Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

29/11/2019 - Amministratore di diritto e reato omessa dichiarazione

argomento: News del mese - Diritto Tributario

Articoli Correlati: evasione IVA - amministratore di diritto - omessa dichiarazione

La Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 36474 del 7 giugno 2019 offre interessanti spunti di riflessione in merito alle condizioni entro le quali un amministratore di diritto (la c.d. testa di legno) può essere chiamato a rispondere del delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 d.lgs. 74/2000. La pronuncia della suprema Corte nella sentenza analizza i presupposti entro cui l’assunzione della carica di (formale) amministratore può essere idonea ad addebitare la violazione ex art. 5 d.lgs. 74/2000 al prestanome, a norma dell’art. 2392 c.c. e art. 40 cpv. c.p. e in concorso con l’amministratore di fatto e afferma che considerata la struttura dell’art. 5 d.lgs. 74/2000, risulta essere elemento dirimente la sussistenza del dolo specifico di evasione in capo all’autore del reato. La sentenza testualmente recita: “se è ben vero, infatti, che la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione, è altrettanto vero, tuttavia, che […] attesa la natura di reato a dolo specifico (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016 – dep. 06/05/2016, Vece, Rv. 267022) – ai fini della punibilità dell’autore del reato, nella specie l’amministratore di diritto/prestanome, non è sufficiente il dolo generico, e cioè la coscienza e la volontà del comportamento e la previsione dell’evento da parte dell’agente quale conseguenza della sua azione od omissione, ma si richiede invece il dolo specifico di evasione che, in quanto integrato dalla deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo, esprime un disvalore ulteriore che, proprio perché tale, necessita di rigorosa prova, che non può essere affidata alla semplice, quanto irrilevante, affermazione fondata sul precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nel citato art. 5 c.p.”.