argomento: News del mese - Diritto Tributario
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Il contribuente che effettua cessioni di beni non imponibili a seguito di falsa dichiarazione di intenti del cliente commette il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, se gestisce di fatto il trasporto della merce e utilizza doppi documenti. Questo principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 5711 del 13 febbraio 2020. Nel caso di specie, la Z., nella veste di amministratore della A srl, avrebbe effettuato cessioni senza esposizione di Iva, mediante la falsa attestazione dello status di esportatore abituale degli acquirenti per oltre diciotto milioni di euro nei confronti di diverse società. In particolare, la A srl ha indicato fraudolentemente nelle dichiarazioni IVA 2012, 2013 e 2014 operazioni commerciali imponibili per importi di gran lunga inferiori al reale volume d’affari, realizzando così un’evasione di imposta dell’importo di 3.907.537,28 Euro, in quanto, “avendo la società gestita dall’indagata omesso di dichiarare la reale IVA a debito risultante dalla considerazione, come imponibili, di fatture viceversa emesse come non imponibili, ha esposto crediti IVA inesistenti dei quali ha ottenuto il rimborso”. I Giudici del Palazzaccio hanno reputato il ricorso inammissibile in ragione della falsa attestazione dello status di esportatori abituali rivestito dai cessionari, come da “dichiarazioni di intento” rilasciate dagli stessi alla A s.r.l. – affermando che “la falsità di dette dichiarazioni, attestanti lo status di esportatore abituale, che costituisce il presupposto fattuale per effettuare le operazioni non imponibili”. Falsità ricavata dal fatto che tali società “sono prive di dipendenti, di sedi operative e di mezzi strumentali; non hanno presentato dichiarazioni fiscali, né comunicato le operazioni effettuate con soggetti esteri”.