Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La consulenza tecnica nell'ambito delle azioni di responsabilità di natura civile e penale (di Luciano M. Quattrocchio Alessandro Pastore Gianluca Giachino)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La verifica della (dis)omogeneità delle nozioni di perdita del capitale sociale e di stato di insolvenza - 3. La responsabilità degli organi societari - 4. Segue. La responsabilità degli organi societari - 5. Le irregolarità di bilancio - 6. Il tentativo di costruire un modello di analisi unitario


1. Premessa

Il curatore, quando si trova ad accertare la ricorrenza dei presupposti per l’esercizio di azioni di responsabilità, è spesso mosso dall’ambizione di ricercare un unico modello di riferimento; vorrebbe, cioè, individuare una metodologia che gli consenta di pervenire ad un unico risultato, utilizzabile in ambito sia civilistico sia penale. Scopo del presente lavoro è verificare se il perseguimento di tale obiettivo possa condurre alla prospettazione di una sorta di “Teoria del tutto”, attraverso la creazione di un ponte di collegamento fra le distinte discipline della responsabilità civilistica e penale; in ciò mutuando la ben più nota “Teoria del tutto” – elaborata nell’ambito della fisica teorica e identificata anche con l’acronimo TOE (Theory of everything) – che, ove dimostrata, sarebbe in grado di spiegare interamente tutti i fenomeni fisici conosciuti. E vero che alcuni scienziati affermano che i teoremi di incompletezza di Gödel dimostrano che un qualsiasi tentativo di costruire una teoria del tutto è destinato a fallire, ma è anche vero che tali teoremi valgono in campo matematico e non necessariamente in ambito giuridico. Vale quindi la pena di tentare.


2. La verifica della (dis)omogeneità delle nozioni di perdita del capitale sociale e di stato di insolvenza

2.1. Premessa Una prima questione che si impone all’operatore riguarda la verifica della coincidenza o meno delle situazioni di perdita del capitale sociale e di stato di insolvenza, che costituiscono – rispettivamente – i fondamentali presupposti per l’accertamento della ricorrenza delle ipotesi di responsabilità civilistica e penale, nei termini di cui si dirà più avanti. Purtroppo, nonostante – un po’ per semplicismo e un po’ per inerzia – le due situazioni vengano spesso fatte coincidere, si deve invece ritenere che la sovrapposizione non sia affatto scontata ed anzi si verifichi piuttosto di rado. Infatti, la perdita del capitale sociale – o, più correttamente, la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale in conseguenza di perdite superiori ad un terzo – è un dato di carattere economico-patrimoniale, agevol­mente accertabile attraverso l’esame del bilancio d’esercizio. Essa si verifica quando – per effetto delle perdite d’esercizio, che devono avere preventivamente eroso tutte le riserve – il capitale sociale risulti inciso per più di un terzo e si riduca, seppure solo virtualmente, al di sotto del minimo legale. Si tratta, quindi, di una situazione oggettiva e di agevole accertamento. Nella pratica professionale, la verifica viene condotta dopo avere apportato al bilancio d’esercizio le rettifiche necessarie per eliminare le conseguenze delle politiche di window dressing, in tal modo conferendo un margine di opinabilità al risultato raggiunto, che – tuttavia – per il resto rimane incontrovertibile. Costituisce, tuttavia, un errore – anche piuttosto grave – ritenere che la perdita del capitale sociale rappresenti un indice certo – o, peggio ancora, l’unico indice – di manifestazione dello stato di insolvenza. Se così fosse, infatti, si dovrebbe concludere che gran parte delle disposizioni dettate dal legislatore civilistico per disciplinare la liquidazione sarebbero inutili, giacché la liquidazione non potrebbe mai concludersi in bonis. Non bisogna, d’altronde, dimenticare che la principale causa di scioglimento delle società di capitali è costituita – per l’appunto – dalla perdita del capitale sociale. Né, d’altro canto, si deve ritenere che lo stato di [continua ..]


3. La responsabilità degli organi societari

3.1. La disciplina civilistica della responsabilità derivante da fatti autonomamente considerati 3.1.1. Premessa Dopo avere individuato la data cui far retroagire la perdita del capitale sociale e la data di manifestazione dello stato di insolvenza, occorre – in primo luogo – verificare se siano state poste in essere operazioni pregiudizievoli, dalle quali possano scaturire ipotesi di responsabilità in capo agli organi societari, prima sul piano civilistico e poi su quello penale. Come è noto, la responsabilità degli amministratori di società per azioni ha subito con la riforma societaria un sensibile maquillage normativo. In particolare, dal confronto fra le diverse versioni ante e post riforma emergono tre importanti novità: • una diversa specificazione del grado di diligenza esigibile dagli amministratori, con l’abbandono del riferimento alla diligenza del mandatario e l’assunzione di quella «richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze»; • la delimitazione della c.d. responsabilità in vigilando, con la sostituzione dell’obbligo di vigilare sull’andamento della gestione con quello di informazione di cui all’art. 2381, comma 3, c.c.; • la ridefinizione della responsabilità per gli atti compiuti in esecuzione di funzioni proprie degli amministratori delegati. Particolare attenzione merita la prima di queste innovazioni, dove appare evidente come il legislatore abbia fatto riferimento – nell’individuare il parametro di responsabilità – non più all’art. 1176, comma 1, c.c., bensì al comma 2 di tale norma. Ne deriva che, alla stregua di tale scelta, la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata e – quindi – si deve tenere conto, nel “misurare” la diligenza dell’operato degli amministratori: • della eventuale complessità dell’incarico; • delle particolari conoscenze richieste; • dei mezzi e delle risorse disponibili per lo svolgimento dell’incarico medesimo. In questo quadro si tende a escludere che la mancanza di perizia sia sinonimo di mancanza di diligenza, dovendosi piuttosto ritenere che – ai sensi dell’art. 2381, ultimo comma, c.c. – [continua ..]


4. Segue. La responsabilità degli organi societari

4.1. La disciplina civilistica della violazione del divieto di compiere operazioni non conservative Le disposizioni che vengono più frequentemente invocate nella prassi, con riguardo alla responsabilità degli amministratori, attengano agli artt. 2485 ss. c.c. Queste stabiliscono che, verificatasi una causa di scioglimento, gli amministratori – senza indugio – devono iscriverla nel registro delle imprese, con il conseguente obbligo di limitare la gestione alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Tale fattispecie è, di regola, strettamente connessa con le norme che presiedono alla redazione del bilancio, sostanziandosi – spesso – in appostazioni non veritiere, allo scopo di occultare la perdita del capitale e quindi la manifestazione della causa di scioglimento. Più in particolare merita sottolineare come – in seguito alla riforma del 2003 – la violazione imputata agli amministratori non è più il compimento di nuove operazioni, ma il ritardo o l’omissione di accertare senza indugio il verificarsi della causa di scioglimento e della sua conseguente iscrizione al registro imprese. Dove, peraltro, sul piano delle conseguenze la situazione non è molto diversa dal passato, dovendo rispondere gli amministratori per non aver limitato la loro gestione alla conservazione del patrimonio, con conseguente risarcimento dei danni per le operazioni non finalizzate alla liquidazione della società. Premesso che qualsivoglia azione di responsabilità presuppone la sussistenza di un danno eziologicamente riferibile al comportamento degli amministratori, dove nesso causale e onere probatorio si atteggiano diversamente a seconda del tipo di azione: nell’azione ex art. 2392 c.c. basta dimostrare l’e­sistenza del danno, incombendo sugli amministratori la prova dell’insussi­stenza del nesso di causalità; nel caso dell’art. 2394 c.c. l’onere della prova è tutto a carico dei creditori sociali, ovvero – in caso di fallimento – della procedura. In tale contesto, è necessario precisare quale sia il danno risarcibile conseguente al comportamento negligente degli amministratori. In particolare, posto che in linea generale vale la regola che il criterio deve essere quello di commisurare il danno al pregiudizio arrecato da ogni singola operazione lesiva del [continua ..]


5. Le irregolarità di bilancio

5.1. La disciplina civilistica. Le conseguenze derivanti dalla predisposizione di un bilancio che presenta vizi sostanziali A ridosso del fallimento, ma spesso anche molto tempo prima, gli amministratori tendono ad effettuare operazioni di maquillage del bilancio, soprattutto al fine di occultare la perdita del capitale sociale. Il bilancio d’e­ser­cizio può – dunque – presentare irregolarità che riguardano il suo contenuto. Le conseguenze civilistiche della violazione dei princìpi di chiarezza, verità e correttezza non sono – tuttavia – univoche; tende comunque a prevalere, in dottrina e soprattutto in giurisprudenza, la tesi più rigorosa della nullità della delibera di approvazione del bilancio che presenti una violazione dei principi di chiarezza, verità e correttezza. Si ritiene, infatti, che la delibera di approvazione di un bilancio non chiaro, veritiero e corretto abbia oggetto (contenuto) illecito, in quanto adottata in contrasto con norme imperative inderogabili dettate a tutela di un interesse generale. Tuttavia, si ritiene che la violazione dei principi generali possa condurre alla nullità della delibera solo quando i vizi siano tali da compromettere effettivamente la funzione informativa del bilancio, con reale pregiudizio per i soci e per i terzi. Non si avrebbe per contro nullità della delibera, quando i vizi sono marginali e non compromettono la precisa rappresentazione della situazione patrimoniale e del risultato economico di esercizio. Come è noto, significative limitazioni all’impugnativa dei bilanci sono state introdotte, dapprima per i soli bilanci delle società sottoposte a revisione contabile obbligatoria con l’art. 6, d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136 (ora art. 157 t.u.f.), ed estese a tutte le società per azioni con la riforma del 2003 che ha introdotto una speciale disciplina (art. 2434-bis) volta a dare certezza e stabilità alla delibera di approvazione del bilancio. Quanto ai rimedi successivi, l’art. 2434-bis c.c. prevede che: «Le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’ap­provazione del bilancio dell’esercizio successivo […] La legittimazione ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio su cui il [continua ..]


6. Il tentativo di costruire un modello di analisi unitario