Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il pagamento del debito tributario e i suoi effetti sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (di Andrea De Carlo e Caterina Pellegrino, Avvocati Penalisti in Torino)


L’approfondimento fornisce il quadro di riferimento in materia di pagamento del debito tributario e dei correlati effetti sulla responsabilità degli enti, alla luce dei recenti interventi legislativi. In tale prospettiva di analisi, la trattazione prende avvio dalla disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto prevista dal d.lgs. n. 74/2000, per poi soffermarsi sulle novità introdotte dalla legge n. 157/2019 e dal d.lgs. n. 75/2020, recante norme di attuazione della direttiva UE 2017/1371. Infine, l’approfondimento si focalizza sugli effetti dell’estinzione del debito tributario sull’ente giuridico, analizzando gli effetti sia sulla punibilità, sia sulla confisca.

The payment of the tax debt and its effects on the legal liability of entities

The paper provides the reference framework for the payment of tax debt and the related effects on the liability of entities, within the context of the recent legislative interventions. Against this background, the dissertation begins with the discipline of offenses relating to income taxes and value added tax provided for by Legislative Decree 74/2000, and then focuses on the changes introduced by Law 157/2019 and by Legislative Decree 75/2020, laying down the implementation rules of the EU Directive 2017/1371. At the end, the paper focuses on the effects of the extinction of the tax debt on the legal entity, analyzing the effects on both punishment and confiscation.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il pagamento del debito tributario - 2.2. La circostanza attenuante di cui all’art. 13-bis, d.lgs. n. 74/2000 - 2.3. L’estinzione del debito tributario anche mediante speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento - 2.3.1. Segue: la transazione fiscale ex art. 182-ter L.F. - 2.4. Il patteggiamento - 3. Estinzione del debito tributario ed effetti sulla persona giuridica - 3.2. Gli effetti sulle scelte processuali e sul trattamento sanzionatorio dell’ente - 4. Gli effetti sulla confisca - NOTE


1. Premessa

La legge 19 dicembre 2019 n. 157 ha convertito con modificazioni il decreto legge n. 124 del 26 ottobre 2019, intitolato “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”. L’art. 39 del decreto citato è intervenuto sulla disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto prevista dal d.lgs. n. 74/2000. L’intervento legislativo, nel solco della precedente normativa, ha seguìto un doppio binario, affiancando ad un complessivo inasprimento della risposta sanzionatoria, declinata sotto diversi profili (pene, ampliamento delle ipotesi di confisca, abbassamento delle soglie, responsabilità degli enti, ecc.), un ampliamento delle ipotesi premiali (in termini di punibilità e di attenuazione della pena) legate al recupero delle somme illecitamente sottratte al Fisco. Sicuramente innovativi, invece, i due interventi sulla confisca (con la nuova figura della confisca allargata) e sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche con l’introduzione, tra i reati presupposto, di alcune fattispecie di reato previste dal d.lgs. n. 74/2000. Il catalogo dei reati presupposto è ora ulteriormente ampliato dal d.lgs. n. 75/2020 recante norme di attuazione della direttiva UE 2017/1371 (c.d. direttiva PIF), che ha esteso la responsabilità delle persone giuridiche a talune violazioni fiscali commesse a danno degli interessi finanziari dell’Unione Europea. Il nuovo art. 25-quinquiesdecies, d.lgs. n. 231/2001, rubricato “reati tributari”, sanziona con pene variabili da 300 a 500 quote le violazioni di cui agli artt. 2, 3, 8, 10 e 11, nonché degli artt. 4, 5 e 10-quater, d.lgs. n. 74/2000 se commessi, questi ultimi, nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a 10 milioni di euro, prevedendo l’aumento di un terzo della pena pecuniaria in caso di conseguimento di un profitto di rilevante entità, nonché l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, lett. c), d) ed e). La recente novella legislativa ha altresì previsto la punibilità del tentativo (salvo che il fatto integri il reato di cui all’art. 8) per i reati di cui agli artt. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 74/2000 se compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione [continua ..]


2. Il pagamento del debito tributario

2.1. Il nuovo art. 13, d.lgs. n. 74/2000 L’art. 39, comma 1, lett. q-bis) del d.l. n. 124/2019 ha modificato l’art. 13, d.lgs. n. 74/2000, estendendo la non punibilità prevista per i reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione (artt. 4 e 5, d.lgs. n. 74/2000) anche alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. n. 74/2000) e alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3, d.lgs. n. 74/2000). Il disvalore penale della condotta sottesa a tali ultime fattispecie, connotate dalla fraudolenza ed estranee all’errore o all’omissione tributaria giustificava, ad avviso della giurisprudenza [1], la impossibilità di estendere la causa di non punibilità anche a tali ipotesi di reato. Nella disciplina attuale, invece, anche i reati di cui agli articoli 2 e 3, d.lgs n. 74/2000 (quelli di cui agli artt. 4 e 5 erano già inclusi) non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. In relazione ai delitti dichiarativi in questione non è pertanto sufficiente il mero pagamento del debito tributario, ma occorre che questo intervenga attraverso una nuova e veritiera dichiarazione, presentata prima che la falsa od omessa rappresentazione della posizione debitoria del contribuente sia oggetto di verifiche ad opera dell’amministrazione finanziaria o dell’autorità inquirente. Di conseguenza, se ai fini amministrativi si può procedere con il ravvedimento anche dopo aver ricevuto un processo verbale di constatazione (PVC), ai fini penali ciò non sarà possibile, perché la causa di non punibilità scatterà soltanto nel caso in cui la regolarizzazione avvenga prima di qualunque controllo. Si tratta di una circostanza che, in effetti, riduce fortemente il ricorso a tale istituto, perché è difficile pensare [continua ..]


2.2. La circostanza attenuante di cui all’art. 13-bis, d.lgs. n. 74/2000

Per i reati di occultamento o distruzione di scritture contabili (art. 10) e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11), entrambi compresi nell’elenco dei reati presupposto di cui all’art. 25-quinquiesdecies, d.lgs. n. 231/2001, il pagamento del debito tributario consentirà di usufruire di uno sconto di pena ma non di escludere la punibilità del reato. L’estinzione del debito tributario, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, comporterà la riduzione della pena edittale fino alla metà. Di tale circostanza attenuante speciale ad effetto speciale potranno usufruire anche coloro che hanno commesso reati, come le dichiarazioni fraudolente di cui agli artt. 2 e 3, d.lgs. n. 74/2000, che non hanno pagato il debito tributario (comprensivo di interessi e sanzioni) prima di avere conoscenza di procedimenti penali o atti di accertamento amministrativo. Se il pagamento interverrà comunque prima del dibattimento, gli autori del reato non potranno usufruire della causa di non punibilità di cui all’art. 13, ma della sola circostanza attenuante speciale di cui all’art. 13-bis. Oltre alla riduzione di pena fino alla metà, il pagamento eseguito prima del­l’apertura del dibattimento avrà, quale ulteriore effetto, quello di evitare l’appli­cazione delle sanzioni accessorie previste dall’art. 12, d.lgs. n. 74/2000: interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria; pubblicazione della sentenza. Si ricorda che il pagamento può anche essere rateizzato e che il giudice può, per consentire di terminare i pagamenti, concedere un rinvio dell’udienza per un termine non superiore, complessivamente, a 6 mesi.


2.3. L’estinzione del debito tributario anche mediante speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento

Nell’ambito degli effetti conseguenti all’integrale pagamento del debito tributario assume una particolare importanza il significato del lemma “procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie” contenuto negli artt. 13 e 13-bis, d.lgs n. 74/2000. Iniziamo col dire che la formula “aperta” utilizzata dal legislatore consente di recepire, anche per il futuro, i nuovi istituti di carattere conciliativo che dovessero essere introdotti nel sistema tributario. Con riferimento alle procedure conciliative esistenti (e senza pretesa di esaustività), si pensi alle procedure di adesione disciplinate dal d.lgs. n. 218/1997 ed in particolare, tenuto conto delle abrogazioni conseguenti alla legge di stabilità del 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), all’accertamento con adesione su istanza del contribuente (art. 6 del decreto citato). A tali ipotesi si aggiunge la conciliazione giudiziale ex art. 48, d.lgs. n. 546/1992 e la mediazione tributaria (almeno per i reati privi di soglie di punibilità). Per quanto riguarda il ravvedimento operoso, che consiste nella sanatoria di irregolarità e violazioni tributarie posta in essere dal contribuente attraverso il versamento dell’imposta eventualmente dovuta, oltre ad una sanzione ridotta e agli interessi al tasso legale, la disciplina è stata modificata ad opera della legge di stabilità sopra citata. Anche il ravvedimento dovrà intervenire prima della formale conoscenza, da parte dell’interessato, di accertamenti ovvero di procedimenti a suo carico. È evidente che l’attività di accertamento deve riferirsi (solo o anche) al tributo per il quale si intende effettuare il ravvedimento, non rilevando un accertamento relativo a tributi diversi da quelli coinvolti dal reato tributario. Parimenti irrilevante l’accertamento relativo ad un periodo di imposta diverso da quello oggetto di contestazione penal-tributaria. In tutte queste ipotesi, il contribuente che “sfrutta” l’occasione di un accertamento con oggetto differente (in termini di voce o di periodo di imposta), potrà beneficiare della causa di non punibilità nel caso provveda al pagamento integrale di debito, sanzioni e interessi.


2.3.1. Segue: la transazione fiscale ex art. 182-ter L.F.

È possibile ritenere la transazione fiscale di cui all’art. 182-ter L.F. (r.d. n. 267/1942) una speciale procedura conciliativa e riconoscere, di conseguenza, che il rispetto delle sue condizioni possa avere gli effetti, richiamati nei paragrafi precedenti, previsti dagli art. 13 e 13-bis, d.lgs. n. 74/2000? Diciamo subito che le poche sentenze sul tema hanno escluso tale possibilità. Si prenda ad esempio quanto affermato dalla III sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 38877 del 6 giungo 2017: “in tema di reati finanziari, la causa di non punibilità, del pagamento del debito tributario, prevista dal D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 13, non è applicabile in caso di ammissione al concordato preventivo, atteso che la non punibilità è subordinata all’in­tegrale estinzione dell’obbligazione tributaria – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – mediante il pagamento anche in caso di espletamento delle speciali procedure conciliative previste dalle normative fiscali o dagli istituti della legge fallimentare”. Tale conclusione, tuttavia, sembra derivare non tanto dalla impossibilità di far rientrare il concordato preventivo, al cui interno si inserisce la transazione fiscale, tra le procedure conciliative richiamate dalla norma, quanto dal fatto che lo stesso sarebbe incompatibile con l’integrale pagamento del debito tributario. Non si vede infatti per quale ragione la transazione fiscale di cui all’art. 182-ter L.F. non possa rientrare tra le procedure conciliative richiamate genericamente dall’art. 13, d.lgs. n. 74/2000. Il profilo evidenziato dalla Cassazione pare differente e riguarda la necessità di provvedere «all’integrale pagamento degli importi dovuti» prima dell’apertura del dibattimento per poter beneficiare della causa di non punibilità. L’integrale pagamento richiesto dalla disposizione in esame non si concilia facilmente con le modalità attuative del ripianamento concordato e con la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento, di concordare con l’ente creditore una riduzione quantitativa, anche significativa rispetto all’importo originario, del debito tributario. Cionondimeno, si ritiene che la possibilità di includere la transazione fiscale nelle procedure richiamate dall’art. 13 e 13-bis possa far leva [continua ..]


2.4. Il patteggiamento

Come noto, per poter accedere al rito speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 ss. c.p.p., c.d. patteggiamento, occorre, per i reati tributari, avere estinto il debito tributario. Con riferimento ai reati che ci occupano, ovvero a quelli che costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (artt. 2, 3, 8, 10 e 11 nonché 4, 5, 10-quater se commessi in danno degli interessi fi­nanziari dell’Unione Europea nei termini sopra descritti), occorre tuttavia distinguere: la causa di non punibilità per i delitti di omessi versamenti e quelli di­chiarativi, infatti, non coincide. Mentre per i primi, estinguendo il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento il contribuente usufruirà della cau­sa di non punibilità prevista dall’art. 13, per i reati dichiarativi e di omessa dichiarazione (art. 5) è necessario che la ripresentazione della dichiarazione falsa o la presentazione della dichiarazione omessa, nonché tutti i pagamenti, avvengano prima di avere conoscenza di un procedimento penale o di accertamenti dell’autorità [2]. Se il pagamento del debito interverrà dopo che l’interessato avrà avuto conoscenza di una attività di controllo, egli non potrà usufruire della causa di non punibilità ma, oltre a poter usufruire dell’attenuante di cui all’art. 13-bis, potrà accedere al rito del patteggiamento. Per i reati di occultamento e distruzione delle scritture contabili (art. 10), invece, il patteggiamento potrà essere accordato senza alcun pagamento del debito, in quanto si tratta di illeciti che non presuppongono la sussistenza di un debito di imposta.


3. Estinzione del debito tributario ed effetti sulla persona giuridica

3.1. Gli effetti sulla punibilità Come abbiamo visto, l’art. 13, d.lgs. n. 74/2000 prevede una causa di non punibilità in favore del contribuente che abbia estinto il debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 10-quater, comma 1) ovvero prima della formale conoscenza di attività di accertamento amministrativo o della pendenza di un procedimento penale (artt. 2, 3, 4 e 5). Il medesimo istituto premiale non è stato esteso alla responsabilità amministrativa dipendente da reato, nell’ambito della quale vige il principio di autonomia della responsabilità della persona giuridica rispetto a quella della persona fisica che ha commesso il reato presupposto [3]. Ai sensi dell’art. 8, d.lgs. n. 231/2001, infatti, la società potrà essere chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo dipendente da reato anche quando il reo non sia stato identificato o non sia imputabile, oppure se il reato si sia estinto per una causa diversa dall’amnistia. La norma citata non menziona le cause di non punibilità tra le ipotesi che lascerebbero sussistere la responsabilità della persona giuridica; per tale motivo, parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ha ritenuto che le cause di non punibilità in favore del reo escludessero anche la responsabilità amministrativa dell’ente [4]. Invero, taluni ritengono che la ratio deflattiva sottesa ad alcune cause di non punibilità giustifichi la loro applicabilità anche alla società. In particolare con riferimento all’istituto premiale di cui all’art. 131-bis c.p. (“Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”), alcuni autori hanno sostenuto che l’estensione alla persona giuridica della citata causa di non punibilità sarebbe coerente con l’intento deflattivo della novella, che verrebbe altrimenti frustrato laddove il procedimento si arrestasse nei confronti della persona fisica e proseguisse, invece, per la società [5]. Analoghe considerazioni varrebbero anche per la causa di non punibilità tributaria, che ha un’e­vidente finalità deflattiva e, al contempo, riscossiva. L’istituto di cui all’art. 13, d.lgs. n. 74/2000, infatti, è volto a recuperare le imposte evase, con conseguente rinuncia dello Stato a perseguire [continua ..]


3.2. Gli effetti sulle scelte processuali e sul trattamento sanzionatorio dell’ente

A differenza dell’autonomia che in tema di responsabilità separa la posizione della persona fisica da quella della persona giuridica, tanto che a que­st’ultima non sarà applicabile la causa di non punibilità della quale potrà usufruire l’imputato nel caso abbia estinto il debito tributario nei tempi prescritti dalla legge, sulle scelte processuali le strade di ente e persona fisica tornano a convergere. L’art. 63, d.lgs. n. 231/2001, infatti, salvo nel caso in cui per l’illecito amministrativo sia prevista la sola pena pecuniaria, condiziona l’accesso al rito speciale del patteggiamento alla sua applicabilità all’imputato. L’ente potrà patteggiare la pena soltanto “se il giudizio nei confronti dell’imputato è definito ovvero definibile a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale”. Quest’ultimo, come si è detto, ne potrà beneficiare solo laddove, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, abbia integralmente estinto il debito tributario (art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000). Conseguentemente, l’estinzione del debito tributario, pur non avendo l’effetto più ampio di escludere la punibilità dell’ente giuridico, consentirà a quest’ultimo di definire la sua posizione mediante applicazione della pena su richiesta. Non solo. L’estinzione del debito fiscale comporterà anche una riduzione della pena pecuniaria. L’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 stabilisce che essa sia ridotta da un terzo alla metà se l’ente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, abbia integralmente risarcito il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. Nel caso l’ente abbia altresì adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi, la sanzione pecuniaria è diminuita dalla metà a due terzi. Inoltre, se ricorrono le condizioni previste dall’art. 17, d.lgs. n. 231/2001, vale a dire (i) risarcimento del danno ovvero eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, (ii) adozione di modelli idonei in grado di eliminare le carenze organizzative che hanno consentito il reato e, infine, (iii) messa a [continua ..]


4. Gli effetti sulla confisca

La possibilità di disporre la confisca dei beni della persona giuridica avvantaggiata dall’illecito commesso dal suo legale rappresentante è stata, fino al­l’introduzione dei reati fiscali nel d.lgs. n. 231/2001, oggetto di ampio dibattito in dottrina e in giurisprudenza [12]. Il problema, nello specifico, riguardava il fatto che in tutti i casi in cui il reato risultava commesso dal legale rappresentante nell’interesse della società, il profitto rimaneva nella disponibilità dell’ente ma il suo patrimonio non era “aggredibile”, perché la società non rispondeva né dell’illecito penale né di quello amministrativo dipendente da reato ex d.lgs. n. 231/2001. Mancava, in poche parole, una base giuridica che consentisse la confisca nei confronti delle persone giuridiche. La confisca tributaria, infatti, è applicabile al reo salvo che i beni appartengano a persona estranea al reato. Sul punto la giurisprudenza non ha espresso posizioni univoche. In taluni casi la Corte di Cassazione ha ritenuto che, in caso di violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante, la società non avrebbe potuto considerarsi persona estranea al reato, in quanto beneficiaria degli incrementi economici derivanti dallo stesso: “Il reato è addebitabile all’indagato, ma le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società in favore della quale la persona fisica ha agito salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto organico; questo principio, pacificamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, non richiede che l’ente sia responsabile ai sensi del d.lgs. 231/2001. […] Pertanto – come correttamente osservato dal giudice di merito – la società ricorrente non può considerarsi terza estranea al reato perché partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati; dal momento che il profitto non si può collegare, per la tipologia dell’illecito (n.d.r. art. 10, d.lgs. n. 74/2000) ad un bene individuale, il sequestro non poteva che essere disposto per equivalente” [13]. In altre occasioni la Cassazione è giunta a risultati opposti sul presupposto che la confisca non poteva essere disposta nei confronti della società, poiché le violazioni fiscali non figuravano nel catalogo dei reati presupposto di cui [continua ..]


NOTE