Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Informazione contabile (prospettica) e prevenzione della crisi d´impresa: un binomio indissolubile? (di Daniele Gasbarro, Cultore di “Ristrutturazione delle Imprese” nell’Università La Sapienza di Roma. Dottore Commercialista in Roma, Revisore Legale dei conti)


Lo scritto propone un’analisi approfondita del sistema di allerta e prevenzione della crisi d’impresa, introdotti dal legislatore con il d.lgs. n. 14/2019. Nello specifico, la trattazione si snoda a partire dal dato normativo, per poi soffermarsi sul rapporto tra il bilancio d’esercizio e l’intercettazione della crisi d’impresa, nonché sull’informazione contabile in generale, intesa in senso prospettico. Da ultimo, la trattazione analizza la struttura del bilancio d’esercizio ed i cambiamenti da apportare alla medesima, in un’ottica di prevenzione degli squilibri aziendali.

Accounting information (prospective) and business crisis prevention: an indissoluble combination?

The paper offers an in-depth analysis of the corporate crisis alert and prevention system, introduced by the legislator with Legislative Decree 14/2019. In particular, the essay begins with regulatory and legal elements, and then it focuses on the relationship between the financial statements and the interception of the business crisis, as well as accounting information in general, in a prospective sense. Lastly, the dissertation analyzes the structure of the financial statements and the changes to be made to it, with a view to preventing corporate imbalances.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il bilancio d’esercizio: un ambiente asfittico per l’intercettazione della crisi d’impresa? - 3. Individuazione della crisi d’impresa e base contabile: linee evolutive - 4. La struttura del bilancio d’esercizio: un possibile cambio di paradigma l’intercettazione precoce degli squilibri aziendali - 5. Conclusioni - Bibliografia - NOTE


1. Introduzione

La riforma della disciplina della crisi d’impresa, con il d.lgs. n. 14/2019, ha valorizzato, tra gli altri aspetti, la necessità di intercettare subito le criticità potenzialmente lesive della continuità aziendale. Il legislatore ha predisposto a tale scopo il c.d. sistema di allerta, che recepisce gli strumenti di indagine tipici della scienza economico-aziendale. Questa, pertanto, irrompe prepotentemente nella riformata disciplina, dove trova piena cittadinanza, e rappresenta l’approccio interdisciplinare recepito dal legislatore. La disciplina previgente, invece, si basava su un approccio monodisciplinare. L’arretramento del raggio d’azione degli strumenti preventivi della crisi aziendale costituirebbe, pertanto, uno degli aspetti più importanti della suddetta riforma. Proseguirebbe, a ben vedere, nel solco dei precedenti interventi, ma si percepisce uno spiccato tratto preventivo che consiste nel monitoraggio costante di taluni parametri aziendali (il patrimonio netto, la sostenibilità dei debiti e altri indici). I precedenti interventi normativi, invece, hanno introdotto ulteriori istituti giuridici. La prevenzione della crisi d’impresa, pertanto, privilegerebbe una sorta di approccio interno tramite l’osservazione dei suddetti parametri. In questo scritto si tenterà di approfondire il secondo livello del c.d. sistema di allerta, relativo alla sostenibilità futura dei debiti, in rapporto alla base contabile di riferimento. L’intercettazione dei primi, incerti (e, forse, presunti) segnali di crisi si baserebbe, a ben vedere, secondo un ragionamento indiretto, sull’apprezzamento dell’informazione contabile prospettica. Questa costituirebbe una base informativa necessaria per la valutazione della sostenibilità futura dei debiti. In buona sostanza, all’impresa si chiederebbe di informare sulla propria stabilità finanziaria prospettica. L’obiettivo è ambizioso ma – come si tenterà di dimostrare in questo scritto – avrebbe richiesto probabilmente un intervento più ampio, arioso e sistematico rispetto alla rivisitazione della disciplina della crisi d’impresa. Queste prime notazioni critiche troverebbero conferma nel comma 1, art. 13, d.lgs. n. 14/2019, là dove gli squilibri aziendali dovrebbero essere rilevati con indici in grado di dimostrare la sostenibilità dei debiti per i [continua ..]


2. Il bilancio d’esercizio: un ambiente asfittico per l’intercettazione della crisi d’impresa?

In questo paragrafo chi scrive tenterà di sviluppare un ragionamento sui limiti del bilancio di esercizio sulla rappresentazione della performance economico-finanziaria prospettica dell’impresa. Le osservazioni critiche che attraversano queste righe, dovrebbero evidenziare una sorta di asfissia che affliggerebbe il bilancio di esercizio alla luce delle definizioni di crisi e insolvenza contenute nel CCII. Queste notazioni critiche troveranno una sorta di valvola di sfogo nel successivo paragrafo dedicato al rapporto tra la crisi aziendale, secondo un’ampia definizione, e l’informazione contabile. In prima battuta, chi scrive ritiene necessario richiamare taluni aspetti preliminari o, sia consentito, alcuni assaggi concettuali relativi ai principi che governano la formazione del reddito di esercizio, con particolare riguardo alla prudenza amministrativa e alla competenza economica. È pacifico il carattere unitario o inscindibile della vita aziendale, che fluisce ininterrottamente. Il c.d. reddito totale, pertanto, sarebbe la configurazione più completa sotto il profilo concettuale per esprimere la performance economico-finanziaria dell’impresa come, del resto, sostenuto dalla dottrina corale. Ma l’esigenza di disporre di informazioni tempestive sull’andamento economico e finanziario della gestione ha indotto la scienza economico-aziendale a dividere la vita dell’azienda in esercizi o periodi amministrativi. E qui la dottrina ha sviluppato taluni criteri per determinare il reddito relativo a ciascun esercizio, con particolare riguardo alle operazioni ancora in corso i cui effetti contabili devono essere collocati nell’esercizio corrente o in quello successivo. Da questi concetti basilari ne deriva che il reddito di esercizio è una mera convenzione contabile, che appaga il bisogno di informazione tempestiva dei soggetti interessati all’andamento della gestione aziendale (c.d. stakeholders) [1]. A questo punto è lecito chiedersi quali siano stati i criteri tecnici adottati dalla dottrina economico-aziendale per imputare il reddito totale dell’impresa ai singoli esercizi. La soluzione elaborata consiste nei principi della prudenza amministrativa e della competenza economica. L’applicazione congiunta di questi determina il criterio del costo storico, che costituisce una sorta di architrave della struttura e della disciplina contabile domestica. Ma se [continua ..]


3. Individuazione della crisi d’impresa e base contabile: linee evolutive

In questo paragrafo si tenterà di evidenziare il rapporto tra il bilancio di esercizio, e più in generale, tra l’informazione contabile e l’intercettazione della crisi d’impresa. Il ragionamento sviluppato si basa sul paragrafo precedente e sfocia nella tesi in base alla quale le definizioni di crisi e insolvenza contenute nella nuova disciplina presenterebbero profili critici con riferimento alle funzioni e alla struttura del bilancio d’esercizio. La riflessione critica proposta, tuttavia, attraversa le definizioni dei concetti di crisi offerte dalla dottrina, in rapporto alla capacità segnaletica dell’informazione contabile. Ebbene, la nozione di crisi d’impresa, prima della riforma, ne coglieva l’aspetto storico-statico perché la base informativa consisteva nel bilancio di esercizio nel quale confluiscono i risultati delle operazioni di gestione del periodo amministrativo. In buona sostanza, la definizione di crisi d’impresa scaturiva sovente dall’osservazione sistematica e ragionata di taluni parametri di diretta derivazione dalla contabilità generale. L’attuale disciplina della crisi aziendale, invece, ha spostato il baricentro dalla versione storico-statica della crisi a una prospettico-dinamica sul breve periodo. Ma il bilancio di esercizio, che costituisce ancora la principale fonte informativa esterna, non avrebbe una funzione predittiva della crisi d’impresa. Proprio perché il sistema informativo azien­dale è basato, coerentemente con la disciplina contabile domestica, e più in generale dell’Europa continentale, sui paradigmi del costo storico e della competenza economica. Di qui, pertanto, ne deriverebbe una sorta di dicotomia o, quantomeno, di latente incompatibilità tra l’informazione contabile storica da cui dovrebbe scaturire, secondo un rapporto di (alterata) consequenzialità, una nozione di crisi prospettica o in ottica looking forward. Il legislatore vi ha posto parziale rimedio, tramite il riferimento ai flussi finanziari prospettici. Ma persistono talune criticità, che saranno illustrate nel prosieguo. Ebbene, in questo paragrafo, si tenterà di far emergere proprio tale possibile contraddizione e di evidenziare i contorni dell’ambiente asfittico in cui si troverebbe il bilancio d’esercizio. Ciò premesso, si illustrerà la definizione di crisi, con [continua ..]


4. La struttura del bilancio d’esercizio: un possibile cambio di paradigma l’intercettazione precoce degli squilibri aziendali

Nel precedente paragrafo ci si è soffermati sulle definizioni di crisi e insolvenza contenute nella nuova disciplina. Le implicazioni che ne derivano hanno effetti rilevanti e, a ben vedere, si estenderebbero oltre i confini del diritto della regolazione della crisi d’impresa. La tesi sostenuta in queste pagi­ne consiste, pertanto, nella necessità di ampliare la struttura del bilancio d’e­sercizio per rappresentare compiutamente l’evoluzione dell’aspetto finanzia­rio aziendale. Il C.N.D.C.E.C., come già evidenziato, ha previsto di desumere i flussi finanziari dal c.d. budget di tesoreria, in modo che il calcolo del D.S.C.R. prospettico potesse basarsi su una fonte informativa omogenea. Tale indicatore, pertanto, deriverebbe dal rapporto tra i flussi finanziari prospettici, come ora rilevato, e i debiti prospettici relativi al medesimo periodo. E qui potrebbe chiudersi la partita, senza tante esitazioni. Ma a parere di chi scrive sarebbe necessario evidenziare aspetti forse sfuggiti al legislatore o quantomeno sottovalutati. Si consideri, infatti, che la valutazione della sostenibilità dei debiti, elemento cardine del c.d. sistema di allerta, si basa sulla determinazione del D.S.C.R. Questo, giova rammentarlo, deriva dal rapporto tra i flussi finanziari operativi prospettici e i flussi finanziari di debito. Ne deriva che la predisposizione arbitraria del c.d. budget di tesoreria o del piano finanziario potrebbe permettere valutazioni opportunistiche. L’impresa, in buona sostanza, potrebbe cercare di ottenere un risultato positivo del D.S.C.R. tramite la sopravvalutazione del numeratore del suddetto rapporto e/o tramite la compressione del denominatore. Volendo enfatizzare l’ipotesi ora paventata, l’impresa avrebbe la possibilità di governare l’esito della sostenibilità dei debiti. Il rischio di esautorare o di depotenziare la capacità segnaletica dell’indicatore appena citato sarebbe ipotesi realistica. Questa prima argomentazione, pertanto, muove dalla necessità di proteggere il fine perseguito dal sistema di allerta. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto tramite l’innesto del piano o rendiconto finanziario prospettico nella struttura del bilancio d’esercizio. Il prospetto contabile in parola potrebbe essere rappresentato in forma autonoma e separata, oppure come una sorta di appendice al rendiconto finanziario c.d. [continua ..]


5. Conclusioni

Nel contributo chi scrive ha tentato di evidenziare il rapporto strettissimo tra la crisi d’impresa, nella fase diagnostica, e l’informazione contabile, in particolare prospettica. Questo rapporto è stato osservato criticamente e in chiave evolutiva. Le due discipline coeve, poiché risalenti al 1942, hanno conosciuto evoluzioni e, più in generale, percorsi differenti. Il diritto della crisi d’impresa è stato investito, come è noto, da riforme periodiche di rilevanti effetti innovativi dai tratti, per così dire, parossistici [44]. Queste hanno valorizzato la conservazione dell’impresa, a scapito della sua estinzione. Di qui, i piani aziendali hanno acquisito importanza crescente nella dottrina e nella prassi della gestione della crisi aziendale. La disciplina del bilancio di esercizio e il c.d. diritto contabile hanno conosciuto interventi riformatori piuttosto tenui relativi, perlopiù, al recepimento di principi sovranazionali in ambito IAS/IFRS [45]. Si consideri, infatti, che solo nel 2015 il legislatore ha innestato nel bilancio di esercizio il rendiconto finanziario tramite l’art. 6, d.lgs. n. 139 del 18 agosto 2015. La dottrina economico-aziendale da tempo ne sollecitava la redazione obbligatoria, consapevole della rilevante e imprescindibile funzione informativa. La disciplina contabile pare abbia trascurato o sottovalutato l’importanza dell’informazione contabile prospettica. La ridefinizione dei concetti di crisi e insolvenza potrebbe costituire una sorta di stimolo esterno per potenziare la capacità informativa contabile. Per superare la barriera annuale, quale periodo di riferimento, che costringerebbe il bilancio di esercizio in una sorta di ambiente asfittico. La pianificazione aziendale, pertanto, potrebbe svilupparsi per linee interne, così trovando una nuova direttrice di sviluppo oltre quella esterna che consiste nella predisposizione dei piani di superamento della crisi d’impresa [46]. Alla luce delle argomentazioni addotte, la disciplina contabile necessiterebbe, sia consentito, di una buona manutenzione. Questa consisterebbe nell’in­nesto del rendiconto finanziario prospettico, come appendice a quello tradizionale, nella struttura del bilancio di esercizio. Si badi, inoltre, alla descrizione dei criteri e delle assunzioni alla base delle proiezioni degli elementi patrimoniali e reddituali [ut supra, [continua ..]


Bibliografia

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NOTE