Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Le fonti di finanziamento delle cooperative (di Guido Bonfante)


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I canali di finanziamento della cooperativa sono sempre stati di modesta portata per ragioni direttamente collegate alle regole organizzative di questo istituto. Gli investitori, infatti, sono attirati a conferire capitali in società per due motivi di fondo: da un lato per la particolare redditività dell’investimento sia in termini di dividendi, sia in termini di patrimonializzazione della partecipazione in ragione dell’andamento gestionale, dall’altro per la possibilità di controllare o comunque influire sui destini societari in proporzione al numero di azioni possedute. Nessuna di queste finalità è facilmente raggiungibile nella cooperativa. I dividendi sono limitati e, a rigore, dovrebbero essere quantitativamente inferiori ai ristorni. Le riserve nelle cooperative a mutualità prevalente sono indivisibili, almeno per i soci cooperatori. Il voto per testa impedisce il controllo in assemblea della società. In questa situazione la storia della legislazione cooperativa, dagli anni Ottanta ad oggi, si caratterizza, in particolar modo, per il tentativo di superare questi ostacoli e incentivare e valorizzare l’investimento in cooperativa. Si tratta di un tentativo che ha riscosso scarsi successi soprattutto quando ha puntato, come con la l. 19 marzo 1983, n. 72, la c.d. legge Visentini bis, su una maggiore remunerazione della quota. La modesta circolabilità della partecipazione, l’impossibilità di una sua valorizzazione patrimoniale, la stessa regola dell’intassabilità degli utili mandati a riserva hanno nel loro complesso impedito che l’aumento potenziale della remunerazione potesse avere un effetto trainante nella ricerca di nuovi investitori.  In questa situazione l’unica strada praticabile, giudicata tale anche dalle legislazioni di altri stati europei, è stata quella di creare a fianco dei soci cooperatori un binario parallelo di soci capitalisti unicamente interessati alla remunerazione del capitale investito. È in questa logica che si spiega l’intro­duzione con la l. n. 59/1992 delle figure dei soci sovventori e delle azioni di partecipazione cooperativa il cui utilizzo fu sin da subito vietato alle cooperative di abitazione, alle cooperative di credito e di assicurazione. Le cooperative che intendono emettere azioni di sovvenzione devono prevedere nello statuto la costituzione di fondi per lo sviluppo tecnologico o per la ristrutturazione o il potenziamento aziendale. Non sono previsti limiti all’investimento capitalistico e a ciascun socio sovventore possono essere attribuiti più voti, ma in ogni caso il totale dei voti attribuiti non può (in verità come vedremo occorre dire non poteva) superare il terzo dei voti spettanti a tutti i soci. Infine al socio sovventore, titolare di azioni nominative e trasferibili (ma l’alienazione può essere [continua..]

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