presumibile insolvenza”, nell’area di “potenziale solvibilità” o nella c.d. “zona grigia” (grey area), in relazione alla quale non è possibile esprimere un giudizio definitivo, ma la cui appartenenza denota uno stato di salute economico-finanziaria precario. Tutti i dati necessari per il calcolo dello “Z score” possono essere desunti dal bilancio d’esercizio di ogni società. Il modello dello Z-Score, come la maggior parte dei modelli classificatori nell’ambito della diagnosi precoce del rischio di insolvenza aziendale, si basa sull’analisi statistica discriminante. Tale tecnica permette di classificare col minimo errore un insieme di unità statistiche in due o più gruppi individuati a priori (società fallite e non fallite), sulla base di un insieme di caratteristiche. Con l’analisi discriminante sono identificate alcune variabili indipendenti (normalmente indici di bilancio) alle quali, con elaborazioni statistiche, si attribuiscono “pesi” che consentono di ottenere un risultato espressivo della capacità dell’impresa di perdurare nel tempo. I risultati forniti dall’applicazione dello Z-score si sono dimostrati molto accurati negli anni passati ed hanno permesso, con un elevato grado di affidabilità, di determinare la possibilità di fallimento di molte società. La funzione discriminante elaborata da Altman per [continua ..]


6. Le tipologie di danno risarcibile

6.1. Il danno emergente ed il lucro cessante

Il danno patrimoniale (e il suo risarcimento) è individuabile nel nocumento arrecato alla sfera patrimoniale di un soggetto ed è costituito dal danno emergente (danno attuale) e dal lucro cessante (danni futuri, mancato guadagno, perdita di chance). La liquidazione del danno da lucro cessante ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c. necessita della prova, anche presuntiva, della certezza della sua reale esistenza, anche se tale esistenza sia futura o proiettabile nel futuro.


6.2. Il danno da perdita di chance

In ordine al danno derivante dalla perdita di chance, la Corte di Cassazione ha precisato che (sentenza n. 9598/1998): «La cosiddetta perdita di “chance” costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro. Come tale, essa è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza d’un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno». La Corte di Cassazione (sentenza n. 23846/2008) ha, successivamente, for­mulato il seguente principio: «Quando sia stata fornita la dimostrazione, anche in via presuntiva e di calcolo probabilistico, dell’esistenza di una chance di consecuzione di un vantaggio in relazione ad una determinata situazione giuridica, la perdita di tale chance è risarcibile come danno alla situazione giuridica di cui trattasi indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione. La idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta consecuzione è, viceversa, rilevante, soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa, posto che nel primo caso il valore della chance è certamente maggiore che nel secondo e, quindi, lo è il danno per la sua perdita, che, del resto, in presenza di una possibilità potrà anche essere escluso, all’esito di una valutazione in concreto della prossimità della chance rispetto alla consecuzione del risultato e della sua idoneità ad assicurarla». Infine, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 26 gennaio 2009, n. 1850) in materia di perdita di chance e risarcimento dei danni ha chiarito che: «Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma [continua ..]


6.3. Il danno all'immagine

Il danno non patrimoniale era originariamente inteso, secondo la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. seguita dall’unanime giurisprudenza della Suprema Corte e avallata anche dalla Consulta, come ogni pregiudizio di natura non patrimoniale derivante da lesioni di valori inerenti alla persona fisica protetti dalla Costituzione. La Suprema Corte (sentenza n. 12929/2007) ha ampliato la tutela riconosciuta dall’ordinamento alle persone giuridiche, producendo una sostanziale equiparazione con le persone fisiche per quanto riguarda il risarcimento dei danni non patrimoniali, con l’unica eccezione costituita dalla naturale esclusione del danno biologico per l’assenza del requisito della fisicità. In particolare, nella Sentenza da ultimo menzionata, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «Poiché anche nei confronti della persona giuridica e in genere dell’ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell’ente; allorquando si verifichi la lesione di tale immagine è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente che esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’en­te e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca. Il suddetto danno non patrimoniale va liquidato alla persona giuridica o all’en­te in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto». Con l’espressione danno all’immagine si suole comunemente individuare una pluralità di lesioni di diritti di diversa specie, e cioè in particolare: il diritto all’identità personale, ovvero quello a essere rappresentato con [continua ..]


7. La quantificazione del danno

7.1. I metodi di valutazione d’azienda

I metodi di valutazione d’azienda si possono distinguere in tre categorie: • metodi patrimoniali: si basano sulla valutazione analitica dei singoli elementi patrimoniali e muovono principalmente dall’analisi delle singole poste del bilancio per determinare il valore dell’impresa; • metodi reddituali: si basano sull’analisi dei flussi di reddito prodotti nel futuro; • metodi finanziari: l’attenzione è rivolta principalmente al flusso di cassa scontato. Storicamente i metodi finanziari nascono nel mondo finanziario anglosassone (USA e Gran Bretagna) negli anni sessanta e le molte critiche dei metodi reddituali sono all’origine della loro diffusione nel mondo finanziario. • metodi misti: utilizzano varie metodologie in modo integrato (es. patrimoniale-reddituale); • metodi empirici: si basano su opinioni diffuse in un determinato settore. Sono impiegati soprattutto per la facilità di applicazione che li contraddistinguono anche se hanno dei limiti nella valutazione efficace dell’impresa. Il loro impiego trova applicazione per valutare le piccole imprese che spesso sono di origine familiare; • metodo dei multipli: muovono dalla valutazione di prezzi probabili in base a confronti settoriali. Si basano sulla costruzione di una serie di coefficienti moltiplicatori, che permettono di identificare rapporti significativi per valutare l’impresa attraverso un confronto con imprese dello stesso tipo e sufficientemente omogenee.


7.2. Breve disamina dei metodi valutativi

7.2.1. Il metodo patrimoniale semplice

Il metodo patrimoniale semplice consiste nella valutazione dei beni complessi nelle loro singole componenti, intese come elementi dell’attivo e del passivo.


7.2.2. Il metodo patrimoniale complesso

Il metodo patrimoniale complesso costituisce un’integrazione del metodo patrimoniale semplice, in quanto consente di attribuire un valore separato a taluni beni intangibili. Esso assume particolare significato in presenza di ingenti valori di beni immateriali, la cui stima possa essere effettuata autonomamente, attraverso moltiplicatori di mercato o processi simili, oppure ove ricorra la necessità di determinare, con riferimenti oggettivi, il concorso di taluni beni intangibili nella formazione del valore. Attraverso tale metodo il valore del capitale economico è determinato sommando il valore degli elementi intangibili non iscritti in bilancio al patrimonio netto rettificato:   W = PNR + V.IMM   ove:   W = valore del capitale economico PNR = valore del patrimonio netto rettificato V.IMM = valore delle immaterialità non contabilizzante aventi o non aventi valore di mercato


7.2.3. Il metodo reddituale

Utilizzando il metodo reddituale puro, il valore di un bene è determinato unicamente in funzione dei redditi che, in base alle attese, essa sarà in grado di produrre. Tale metodo è indicato per beni ed imprese operanti in condizioni di equilibrio economico stabile e duraturo, senza particolari problemi finanziari e che sfruttano adeguatamente la loro capacità produttiva. Eventuali beni estranei al processo produttivo debbono ovviamente essere separatamente valutati mediante metodi appropriati. A seconda delle prospettive future e dei dati di cui si dispone, i metodi reddituali possono trovare applicazione secondo tre modalità di calcolo differenti che possono essere sintetizzate come segue: • attualizzazione del reddito medio normale atteso. Tale processo corrisponde all’ipotesi di durata indefinita nel tempo del reddito atteso e si traduce in una formula valutativa che corrisponde al valore attuale di una rendita perpetua; • attualizzazione del reddito medio normale atteso per un periodo definito di anni. Essa poggia sull’ipotesi di una durata limitata nel tempo del reddito e si traduce in una formula valutativa che corrisponde al valore attuale di una rendita annua posticipata di una durata pari ad un numero limitato di anni; • attualizzazione dei redditi analiticamente previsti per un certo numero di anni completata dalla determinazione di un valore terminale stimato sulla base del reddito atteso al termine del periodo oggetto di previsione analitica. Si tratta, come si può vedere, di un criterio di stima composito rispetto a quelli in precedenza indicati.


7.2.4. Il metodo misto con stima autonoma dell'avviamento

Il metodo in questione si fonda sul presupposto che il reddito prospettico comprenda una quota di sovra-reddito (o sotto-reddito) destinata a venire meno nel tempo.


7.2.5. Il metodo misto con valutazione controllata delle immobilizzazioni

Tale metodo è indicato per la valutazione di imprese in difficoltà o appartenenti a settori in crisi per le quali il rinnovo degli impianti non è conveniente. In queste condizioni, l’investitore si pone, infatti, quale limite temporale di sfruttamento, quello della vita utile degli impianti; momento a partire dal quale gli stessi – non presentando più alcuna utilità – perdono ogni significativo valore. Si tratta di un metodo compatibile solo con le realtà aziendali che non sono in grado di ripristinare un’adeguata redditività.


7.2.6. Il metodo misto EVA

Il metodo EVA (Economic Value Added) nasce come criterio di determinazione delle performance aziendali e conseguentemente è applicato anche come criterio di valutazione. La valutazione della performance differisce da quanto determinabile sulla base del risultato di bilancio in quanto essa: • muove dalla grandezza di reddito residuale (Nopat – Net Operating Profit After Tax) al fine di tenere conto del costo derivante dall’uso di tutti i capitali investiti, sia propri che di terzi; • fa riferimento ad una nozione di reddito normalizzato, vale a dire corretto al fine di minimizzare le distorsioni derivanti dall’applicazione dei principi e delle convezioni contabili. Costituisce una variante del metodo EVA, il metodo c.d. RAB (Regulated Asset Base) che trova applicazione nei segmenti di attività soggetti a regolamentazione per i quali il volume dei ricavi riconosciuti è determinato in base al capitale riconosciuto dall’autorità di regolamentazione.


7.2.7. Il metodo Discounted Cash Flow

Il metodo finanziario – conosciuto con il nome di Discounted Cash Flows (DCF) – è il processo di valutazione più diffuso, consistente nell’attualiz­za­zione dei flussi di cassa. Si tratta di un metodo di generale applicazione, in grado di attribuire un valore a qualsiasi bene o iniziativa indipendentemente dalle sue caratteristiche. È, infatti, indubbio che il valore effettivo di ogni bene o complesso di beni corrisponde sempre ai flussi di cassa che questa genererà in futuro. L’idea di base è, quindi, tanto semplice quanto robusta: nel lungo termine nessuna società può distribuire dividendi in misura superiore alla sua capacità di generare flussi di cassa. Il che se, da una parte, è vero, dalla parte opposta, non può prescindere dalla circostanza che l’affidabilità delle stime circa la misura ed il tempo in cui le risorse finanziarie si genereranno e si libereranno deve nella pratica fare i conti con la difficoltà di previsione dei flussi finanziari ed impone pertanto l’at­tenta verifica del risultato attraverso metodi di controllo.


7.2.8. I metodi dei multipli

Il metodo dei multipli consente di determinare il valore del capitale aziendale sulla base dei prezzi negoziati per titoli rappresentativi di quote del capitale di imprese comparabili in base al rapporto tra la loro capitalizzazione borsistica e parametri diversi, quali, a seconda dei casi, l’utile netto, l’EBIT, l’EBITDA, il Cash Earning, il fatturato, il Book Value. Le valutazioni così condotte si fondano su due ipotesi principali: • la sussistenza di un rapporto di proporzionalità diretta tra le variazioni del valore dell’impresa e le variazioni della grandezza economica scelta come parametro di performance; • la sostanziale analogia dei saggi di crescita attesi, dei flussi di cassa a­ziendali e del tasso di rischiosità tra la realtà oggetto di valutazione e le realtà comparabili. Quando entrambe le due ipotesi siano verificate, il metodo dei multipli fornisce una misura che talvolta si ritiene addirittura più oggettiva rispetto a quella ottenuta con i metodi basati sui flussi finanziari (DCF), poiché evita le stime proprie del metodo finanziario e assume direttamente dal mercato, attraverso, appunto, i multipli, le attese di crescita dei risultati e l’apprezzamento del rischio. Il suo momento critico risiede nell’elevata volatilità dei risultati che ne derivano, in conseguenza della volatilità dei corsi di borsa. Al fine di attenuare tale volatilità occorre porre una particolare attenzione nella selezione e nel calcolo dei multipli, distinguendosi tra: • multipli correnti (multipli spot), determinati confrontando il corso medio di borsa con le grandezze dell’ultimo bilancio disponibile; PO / ETO ove: ETO = utili per azione dell’ultimo esercizio • multipli trailing, determinati confrontando il corso medio di borsa dell’ul­timo anno con i risultati desunti dai dodici mesi precedenti alla data di riferimento assunta ai fini del calcolo degli indici. Essi vengono desunti dai dati diffusi dalle società quotate mediante la disamina delle ultime quattro relazioni trimestrali o dell’ultima relazione semestrale; PO / ELTM ove: ELTM = (LTM: Last Twelve Months) utili per azione del periodo relativo ai 12 mesi precedenti • multipli leading, determinati confrontando il corso medio di borsa con i risultati attesi per l’esercizio [continua ..]


8. La quantificazione del danno: le fattispecie riscontrabili

8.1. Il caso di imprese (o società)

8.1.1. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima conduca al default

Occorre, preliminarmente, distinguere fra impresa (o società) non operativa ed impresa operativa. Nel caso di impresa o società non operativa, il danno risarcibile può essere come di seguito classificato: • danno emergente: la valutazione del complesso aziendale deve essere opportunamente eseguita secondo il metodo patrimoniale, giacché non assume rilevanza la capacità del complesso aziendale di generare reddito, quanto piuttosto la sua consistenza patrimoniale; • lucro cessante e perdita di chance: tali componenti possono venire in evidenza soltanto nel caso in cui – all’epoca della segnalazione illegittima – fossero in corso eventuali trattative per l’acquisto di beni mobili o immobili e, in tal caso, il danno andrebbe commisurato all’eccedenza del valore normale degli stessi rispetto al prezzo convenuto. In ipotesi di impresa (o società operativa), il danno risarcibile può essere come di seguito classificato: • danno emergente e lucro cessante: la valutazione dovrebbe essere opportunamente eseguita secondo il metodo reddituale e quello finanziario ovvero, nel caso di piccole realtà imprenditoriali, sulla base dei metodi empirici (rules of thumb), giacché – in tale caso – il valore del complesso aziendale corrisponde alla sua capacità di generare reddito o flussi di cassa; • perdita di chance: tale componente viene in evidenza soltanto nel caso in cui – all’epoca della segnalazione illegittima – fossero in corso eventuali trattative per l’acquisto di beni mobili o immobili ovvero di imprese o rami d’im­presa e, in tal caso, il danno andrebbe commisurato sulla base dell’eccedenza del valore normale degli stessi rispetto al prezzo convenuto.


8.1.2. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima non conduca al default

In tale ipotesi, la quantificazione del danno deve passare attraverso una valutazione del pregiudizio in termini di valore patrimoniale o di redditività conseguente all’eventuale maggiore onerosità di fonti alternative di finanziamento.


8.2. Il caso di persone fisiche

8.2.1. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima conduca al default

Nel caso di persone fisiche, il danno risarcibile può essere come di seguito classificato: • danno emergente: la valutazione dovrebbe riguardare il complesso di beni facenti capo alla persona fisica sulla base dell’eccedenza del valore normale (netto) degli stessi; • lucro cessante e perdita di chance: tale componente viene in evidenza soltanto nel caso in cui – all’epoca della segnalazione illegittima – fossero in corso eventuali trattative per l’acquisto di beni mobili o immobili e, in tal caso, il danno dovrebbe essere quantificato sulla base dell’eccedenza del valore normale degli stessi rispetto al prezzo convenuto.


8.2.2. L'ipotesi in cui la segnalazione illegittima non conduca al default

Anche in tale caso, la quantificazione del danno deve passare attraverso una valutazione del pregiudizio in termini di valore patrimoniale o di redditività conseguente all’eventuale maggiore onerosità di fonti alternative di finanziamento.


8.3. Il danno all'immagine o reputazionale

La quantificazione del danno all’immagine o reputazionale – nella maggior parte di casi – non può che essere determinata dal Giudice secondo equità.


NOTE