Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

15/03/2019 - Azienda ceduta a prezzo incongruo: i soci sono legittimati a proporre querela nei confronti dell’amministratore

argomento: News del mese - Diritto Civile e Commerciale

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La Corte di Cassazione, con la Sentenza 18 dicembre 2018, n. 57077 afferma che il singolo socio possiede – disgiuntamente dalla società – la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore. Nel caso de quo, l’amministratore di una società veniva condannato – in primo ed in secondo grado – per aver ceduto l’intera azienda appartenente alla società dallo stesso amministrata, ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello congruo, avendo, inoltre, un interesse conflittuale con la società acquirente. Nel giudizio di Cassazione, la difesa dell’imputato lamenta: a) la tardività della querela presentata dalle parti offese, nonché il fatto che la medesima fosse stata presentata dai soci e non dalla società titolare del diritto; b) la mancanza di un qualsiasi danno economico per la società, versando la medesima in una condizione di crisi; c) il fatto che non potesse essere imputata all’amministratore unico la mancata previsione, nell’accordo di cessione, di un accollo da parte dell’acquirente dei debiti facenti capo all’azienda ceduta, posto che nella specie avrebbe comunque trovato applicazione l’art. 2558 c.c. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile per i seguenti motivi: i) per ciò che concerne la titolarità del diritto di querela, la richiesta viene qualificata come manifestamente infondata alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali a favore della titolarità del diritto anche da parte del socio (Sentenze n. 39506/2015 e n. 22495/2015), essendo quest’ultimo persona offesa dal reato di infedeltà patrimoniale e non soltanto danneggiata dal medesimo; ii) per ciò che concerne la tardività della querela – proposta dai soci di minoranza oltre i tre mesi – la censura è respinta sia per la sua genericità, sia perché la data da cui decorre il termine risulta essere quella in cui le persone acquisiscono esatta contezza dei fatti (onde nella specie il termine doveva ritenersi non scaduto); iii) per ciò che riguarda il mancato danno e l’accollo dei debiti, la Suprema Corte pone in evidenza come sia irrilevante il fatto che la società dovesse vendere a causa della situazione di crisi, nonché la posizione di controllo quale socio di maggioranza da parte dell’amministratore, poiché l’accusa non risulta essere quella di aver venduto l’azienda ma di averlo fatto ad un prezzo incongruo, a causa di un conflitto di interessi. Quanto all’accollo, in particolare, la Suprema Corte osserva che la norma di riferimento nella specie è non già l’art. 2558 c.c. bensì l’art. 2560 c.c., che certo prevede una forma di accollo esterno ex lege tra cedente e cessionario dell’azienda relativamente ai debiti aziendali iscritti nei libri contabili obbligatori, ma la solidarietà che ne scaturisce non esime il cedente, in difetto di specifici accordi interni con il cessionario, dall’obbligo di tenere indenne il cessionario per eventuali pagamenti che quest’ultimo fosse chiamato a eseguire a favore dei creditori: di qui il difetto nella condotta dell’amministratore della società cedente, che non abbia provveduto a introdurre i suddetti accordi interni.