Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il diritto pubblico europeo e l'attività integrativa della giustizia comunitaria (di Mario Airoldi)


SOMMARIO:

1. La normativa europea: un termine generico - 2. La contestazione degli atti normativi delle Istituzioni - 3. La contestazione degli atti delle Istituzioni - NOTE


1. La normativa europea: un termine generico

L’operatore, che nell’ordinamento italiano guarda per necessità professionale al sistema normativo europeo, è costretto a fare i conti non soltanto tanto con quello promanante dall’UE, quanto, più raramente, con quello riferibile alla CEDU [1] oppure ancora, seppur impropriamente, con quello italiano avente ad oggetto il recepimento delle disposizioni comunitarie (si tratta per lo più di direttive: il richiamo è alla cosiddetta Legge comunitaria, di cui alla legge n. 86/1989 poi sostituita dalla legge, 4 febbraio 2005, n. 11). Nell’ambito dell’ordinamento strettamente comunitario, poi, si deve prendere in considerazione una produzione giuridica, che si esplica tanto attraverso specifici e codificati procedimenti normativi, quanto in via pretoria. Lo scenario è ulteriormente complicato dalle continue trasformazioni e sovrapposizioni che anche di recente si sono risolte, fra l’altro, nel cambiamento dei testi “costituzionali” di riferimento nonché, a cascata, di quelli da essi dipendenti. L’ultimo intervento di questo tipo è scaturito dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007. Risultato è che i Trattati [2], analogamente a quanto accade per la nostra Costituzione, fungono – qualora non direttamente applicabili – da necessario parametro per mantenere l’equilibrio dell’Unione ovvero per conformare ad essi gli atti delle Istituzioni e degli Stati membri, nonché per valutarne la legittimità, risultano per certi versi disomogenei in quanto hanno fuso due Trattati (quello UE e quello CE) nati per finalità radicalmente differenti (l’uno politico e l’altro economico), con diversa autorità sia nel diritto interno degli Stati, sia a livello internazionale. Sotto il profilo della politica normativa invece non si può fare a meno di rilevare come essi ora abbiano assunto proporzioni e contenuti poco conformi ai fini di una carta fondamentale. In altre parole: la carta fondamentale per adattarsi alle mutevoli esigenze politiche (soprattutto dell’economia, visto che il TCE – riversato nel TFUE – ha un contenuto dichiaratamente economico) deve contenere – a pena paralisi – dei principi, limitando al massimo la normativa di dettaglio. Per di più l’attuale lettera dei TFUE – forse per forzare il processo [continua ..]


2. La contestazione degli atti normativi delle Istituzioni

Tra la norma comunitaria (per lo più un regolamento) e quella nazionale di livello primario può ovviamente sorgere un contrasto. Meno ovvio è invece individuare l’organo chiamato a risolverlo (CG, Corte costituzionale o giudice dinnanzi a cui si svolge la causa) e il testo che funga da parametro di confronto (i Trattati europei o la Costituzione). La scelta fra la nostra Carta fondamentale e quella europea, come è noto, fu a lungo discussa e fu incentrata soprattutto sul fatto che CG sosteneva che i giudici in corso di causa dovessero, in ossequio ai Trattati, disapplicare la norma nazionale, trascurando che è regola generale del nostro ordinamento che i giudici siano tenuti all’applicazione della legge e in caso di dubbio non possano agire autonomamente, ma debbano sospendere il giudizio e rivolgersi alla Corte Costituzionale. Da parte sua la Corte Costituzionale insisteva a porre sullo stesso piano le norme legislative con quelle regolamentari europee, giustificando di conseguenza l’applicazione del principio cronologico (per cui di fatto la legge successiva sarebbe prevalsa su quella regolamentare precedente e viceversa). Successivamente la Consulta mutava orientamento, riconoscendo che, essendosi trasferito agli organi delle Comunità il potere di emanare nor­me giuridiche in determinate materie, in quell’ambito le norme di legge dovevano cedere di fronte ai regolamenti europei anche anteriori per il fatto che la discrepanza con quei regolamenti poneva la norma di legge in contrasto con l’art. 11 Cost. [13]. Le divergenze sostanziali potevano quindi dirsi superate – anche se con qualche difficoltà [14] – mentre la Corte Costituzionale insisteva nel rivendicare a sé la competenza a dirimere il contrasto fra i due ordinamenti (reputando che la questione, essendo sorta in ambito nazionale, fosse di rilevanza costituzionale). La CG anche su questo punto prese posizione, dichiarando incompatibile con il diritto europeo che la soluzione conflitto fosse riservata ad organo diverso dal giudice, cui era affidato il compito di garantire il diritto comunitario [15]. Il quale giudice peraltro non doveva chiedere o attendere la previa rimozione del contrasto per via legislativa o attraverso qualsiasi altro procedimento costituzionale, ma era tenuto ad operare autonomamente. Infine con la sentenza Granital [16] la Corte [continua ..]


3. La contestazione degli atti delle Istituzioni

Gli atti amministrativi delle Istituzioni europee possono essere contestati dai privati dinnanzi ai giudici comunitari. In tal caso sono percorribili il ricorso per annullamento [18], ora disciplinato dall’art. 263 s. TFUE (già art. 230 e originariamente art. 173) nonché il ricorso in carenza [19], ora previsto dall’art. 265 s. TFUE (già art. 232 e originariamente art. 175). Diverso è il caso – come si è visto – delle pronunce pregiudiziali, ora contemplate dall’art. 267 TFUE (già art. 234 e originariamente art. 177) [20], che passano attraverso il “filtro” del giudice del processo. Il ricorso per annullamento (in francese recours en excés de pouvoir [21]) è a grandi linee analogo al nostro ricorso contro l’illegittimità di un atto amministrativo, anche se esistono alcune non fondamentali diversità. I vizi di legittimità contestabili infatti corrispondono formalmente ai nostri, sennonché il vizio di violazione di legge compare in due forme distinte: come violazione delle forme sostanziali e come violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione. L’ampliamento di tale figura è verosimilmente da attribuire allo scarso successo che, nell’esperienza francese e a differenza di quella italiana, ha riscosso il vizio di sviamento di potere. Altra peculiarità degna di nota consiste nella possibilità nell’ordina­mento comunitario di impugnare (a determinate condizioni) anche i regolamenti, che – in assenza di atti intermedi fra essi e i Trattati costitutivi – possono essere considerati di fatto atti di normazione primaria. Nella prima stesura dei Trattati il privato infatti poteva impugnare un regolamento che, pur apparendo diretto contro altre persone, lo riguardasse direttamente ed individualmente. Ora, giusto l’art. 263, comma 4, TFUE, da parte dei soggetti non privilegiati sono impugnabili gli atti definitivi (ad esclusione quindi degli atti meramente confermativi o preparatori ovvero che non siano raccomandazioni e pareri [22]) emanati dalle Istituzioni nell’esercizio del loro potere d’imperio e produttivi di effetti obbligatori nei confronti dei terzi, compresi gli atti legislativi che li riguardano direttamente e individualmente, e gli atti regolamentari che [continua ..]


NOTE