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La corresponsione al lavoratore di somme inferiori a quelle indicate in busta paga non configura di per sé il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti per operazioni parzialmente inesistenti, se il debito residuo è riportato in bilancio. È quanto emerge dalla sentenza della Corte di cassazione n. 15241 depositata in data 15 maggio 2020. Il rappresentante legale di una società veniva condannato in due gradi di giudizio per dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture ed altri documenti per operazioni inesistenti in violazione dell’art.2, D.lgs. 74/2000. Nello specifico aveva versato a due dipendenti un importo inferiore rispetto a quello risultante in busta paga, l’importo restante era riportato in bilancio alla voce “debiti verso dipendenti”. Le somme erano riportate per intero nel libro giornale. Secondo i Giudici della Suprema Corte, che hanno accolto il ricorso del legale rappresentante, la mera discrasia rilevata nelle scritture contabili non è sufficiente a configurare il reato de quo. Gli Ermellini hanno precisato inoltre che l’indicazione in bilancio tra i debiti verso dipendenti delle somme non corrisposte escludeva la sussistenza di un comportamento fraudolento. Le prestazioni lavorative erano state, poi, effettivamente rese e i relativi costi riportati nelle buste paga. Per tali motivi il ricorrente veniva considerato estraneo alla condotta ascritta.