Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Le novità in materia di contratti pendenti nel codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (di Teresa Maria Francioso, Giudice presso il Tribunale di Bari)


L’approfondimento illustra la disciplina dei rapporti pendenti nell’ambito della crisi di impresa e dell’insolvenza, avuto particolare riguardo alle novità introdotte dal relativo Codice. In tale prospettiva di analisi, l’autore affronta – in primis – l’evoluzione normativa della disciplina e fornisce dettagliata definizione dei contratti pendenti. La trattazione analizza, poi, la sorte di alcuni contratti pendenti, alla luce delle novità introdotte.

The new discipline of pending contracts within the context of the corporate crisis and insolvency Code

The paper illustrates the discipline of pending contracts within the context of the corporate crisis and insolvency, with particular regard to the changes introduced by the Code. In this perspective of analysis, the author addresses – first of all – the regulatory evolution of the discipline and provides a detailed definition of pending contracts. The paper then analyzes the fate of some pending contracts, in the light of the innovations introduced.

Keywords: pending contracts – Insolvency Code – winding up program – damages insurance – arrangement with creditors

SOMMARIO:

1. La disciplina dei rapporti pendenti nell’evoluzione normativa: breve inquadramento - 2. Rapporti pendenti: definizione - 3. La tutela del contraente in bonis e i poteri del curatore: cenni - 4. Rapporti pendenti e programma di liquidazione - 5. La sospensione dell’esecuzione del contratto - 6. Il subentro nel contratto - 7. Lo scioglimento dal contratto - 8. Scioglimento e sorte degli eventuali danni - 9. Art. 172, comma 5: azione di risoluzione per inadempimento - 10. Art. 172, comma 6: la previsione convenzionale della risoluzione del contratto c.d. ipso facto in caso di apertura della liquidazione giudiziale - 11. I contratti a carattere personale - 12. Schema riepilogativo della disciplina - 13. Art. 211, comma 8: rapporti pendenti ed esercizio dell’impresa - 14. Cosa ne è dei contratti non disciplinati dal codice? - 15. Contratto di conto corrente: art. 183 - 16. Contratto di affitto di azienda 184 - 17. Locazione finanziaria: art. 177 - 18. Contratti ad esecuzione continuata o periodica: art. 179 - 19. Contratto di appalto: art. 186 - 20. Contratto di mandato: art. 183 (78, 2° e 3° co.) - 21. Contratto di commissione - 22. Contratto preliminare 173 - 23. Immobili da costruire: 174 - 24. Contratto di locazione di immobili: art. 185 (80 l.f.). Brevi cenni - 25. Contratto di vendita con riserva di proprietà: art. 178 (73 l.f.) - 26. Contratto di assicurazione contro i danni: 187 - 27. Finanziamenti destinati ad uno specifico affare: 176 - 28. I contratti pubblici - 29. Contratto di borsa a termine (art. 181) - 30. Associazione in partecipazione - 31. Contratti pendenti e liquidazione coatta amministrativa: cenni - 32. Contratti pendenti nel concordato preventivo


1. La disciplina dei rapporti pendenti nell’evoluzione normativa: breve inquadramento

La disciplina del 1942, in vigore fino alla riforma del 2006, aveva il difetto di offrire una regolamentazione dei rapporti pendenti di tipo casistico, senza previsioni di carattere generale. Con il D.Lgs. n. 5/2006, oltre a enunciare il principio generale della sospensione dell’esecuzione del contratto unitamente a quello della facoltà del curatore di scegliere tra subentro e scioglimento, sono stati disciplinati ex novo anche i rapporti giuridici prima non codificati e sono stati modificati i contenuti di talune norme relative a contratti già previsti. Successivamente, con il D.Lgs. n. 169/2007, il quadro è stato completato con disposizioni più che altro correttive, integrative e di coordinamento. Ne sono scaturite le norme di cui agli artt. da 72 a 83-bis l.f., 104, comma 7 (esercizio provvisorio), 104-bis (affitto di azienda). Attualmente – per ciò intendendosi la data di entrata in vigore del Codice, allo stato, fissata per il 1° settembre 2021 con lo slittamento al 1° settembre 2023 dell’adozione dei decreti correttivi e integrativi– la disciplina degli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti contrattuali è racchiusa principalmente nella sez. V del capo I del titolo V del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (legge delega nn. 155/2017 e 20/2019, D.Lgs. nn. 14/2019 e 147/2020, c.d. correttivo), rubricata “effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti”. Analogamente alla legge fallimentare il Codice disciplina la sorte dei contratti pendenti nella liquidazione giudiziale, nella liquidazione coatta amministrativa e nel concordato preventivo. Le regole comuni in materia di adempimento contrattuale trovano una deroga nella disciplina speciale volta a tutelare l’interesse della procedura (sia mediante attribuzione agli organi della liquidazione giudiziale della facoltà di scelta in ordine alla sorte del contratto, in termini di prosecuzione o scioglimento, sia escludendo che dallo scioglimento del rapporto possa derivare un diritto al risarcimento dei danni da parte del contraente in bonis). La norma generale che disciplina i contratti la cui sorte non è espressamente regolata è quella di cui all’art. 172 (e vale per contratti tipici e atipici, quali ad es. compravendita, licenza del marchio), norma che già dalla [continua ..]


2. Rapporti pendenti: definizione

La nozione di rapporto pendente –per tale intendendosi il contratto perfezionato ma ancora ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali da entrambe le parti al momento dell’apertura della procedura concorsuale– ha, ormai, natura trasversale, tanto da ritrovarla, come visto, nella disciplina della liquidazione giudiziale, della continuità aziendale e del concordato preventivo. Fa eccezione a tale regola la disposizione di cui all’art. 180 (c.d. stoppage in transitu) ai sensi del quale “Se la cosa mobile oggetto della vendita è già stata spedita al compratore prima che nei suoi confronti sia stata aperta la liquidazione, ma non è ancora a sua disposizione nel luogo di destinazione, né altri ha acquistato diritti sulla medesima, il venditore può riprenderne il possesso, assumendo a suo carico le spese e restituendo gli acconti ricevuti, sempre che egli non preferisca dar corso al contratto facendo valere nel passivo il credito per il prezzo, o il curatore non intenda farsi consegnare la cosa pagandone il prezzo integrale”. Tale norma consente al venditore in bonis di riprendere il possesso dei beni viaggianti e di determinare unilateralmente la sospensione del contratto, nonostante egli, con la consegna al vettore o allo spedizioniere (cfr. art. 1510 c.c.) abbia già adempiuto la prestazione principale. In tal modo, un contratto già eseguito da una parte si trasforma in un rapporto pendente. Il contratto con effetti traslativi si considera ineseguito sino al momento in cui non si è realizzato l’effetto reale, ossia fino a quanto il diritto reale non viene trasferito. Se gli effetti traslativi si sono già verificati, essi restano impregiudicati e intangibili rispetto alla successiva sentenza che dispone l’ac­cesso alla procedura. Per i rapporti continuativi o di durata (ossia quelli in corso quando alla data della liquidazione non sia ancora maturato il termine di durata o quello determinato in caso di esercizio della facoltà di recesso), il problema della sopravvenuta insolvenza si pone in termini diversi perché ci si trova di fronte ad un rapporto che risulta già eseguito per la parte di prestazioni reciproche pregresse ma il cui carattere continuativo o di durata delle prestazioni comporta che esse si esauriscano solo con il decorso del termine.


3. La tutela del contraente in bonis e i poteri del curatore: cenni

Come abbiamo visto, rimane invariata la regola generale della sospensione, nonché la disciplina che consente al curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, se sciogliersi o meno, nonché la disposizione che consente al contraente in bonis di mettere in mora il curatore, facendosi assegnare dal giudice il termine di sessanta giorni entro il quale il curatore deve dichiarare se intende subentrare o sciogliersi, effetto quest’ultimo che si produce in automatico in caso di inutile decorso del termine. Pertanto, ad esclusione delle ipotesi in cui l’inadempimento abbia avuto luogo prima della dichiarazione di apertura della liquidazione, il contraente in bonis vede molto limitati i suoi poteri di autotutela, dato che non può avvalersi della domanda di risoluzione per inadempimento, né dell’eccezione di inadempimento, né può agire per l’esatto adempimento e non può neanche adempiere, perché la convenienza economica del suo adempimento è rimessa alla valutazione del curatore. Il contraente in bonis ha diritto di far valere nel passivo della liquidazione giudiziale il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno. Ma, se l’altro contraente ha proposto azione di risoluzione prima della liquidazione giudiziale nei confronti del debitore insolvente, questa azione spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, salva, nei casi previsti dalla legge, l’efficacia della trascrizione della domanda (art. 172, comma 5). Se il contraente intende ottenere la restituzione della somma o di un bene ovvero il risarcimento del danno, allora può far valere queste pretese con apposita domanda di ammissione al passivo. Dunque, l’effetto sospensivo dell’esecuzione del contrato ed il conseguente potere di scelta del curatore vengono meno nel caso in cui il contraente in bonis abbia chiesto anteriormente alla dichiarazione di apertura della procedura la risoluzione del contratto. Se il curatore subentra nel contratto, la curatela risulterà assoggettata alla disciplina civilistica e risponderà di tutte le obbligazioni che sarebbero gravate sul debitore insolvente; se invece il curatore si scioglie dal contratto si verifica da quel momento la cessazione di ogni suo effetto, ma il contrente in bonis acquista il [continua ..]


4. Rapporti pendenti e programma di liquidazione

Un problema che si pone, e che si poneva già prima della riforma, è quello relativo alla omessa previsione relativa ai rapporti giuridici pendenti nel programma di liquidazione previsto dall’art. 213 (già 104-ter l.f.). Infatti, la rilevanza di questi rapporti quali situazioni strumentali alla liquidazione concorsuale ne avrebbe sicuramente auspicato la presenza. In dottrina si segnalano sul punto le conseguenze di una regolamentazione dei rapporti pendenti disancorata dal contesto più organico della liquidazione e si propone che il programma di liquidazione preveda l’indicazione chiara e motivata delle scelte del curatore in ordine ai rapporti pendenti. Ciò risponderebbe anche all’esigenza di una migliore controllabilità della gestione dei rapporti giuridici alla luce delle determinazioni del curatore (esternate nel programma di liquidazione) e avvicinerebbe la disciplina della liquidazione giudiziale a quella dell’amministrazione straordinaria che prevede un espresso e specifico collegamento tra gli effetti della procedura sui contratti pendenti e l’autorizzazione della esecuzione del programma.


5. La sospensione dell’esecuzione del contratto

Con la regola della sospensione dell’esecuzione è stata attribuita al curatore la possibilità di: subentrare nel contratto con l’autorizzazione del comitato dei creditori; di sciogliersi da esso; di restare inerte, in teoria, anche fino alla chiusura della procedura (salva la messa in mora da parte del contraente in bonis).


6. Il subentro nel contratto

Abbiamo visto che il subentro (debitamente autorizzato dal comitato dei creditori) del curatore nel contratto in luogo del debitore comporta l’assun­zione dei diritti e degli obblighi che prima facevano capo al medesimo. L’effetto principale e più significativo del subentro è quello di porre il credito del contraente in bonis al di fuori del concorso e di trasformarlo da concorsuale a prededucibile con la precisazione che assumono tale rango i soli crediti sorti nel corso della procedura (tale regola viene espressamente codificata, con la ratio di limitare il più possibile l’ipotesi della prededuzione, come indicato nella relazione al Codice, al fine di tutelare le ragioni creditorie e il principio della par condicio). In tal modo si è posto fine agli orientamenti giurisprudenziale che in alternativa al criterio temporale (quello attualmente codificato) applicano il criterio teleologico (qualificando come prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura concorsuale, anche se sorti prima della relativa apertura). La regola appena illustrata è stata traslata su alcune specifiche tipologie contrattuali: se, prima, l’art. 74 l.f. rendeva prededucibili tutti i crediti scaturenti dai contratti di durata, ora l’art. 179 stabilisce invece l’obbligo di pagare integralmente il prezzo delle consegne avvenute e dei servizi erogati dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, mentre le medesime prestazioni, se maturate prima dell’apertura, verranno pagate in moneta concorsuale. Ancora, l’art. 78, comma 3, prevedeva la prededucibilità di tutti i crediti del mandatario in caso di subentro del curatore del fallimento del mandante, mentre l’art. 183, comma 3, stabilisce che solo le prestazioni posteriori all’apertura della liquidazione giudiziale assumono tale rango. Anche in materia assicurativa, l’art. 187, comma 1 (come l’art. 83 l.f.) assoggetta i contratti di assicurazione alla disciplina generale, riconoscendo, tuttavia, all’assicuratore il diritto di recesso se il rischio sottostante è aumentato e al comma 2, in caso di subentro prevede la prededuzione dei soli premi scaduti dopo l’apertura della procedura, a differenza del comma 2 dell’art. 83 l.f. che includeva anche quelli anteriori al fallimento. Le medesime modifiche si [continua ..]


7. Lo scioglimento dal contratto

Mentre la decisione del curatore di subentrare nel contratto è soggetta ad autorizzazione del comitato dei creditori, c’è da chiedersi cosa avvenga ove si opti per lo scioglimento. A livello normativo il Codice della crisi di impresa non offre, nei principi generali, un ausilio all’interprete: il comma 1 dell’art. 172, come quello del previgente art. 72 l.f. presentano, infatti, la medesima formulazione (“,..,l’esecuzione del contratto,…, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito,…., ovvero di sciogliersi dal medesimo”). Tale norma, letteralmente, porterebbe a ritenere che l’autorizzazione del comitato sia necessaria vuoi in caso di scioglimento, vuoi di subentro. Tuttavia è preferibile ritenere invece che la scelta di sciogliersi dal contratto non necessiti di autorizzazione alcuna, sia per l’orientamento giurisprudenziale antecedente la riforma (v., ex multis, Cass. n. 16860/2004; sez. un., n. 239/1999 fondato sul fatto che in caso di scioglimento il curatore non assume alcun obbligo), sia perché una ipotesi di scioglimento senza autorizzazione è già contemplata dall’ordinamento (laddove il contraente in bonis metta in mora il curatore facendogli assegnare un termine dal GD, oltre il quale il contratto si intende sciolto), sia per la lettura sistematica del Codice laddove si consideri che in alcune disposizioni relative a contratti tipici, è espressamente richiesta l’autorizzazione del comitato dei creditori ove il curatore intenda sciogliersi dal contratto. In particolare, l’art. 185, a differenza del previgente art. 80 l.f. prevede che nel contratto di locazione (ove la regola è quella della continuazione), il curatore che intenda sciogliersi debba chiedere l’autorizzazione al comitato dei creditori (sia che insolvente sia il conduttore, sia che sia il locatore). La previsione espressa circa l’autorizzazione del comitato nella tipologia contrattuale tipica, conferma la tesi interpretativa secondo la quale, in termini generali, lo scioglimento non la richieda. Ancora, nella fattispecie inversa, ossia quando la regola è quella della continuazione dei rapporti pendenti, in caso di esercizio dell’impresa ai sensi [continua ..]


8. Scioglimento e sorte degli eventuali danni

La specificazione che al contraente in bonis non è dovuto il risarcimento del danno patito a seguito della decisione unilaterale del curatore di sciogliersi dal contratto è pacifica. Il fondamento sta nel fatto che lo scioglimento deriva da una facoltà del curatore, così che alcuna conseguenza pregiudizievole può derivarne per la massa. Si determina una situazione che può essere assimilata a quella dell’art. 1218 c.c., secondo cui l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile alla parte non determina l’insorgenza del diritto al risarcimento del danno. L’effetto dissolutivo non è infatti conseguenza dell’inadempimento della persona sottoposta a liquidazione giudiziale, ma di una scelta legittima del curatore. Quindi ancora una volta si deve sottolineare che lo scioglimento non è assimilabile ad una risoluzione per inadempimento e pertanto può produrre solo effetti restitutori e non anche risarcitori. Ovviamente resta salva la risarcibilità dei danni verificatisi non a seguito dello scioglimento ma prima della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale e per ragioni connesse alla ordinaria gestione del rapporto contrattuale, con la conseguenza che tali danni possono essere fatti valere come crediti concorsuali. Inoltre va specificato che il diritto al risarcimento di tali danni non presuppone necessariamente la proposizione di una domanda giudiziale anteriore alla dichiarazione di apertura della procedura (cosa che invece deve accadere per la risoluzione): infatti, se il danno si è verificato come conseguenza di un comportamento anteriore all’accesso alla procedura, non ci sono motivi ostativi a che il contraente in bonis si insinui al passivo per il credito derivante dal risarcimento a prescindere dal momento in cui propone la domanda.


9. Art. 172, comma 5: azione di risoluzione per inadempimento

L’odierno comma 5 dell’art. 172, in recepimento dell’orientamento che si era consolidato nella vigenza della legge del 1942, dispone che l’azione di risoluzione promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale verso la parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda. Questa previsione conferma ulteriormente il principio per cui la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale non giustifica la risoluzione del contratto non essendo l’avvio della procedura assimilabile ad un inadempimento. La statuizione relativa alla risoluzione del contratto fa stato nei confronti della procedura anche in caso di (pronuncia di accertamento della) risoluzione di diritto ai sensi degli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., (ovviamente se il termine assegnato nella diffida ad adempiere è spirato prima della dichiarazione di apertura della procedura ovvero che la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa risulti da atto di data certa anteriore all’apertura), ovvero di (pronuncia costitutiva di) risoluzione imputabile ex art. 1453 c.c. Processualmente, se il petitum è circoscritto alla dichiarazione di risoluzione l’azione prosegue dinanzi al giudice adito, con la sola sostituzione del curatore al debitore insolvente (previa, eventuale, interruzione), mentre se il contraente in bonis richiede, oltre alla risoluzione, anche la restituzione di una somma di danaro o di un bene, e/o il risarcimento dei danni, il giudizio si interrompe e le domande devono essere presentate secondo le disposizioni relative all’accertamento dei crediti nell’ambito della liquidazione giudiziale. Quali gli effetti dell’accoglimento della domanda di risoluzione? In giurisprudenza (v. sul punto, ex multis, Cass. n. 10780/2003), in applicazione del principio dell’effetto retroattivo tra le parti della risoluzione del contratto (art. 1458, comma 1, c.c.) si riconosce al contraente in bonis vittorioso il diritto di recuperare la proprietà dei beni oggetto del contratto. Anche se, a fronte della lettera del comma 2 dell’art. 1458 c.c. secondo cui la risoluzione intervenuta lascia impregiudicati i diritti dei terzi salva la trascrizione della domanda di risoluzione, si sostiene che il contraente in [continua ..]


10. Art. 172, comma 6: la previsione convenzionale della risoluzione del contratto c.d. ipso facto in caso di apertura della liquidazione giudiziale

Partendo dalla regola generale della sospensione, si è detto che il curatore può sciogliersi dal contratto oppure subentrare ma non può variarne il contenuto. La neutralità dell’apertura della procedura riguardo al contenuto del rapporto subisce, però un’eccezione: il sesto comma dell’art. 172, confermando la disciplina previgente (art. 72, comma 6), prevede che sono inefficaci le clausole negoziali che espressamente prevedono la risoluzione del contratto nel­l’ipotesi in cui venga aperta la liquidazione giudiziale di uno dei contraenti. Questa previsione, che mira a dare effettività alla regola della sospensione del contratto, si colloca nella ratio generale di privilegiare l’interesse della procedura concorsuale a poter scegliere ciò che conviene di più tra prosecuzione o scioglimento del contratto. Si ritiene che la norma in commento riguardi anche la clausola risolutiva espressa, la clausola penale, la clausola che prevede la facoltà di recesso della controparte in bonis ex art. 1373 c.c. Vi sono dubbi in caso di clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c.: se il contraente in bonis ha comunicato l’inten­zione di avvalersene prima dell’apertura della procedura nulla quaestio; se l’inadempimento si è verificato prima dell’apertura ma non vi è stata la comunicazione ex art. 1456, comma 2, c.c. è da ritenere che operi la disciplina di cui all’art. 172 comma 5, cioè il curatore potrà comunque dare corso al contratto. Quid iuris in caso di clausola penale (liquidazione concordata e anticipata del quantum debeatur)? La clausola è certamente applicabile se l’inadem­pimento si è verificato prima della procedura, mentre l’apertura della procedura non rappresenta evento idoneo a fare sorgere il diritto al risarcimento dei danni. Si è sottolineato che il divieto di cui al comma 6 possa essere aggirato con la previsione della risoluzione del contratto a seguito di rischio di inadempimento di una delle parti; ma è anche vero che all’interno di una clausola risolutiva espressa possa essere sicuramente dedotto un inadempimento, ma non il rischio dello stesso. Ne consegue che, nella ipotesi di variazione in peius delle condizioni patrimoniali di una [continua ..]


11. I contratti a carattere personale

La categoria dei contratti a carattere personale non è ignota al nostro ordinamento, tanto che: a) l’art. 1429, n. 3, c.c. prevede, come noto, tra le cause di annullabilità del contratto l’errore sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, quando tali caratteristiche siano state determinanti per la formazione del consenso; b) l’art. 2558 c.c., in materia di cessione di azienda, nel prevedere il subentro dell’acquirente nei contratti stipulati nell’esercizio dell’impresa, esclude tale effetto qualora essi abbiano carattere personale. I contratti a carattere personale possono essere distinti in tre gruppi: i tipi contrattuali qualificabili come tali (mandato, agenzia, comodato, appalto, contratto di lavoro subordinato, contratti bancari); i contratti aventi ad oggetto prestazioni oggettivamente infungibili (opere intellettuali o artistiche); i contratti in concreto stipulati in considerazione delle qualità personali delle parti. Secondo l’opinione prevalente, la personalità dei contratti consiste nella rilevanza assunta, in sede di loro stipulazione, dalla considerazione della persona dell’imprenditore. L’art. 175 introduce una eccezione alla regola generale (172), prevedendo lo scioglimento automatico dei contratti di carattere personale. La norma, tuttavia, consente al curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori e con il consenso del contraente in bonis di subentrarvi. Ai fini concorsuali, i contratti di carattere personale sono quelli nei quali il motivo determinante il consenso è rappresentato dalla considerazione soggettiva della parte nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale (186, comma 2, formula che riproduce testualmente quanto precisato con riferimento al contratto di appalto laddove si stabilisce lo scioglimento del contratto “se la considerazione della qualità soggettiva dello stesso appaltatore è stata un motivo determinante del contratto”). La deviazione più evidente alla regola generale di cui all’art. 172 risiede nell’avere riconosciuto valore determinante ai fini della prosecuzione del contratto all’accodo delle parti, vuoi del contraente in bonis vuoi del curatore. Appare evidente che l’interesse tutelato sia quello del contraente non insolvente, il quale potrà sciogliersi dal [continua ..]


12. Schema riepilogativo della disciplina

I contratti possono essere raggruppati in relazione alla sorte cui vanno in contro in caso di apertura della liquidazione giudiziale: abbiamo i contratti che rimangono SOSPESI con libera scelta in capo al curatore se proseguirli o sciogliersi (preliminari di vendita immobiliare 173, locazione finanziaria in caso di liquidazione giudiziale dell’utilizzatore 177, vendita con riserva di proprietà in caso di liquidazione giudiziale del compratore, 178, contratti a esecuzione continuata o periodica, 179, mandato, in caso di liquidazione giudiziale del mandante, contratti di lavoro subordinato 189); contratti che si SCIOLGONO automaticamente (contratti di borsa a termine 181, di associazione in partecipazione, 182, di conto corrente, anche bancario e di commissione 183, di mandato in caso di liquidazione giudiziale del mandatario 183, comma 2) e contratti che PROSEGUONO automaticamente (contratto preliminare di immobile destinato a costituire l’abitazione principale dell’acqui­rente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero la sede principale dell’impresa dell’acquirente 173, comma 3, contratto di locazione finanziaria, in caso di insolvenza del concedente, 177, comma 3, affitto di azienda 184, locazione di immobili 185, edizione 188).


13. Art. 211, comma 8: rapporti pendenti ed esercizio dell’impresa

Nell’assetto della procedura di liquidazione giudiziale, così come nella previgente disciplina, l’esercizio dell’impresa è ipotesi meramente eventuale; non vi è cioè una naturale continuazione dell’attività in corso di procedura. La regola generale della sospensione dei contratti, allora, ben si ricollega a tale scelta; se, invece, il legislatore avesse optato per una continuazione automatica dell’impresa, come avviene, ad esempio, in seno all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, allora la regola più coerente sarebbe stata quella della prosecuzione, anch’essa automatica, nella procedura ex D.Lgs. n. 270/1999 (art. 50). Da quest’angolo visuale ben si comprende la disciplina di cui all’art. 211, comma 8, laddove prevede che, durante l’esercizio dell’impresa, i contratti pendenti proseguono, a meno che il curatore non intenda scioglierli o sospenderne l’esecuzione. Chiuso l’esercizio provvisorio, si applicheranno le regole generali previste dagli artt. 172-ss. Però, la prosecuzione del contratto non esclude l’eventuale interesse del contraente in bonis a sapere se può o meno fare affidamento sulla continuazione del rapporto negoziale con la procedura. Ne consegue che gli si potrebbe/dovrebbe riconoscere la facoltà di mettere in mora il curatore facendogli assegnare dal giudice delegato un termine al fine di conoscere le sue determinazioni. Deve ritenersi, inoltre, che l’art. 211, co 8, si ponga come eccezione (continuazione dei contratti) rispetto alla regola generale di cui all’art. 172 (sospensione), con la conseguente applicazione delle singole norme speciali disciplinanti i contratti specifici di cui agli artt. 173 e seg. Inoltre, a ben vedere, la scelta di prosecuzione dei contratti, in caso di esercizio dell’impresa, è sottratta al curatore e al comitato dei creditori ed è affidata al Tribunale. Quest’ultimo organo, nel disporre l’esercizio dell’impresa sarà, infatti, tenuto a valutare che la prosecuzione dell’attività d’impresa non arrechi pregiudizio ai creditori, tenendo conto anche degli effetti che da tale decisione dipendono in ordine alla prosecuzione dei rapporti pendenti, quale fattore in grado di generare crediti prededucibili. Che succede se l’esercizio [continua ..]


14. Cosa ne è dei contratti non disciplinati dal codice?

Si applica la regola generale della sospensione 172 oppure la disciplina del tipo contrattuale affine? In dottrina c’è chi sostiene sia maggiormente ragionevole operare per analogia. Viene altresì in considerazione, l’art. 175 (norma che disciplina i contratti di carattere personale introducendo una disciplina per categoria contrattuale e non per tipo. Altra disciplina per categoria si rinviene nei contratti di borsa a termine 181, nei contratti a esecuzione continuata o periodica 179, nei preliminari e nei contratti concernenti immobili da costruire, 173 e 174) che sembra avere la funzione di norma di chiusura, estendendo la regola dello scioglimento oltre che ai contratti espressamente previsti anche a tutti quelli qualificabili come a carattere personale (quali sono i contratti espressamente disciplinati per i quali è previsto lo scioglimento? L’associazione in partecipazione 182, il contratto di commissione 183, il mandato se la procedura riguarda il mandatario 182, comma 2, l’appalto se la procedura riguarda l’appaltatore 186, comma 2). Tornando al tema dei contratti non regolati, non si è mancato di evidenziare che l’applicazione analogica deve essere utilizzata in modo restrittivo, dal momento che l’art. 172, pur disciplinando i contratti di scambio, è stato pensato per fungere da regola generale applicabile a tutti i contratti pendenti. Su questa linea interpretativa, altri evidenziano altresì che, mentre prima l’art. 72 era da considerare piuttosto norma di chiusura del sistema nel senso che le regole ivi contenute erano suscettibili di applicazione solo laddove non si potesse far ricorso all’analogia, oggi con l’espressa previsione della regola della sospensione e di quella della facoltà di scelta per il curatore tra scioglimento e subentro, è evidente il favor del legislatore per l’applicazione delle regole di cui all’art. 172, a discapito di una applicazione analogica delle disposizioni specifiche previste per taluni rapporti contrattuali specifici.


15. Contratto di conto corrente: art. 183

Art. 183, comma 1: “I contratti di conto corrente anche bancario e di commissione si sciolgono per effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti di una delle parti.”. Quale la ratio sottesa alla scelta dello scioglimento? Alcuni: vedono nella scelta per lo scioglimento del contratto una ragione che è assimilata a quella sottesa alla regola generale di cui all’art. 1833 c.c., per cui è attribuita al correntista la facoltà di recedere in caso di insolvenza dell’altra parte. Tuttavia, vi sono delle differenze sostanziali che si vedranno più avanti soprattutto in ordine agli effetti. Altri: evidenziano la natura fiduciaria del rapporto e l’intuitus personae. A ciò si aggiunge, inoltre, la regola della indisponibilità del patrimonio (che è propria della procedura) ed ha come conseguenza l’impossibilità per il debitore di acquistare crediti o di essere gravato da debiti con rimesse reciproche in conto corrente e ciò rappresenta un evidente ostacolo alla prosecuzione del contratto. Senza dire, infine, che in un’ottica sistematica l’intento potrebbe essere ravvisato nella volontà di tutela delle ragioni della massa (ciò perché il motivo dello scioglimento è ravvisabile anche nell’esigenza di acquisire immediatamente il saldo attivo a favore della massa senza che il curatore possa destinare crediti alla compensazione con debiti eventuali ovvero accettare rimesse in conto corrente che eliminano eventuali crediti). Quali gli effetti conseguenti allo scioglimento? Lo scioglimento ovviamente opera con effetti ex nunc, ossia con conservazione degli effetti verificatisi fino allo scioglimento. Ciò detto, si evidenzia che l’esigibilità del saldo è riferita al momento della dichiarazione di apertura della procedura per quanto concerne il credito del correntista in bonis, mentre alla scadenza contrattuale prevista se il credito è a favore del debitore insolvente (in applicazione delle regole di cui agli artt. 1831-1833 c.c.). Altri autori ritengono che debba aversi un’unica data di esigibilità del saldo o di chiusura del conto non differenziata a seconda che si tratti del contraente in bonis o della persona sottoposta a liquidazione giudiziale. E tale unica data viene generalmente individuata nella dichiarazione di [continua ..]


16. Contratto di affitto di azienda 184

L’art. 184 prevede la prosecuzione del contratto, distinguendo però i casi in cui a essere sottoposto a liquidazione giudiziale sia il concedente o l’affit­tuario. Quando la liquidazione è aperta nei confronti del concedente, a differenza della previsione del previgente art. 79 l.f., il diritto di recesso è attribuito al solo Curatore, il quale deve esercitarlo entro 60 gg dall’apertura della procedura. In caso di procedura aperta nei confronti dell’affittuario, invece, la facoltà di recesso del Curatore non incontra limiti temporali. In entrambi i casi il contraente in bonis ha diritto a un equo indennizzo (non più prededucibile ma concorsuale), determinato dal giudice delegato in caso di dissenso tra le parti. Quando l’azienda locata viene retrocessa alla procedura, trova applicazione la norma dettata per l’affitto endoconcorsuale dell’azienda, art. 212, comma 6, la quale deroga agli artt. 2112 e 2560 c.c. rendendo insensibili alla procedura i debiti contratti dall’affittuario fino al momento della retrocessione dell’a­zienda. Quali sono le sorti dei rapporti pendenti nell’ipotesi di retrocessione dell’a­zienda quando il concedente è sottoposto a liquidazione giudiziale? Il Codice ha recepito l’indirizzo dottrinale previgente, positivizzando il richiamo al sesto comma dell’art. 212 che (ricalcando il disposto dell’analogo comma dell’art. 104-bis l.f.) esclude, quando l’affittuario retroceda l’azienda, la responsabilità della procedura per i debiti maturati fino alla retrocessione, in deroga agli artt. 2112 e 2560 c.c. e prevede l’applicazione della disciplina generale in materia di rapporti pendenti nella procedura concorsuale.


17. Locazione finanziaria: art. 177

Il previgente art. 72-quater l.f. risulta confermato dall’art. 177 che detta una specifica disciplina degli effetti della liquidazione giudiziale sul contratto atipico di leasing. Lo schema di tale contratto prevede che una parte conceda all’altra un bene verso il corrispettivo di un canone periodico per un tempo determinato, alla scadenza del quale è consentito al beneficiario la scelta tra: –   la continuazione del godimento del bene, a canone ridotto; –   l’acquisto della proprietà del bene; –   la sostituzione dello stesso, con mantenimento dello stesso canone quale corrispettivo. La norma citata supera la distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento optando per una scelta unitaria e attribuendo al contratto di locazione finanziaria la natura di contratto di finanziamento. Il contratto di leasing, per potersi applicare la disciplina di cui al Codice della crisi, deve essere pendente alla data dell’apertura, ossia non deve ancora aver raggiunto il suo scopo (nelle ipotesi di leasing traslativo, lo scopo del contratto non è raggiunto finché l’utilizzatore non abbia esercitato il diritto di riscatto del bene o non abbia rinunciato all’opzione di acquisto). Liquidazione dell’utilizzatore La norma stabilisce che, in caso di insolvenza dell’utilizzatore, al contratto di locazione finanziaria si applichi la regola generale dell’art. 172: ne consegue che l’esecuzione del contratto resta sospesa in attesa che il curatore scelga se subentrare nel contratto o sciogliersi da esso. Durante il periodo di sospensione non è dovuto il pagamento dei canoni. Qualora il curatore subentri, essi vanno trattati come crediti concorsuali, mentre rientreranno nel calcolo del credito residuo in linea capitale di cui fa menzione l’art. 177, comma 1, in caso di scioglimento. Nel caso di esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 211, il contratto continua ad avere esecuzione, poiché ha ad oggetto bene strumentali necessari all’attività svolta dal debitore prima della dichiarazione di apertura della procedura. Il curatore, in questa ipotesi, subentra automaticamente nel contratto, anche se conserva la facoltà di esercitare il recesso. Il subentro del curatore La decisione del curatore di subentro comporta l’assunzione di tutti i [continua ..]


18. Contratti ad esecuzione continuata o periodica: art. 179

Fermo il principio generale di cui all’art. 172, se il curatore decide per il subentro nel contratto è tenuto a corrispondere il prezzo integrale delle sole consegne o dei servizi erogati dopo l’apertura della procedura; mentre il corrispettivo delle medesime prestazioni eseguite in epoca anteriore deve essere insinuato al passivo e pagato in moneta concorsuale. La differenza rispetto al passato è netta lo si è detto quando abbiamo evidenziato che la riforma ha ridimensionato restrittivamente l’ambito della prededuzione, atteso che nel vigore della legge fallimentare, tutte le prestazioni erogate sia prima che dopo il fallimento venivano pagate in prededuzione, sulla base dell’unitarietà del contratto nel suo complesso che non sarebbe potuto essere scisso in singoli momenti. La norma di cui all’art. 179 del codice ridimensiona la prededuzione rispetto al passato e lo fa in misura diversa dalla regola generale del 172 (che la riconosce dal subentro), sancendola dall’apertura della liquidazione.


19. Contratto di appalto: art. 186

Il contratto di appalto presenta la disciplina più articolata in caso di liquidazione giudiziale. L’art. 186 regola in modo differente le ipotesi di liquidazione giudiziale del committente e dell’appaltatore. 1.  Se la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale riguarda il committente, il contratto di regola si scioglie. Il curatore può dichiarare la sua volontà di subentrare nel contratto ma la norma dispone che tale scelta deve essere manifestata, previa autorizzazione del comitato dei creditori, nel termine di 60 (rispetto alla regola generale dell’art. 172 non è richiesta, quindi, la messa in mora del contraente in bonis) ed è necessario che il curatore presti idonee garanzie (sul pagamento del corrispettivo). 2.  Se la liquidazione giudiziale riguarda l’appaltatore, di norma il contratto non si scioglie: se però le sue qualità soggettive sono state il motivo determinante il contratto, allora il contratto si scioglie; ma questo può restare efficace a condizione che il committente dichiari espressamente di volere, comunque, proseguire il rapporto. Si tratta di una applicazione particolare della regola generale in tema di contratti a carattere personale (art. 175). Scioglimento dal contratto La ratio della norma che prevede in via generale lo scioglimento del contratto è da ravvisare nel venir meno dell’impresa in caso di liquidazione giudiziale dell’appaltatore e nella inutilità della prestazione se si tratta della procedura a carico del committente. Conseguentemente alla circostanza per cui lo scioglimento opera di diritto e non rappresenta un illecito o un inadempimento, il contraente in bonis non potrà esercitare l’azione di risoluzione e di risarcimento dei danni o comunque avanzare pretese risarcitorie o restitutorie, né si potrà dare luogo a pagamenti di penalità o indennità per mancato utile o mancata esecuzione dell’opera. Queste regole valgono però solo se il contratto, al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale, si trova in corso di esecuzione; infatti, laddove invece a tale momento fosse già stata esperita l’azione di risoluzione per inadempimento, allora saranno applicabili le regole generali del codice civile, compresa la possibilità di ottenere il risarcimento del danno. A [continua ..]


20. Contratto di mandato: art. 183 (78, 2° e 3° co.)

Anche per il mandato è prevista la regola dello scioglimento ex lege del contratto, ciò in evidente sintonia con la caratterizzazione di tipo fiduciario del contratto di mandato che accorda prevalenza all’intuitus personae. In caso di liquidazione giudiziale del mandatario, il contratto si scioglie automaticamente anche nella ipotesi di esercizio dell’impresa; con la conseguenza che il mandante in bonis dovrà rivendicare i beni acquistati dal mandatario insolvente prima della procedura attraverso l’insinuazione al passivo. In ordine alle conseguenze dello scioglimento, si rileva che: se il mandato non è ancora eseguito, qualora il mandato abbia comportato delle spese, queste saranno rimborsate e, per contro, il mandatario dovrà restituire quanto di pertinenza del mandante; in caso invece di avvenuta esecuzione, il mandante dovrà insinuarsi al passivo per ottenere le somme che non gli siano ancora state restituite ovvero chiedere la rivendica se si tratta di beni. Nel caso in cui vi sia esercizio dell’impresa del debitore ex art. 211, comma 8 ed il contratto dunque prosegua con la procedura, il mandante in bonis vede salvo il proprio diritto di revocare il mandato (ai sensi dell’art. 1722, comma 2, c.c.) e nell’ipotesi di contratto basato sull’intuitus personae del mandatario, il mandante può revocare il mandato per giusta causa (art. 1723 c.c.) anche se si tratti di mandato irrevocabile o stipulato nell’interesse del mandatario o di terzi. In ipotesi invece di liquidazione giudiziale del mandante, il curatore può scegliere se proseguire il rapporto ovvero scioglierlo, anche in caso di continuazione dell’attività di impresa. Peraltro, a norma del comma 3, nel caso in cui il curatore subentri al posto del mandante sottoposto a liquidazione giudiziale, i crediti relativi al rapporto di mandato vengono considerati prededucibili solo se maturati per l’attività svolta dopo l’apertura della procedura (in analogia con quanto previsto dall’art. 179 per i contratti a esecuzione continuata o periodica e, anche in questo caso, con uno scostamento dalla regola del 172 che riconosce la prededuzione dal subentro). Quindi in questo caso l’esecuzione del contratto resta sospesa fino a quando il curatore non opta tra lo scioglimento e la continuazione, assumendo i [continua ..]


21. Contratto di commissione

È un contratto di mandato senza rappresentanza qualificato dallo specifico oggetto dell’incarico conferito al commissionario (ossia l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario, cfr. art. 1731 c.c.) e si scioglie per effetto dell’apertura della procedura. L’affinità con il contratto di mandato non consente di spiegare perché se a essere insolvente è il mandante il contratto rimanga sospeso mentre se si tratta del committente, il contratto si sciolga.


22. Contratto preliminare 173

In termini generali il contratto preliminare può considerarsi ineseguito quando prima della sentenza che apre la liquidazione giudiziale non sia stato concluso il contatto definitivo. L’illustrazione della disciplina del preliminare non può che partire dall’e­sposizione di due fondamentali principi espressi dalle SS.UU della Cassazione. In particolare: nel 2015 la giurisprudenza di legittimità (sentenza n 18131) ha ritenuto che “Il curatore fallimentare del promittente venditore di un immobile non può sciogliersi dal contratto preliminare ai sensi dell’art. 72 l.fall. con effetto verso il promissario acquirente ove questi abbia trascritto prima del fallimento la domanda ex art. 2932 c.c. e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta, in quanto, a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c., la trascrizione della sentenza di accoglimento prevale sull’iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese; nel 2017 è stato affermato che “in caso di subentro del curatore, ai sensi dell’art. 72, co. 8, l.f. in un contratto preliminare di vendita di un immobile destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente, il trasferimento della proprietà del bene a favore di quest’ultimo si verifica mediante una vendita fallimentare in relazione alla quale trova applicazione l’art. 108, comma 2, l.f., con conseguente cancellazione delle iscrizioni prese sul bene dal creditore ipotecario ed ammissione del medesimo al concorso con prelazione sul prezzo”. La disciplina dei contratti preliminari è stata concentrata all’interno del­l’art. 173. Rispetto alla disciplina previgente quella attuale non regola la sorte della categoria generale dei contratti preliminari (il cui oggetto è rappresentato dalla prestazione del consenso), occupandosi solo di quelli relativi alla compravendita degli immobili esistenti o da costruire (174), con la conseguente applicazione, per gli altri, della disciplina generale di cui all’art. 172. La norma di cui all’art. 173, estensibile al preliminare di ogni altro negozio traslativo di beni immobili, fa riferimento, in primo luogo, al caso in cui un preliminare sia stato trascritto e, prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, il promissario acquirente in bonis abbia proposto e trascritto domanda di [continua ..]


23. Immobili da costruire: 174

Scioglimento dal contratto Il contratto avente ad oggetto immobili da costruire (categoria che comprende una serie eterogena di contratti – quali definitivi o preliminari di compravendita, permuta, leasing – accumunati dal fatto di avere ad oggetto “l’acquisto o comunque il trasferimento non immediato,.., della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire” ossia “di immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità”, cfr. art. 1, D.Lgs. n. 122/2005) si scioglie laddove, prima che il curatore comunichi le proprie intenzioni, l’acquirente in bonis abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone comunicazione al curatore. Mentre la fideiussione non può più essere escussa laddove il curatore abbia già scelto di dare esecuzione al contratto. Quindi, in questa ipotesi, contrariamente alla regola generale che vede il curatore detentore del potere di scelta in senso più o meno assoluto, è il contraente in bonis ad avere il potere di determinare lo scioglimento del contratto. La volontà di sciogliersi dal contratto manifestata dal contraente in bonis si impone su quella del curatore che dovrà pertanto subire l’insinuazione al passivo dell’istituto di credito per la fideiussione a garanzia delle somme anticipate. Con la conseguenza che il privilegio che scaturisce ai sensi dell’art. 2775-bis c.c., in caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto, di trasferisce in capo al fideiussore in via surrogatoria. Sulla fideiussione Il fatto che la norma preveda che la fideiussione non possa più essere escussa dopo la dichiarazione del curatore di voler dare esecuzione al contratto, non toglie che la stessa possa essere in futuro comunque escussa. Altrimenti opinando, nel caso in cui il curatore o colui che abbia eventualmente acquistato l’azienda dalla procedura di liquidazione giudiziale non adempia alla propria obbligazione e non porti dunque a termine la costruzione dell’im­mobile, l’acquirente in bonis non godrebbe di alcuna [continua ..]


24. Contratto di locazione di immobili: art. 185 (80 l.f.). Brevi cenni

L’art. 185, come il previgente art. 80 l.f., disciplina gli effetti della liquidazione giudiziale sul contratto di locazione (e anche di affitto) di un immobile senza operare alcuna distinzione a seconda della destinazione d’uso del bene locato (abitativo e non). In ogni caso, la norma richiede che il contratto di locazione sia opponibile alla procedura, con la conseguenza che deve trovare applicazione l’art. 2923 c.c. relativo alla opponibilità del contratto di locazione di beni oggetto di espropriazione forzata (“le locazioni consentite da chi ha subìto l’espropria­zione sono opponibili all’acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l’acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede. Le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento non sono opponibili all’acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione”). Quanto alla disciplina, nel caso in cui la persona sottoposta a liquidazione giudiziale sia il locatore, il contratto non si scioglie ma continua, con la conseguenza che il curatore subentra assumendo i diritti e gli obblighi del locatore. Si tratta di una norma chiaramente posta a tutela dell’interesse del contraente in bonis a proseguire nel godimento del bene, ponendosi in linea con quanto previsto in materia di esecuzione forzata dall’art. 2923 c.c. e in materia di compravendita del bene locato dall’art. 1599 c.c. Quanto detto trova un temperamento nella previsione che consente al curatore di recedere dal contratto di locazione qualora la durata residua dello stesso a partire dall’apertura della liquidazione giudiziale superi i quattro anni e il recesso sia esercitato entro il termine di un anno dall’apertura. Gli effetti del recesso e la cessazione del rapporto contrattuale di locazione si realizzano alla scadenza del quarto anno dalla data di apertura della liquidazione. Il conduttore, se ricorrono gravi motivi o se il contratto lo prevede può interrompere anticipatamente il rapporto. A fronte del recesso e, dunque, della cessazione del rapporto contrattuale di locazione, la procedura concorsuale dovrà corrispondere al conduttore in bonis un equo indennizzo determinato d’accordo delle parti o dal giudice delegato. Nel caso di apertura della [continua ..]


25. Contratto di vendita con riserva di proprietà: art. 178 (73 l.f.)

Con rifermento alla vendita con riserva della proprietà, l’art. 178, ricalcando la precedente disciplina regola l’ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale del patrimonio dell’acquirente (comma 1) e quella del venditore (comma 2). Nel primo caso, la norma presuppone l’applicazione della regola generale della sospensione degli effetti del contratto in corso di esecuzione o non ancora eseguito. Laddove il curatore scelga di subentrare nel contratto, previa autorizzazione del comitato dei creditori, il venditore in bonis può chiedere la cauzione sul pagamento del prezzo, a meno che il curatore non opti per il pagamento immediato, in questo caso con lo sconto dell’interesse legale. Se, invece, il curatore opta per lo scioglimento dal contratto, il venditore conserva la proprietà del bene e ne riacquista il possesso ma deve restituire le rate corrisposte, detratto l’equo compenso per l’uso della cosa. In caso di disaccordo e nel silenzio della norma deve ritenersi che l’equo compenso venga determinato dal GD, in analogia con quanto stabilità per la determinazione dell’equo indennizzo dagli artt. 184 e 185 (affitto di azienda e locazione di immobili). A differenza dell’equo indennizzo innanzi indicato, l’equo compenso per l’utilizzo della cosa soggetta a riserva di proprietà ha natura prededucibile, tanto che la novità normativa introdotta dal Codice risiede nel recepimento dell’indirizzo giurisprudenziale formatosi nel vigore della legge fallimentare, circa la compensabilità tra l’equo compenso e la restituzione delle rate (secondo la predetta giurisprudenza, ciò in quanto si tratta di due crediti che, seppur esigibili dopo la dichiarazione di fallimento, trovano la loro origine negoziale in un tempo anteriore). Compensazione che non sarebbe ammissibile se l’equo compenso non fosse prededucibile. Ancora, in applicazione dell’art. 166, comma 3, lett. a) (e come analogamente previsto all’art. 72-quater comma 2), si esclude che siano revocabili i pagamenti ricevuti dal venditore prima della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. In ordine alla risarcibilità o meno dei danni derivanti dallo scioglimento del contratto, essa è da escludere. Ciò perché non si è in presenza di un inadempimento e perché si può [continua ..]


26. Contratto di assicurazione contro i danni: 187

“Al contratto di assicurazione contro i danni si applica l’articolo 172, salvo il diritto di recesso dell’assicuratore a norma dell’articolo 1898 del codice civile se la prosecuzione del contratto può determinare un aggravamento del rischio” La regola generale da applicare all’assicurazione contro i danni in caso di liquidazione giudiziale dell’assicurato, è dunque, la sospensione. Il curatore può decidere se subentrarvi o meno, con l’importante specificazione che il contratto si ritiene estraneo alla procedura se i beni cui si riferisce l’assicu­razione non siano stati acquisiti alla massa attiva. A differenza del previgente art. 82 l.f. la continuazione non è più condizionata all’inesistenza di un patto contrario, ossia di una clausola inserita nel contratto di assicurazione che faccia dipendere lo scioglimento del vincolo negoziale dall’apertura della liquidazione giudiziale che, ove presente, sarebbe da ritenere inefficace. Viene, invece, confermata l’operatività dell’art. 1898 c.c., perciò se l’aper­tura della liquidazione determina un aggravamento del rischio, è consentito il recesso da parte dell’assicuratore. Infine, la norma coerentemente con la nuova impostazione, stabilisce che in caso di prosecuzione del rapporto assicurativo, godono di prededuzione i soli premi scaduti dopo l’apertura della liquidazione.


27. Finanziamenti destinati ad uno specifico affare: 176

L’istituto del contratto di finanziamento destinato a uno specifico affare è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla riforma del diritto societario del 2003 ed è un contratto che in caso di liquidazione giudiziale e normalmente destinato alla sospensione, salvo il verificarsi di alcune condizioni che ne determinano lo scioglimento. In proposito, l’art. 176 prevede che “L’apertura della liquidazione giudiziale della società determina lo scioglimento del contratto di finanziamento di cui all’articolo 2447-bis, primo comma, lettera b), del codice civile quando impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione. In caso contrario, il curatore, sentito il parere del comitato dei creditori, può decidere di subentrare nel contratto in luogo della società, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi”. Risulta problematico individuare quando, per effetto della liquidazione giudiziale, l’operazione non possa essere più realizzata e chi lo stabilisca. Se la liquidazione giudiziale determina lo scioglimento automatico del contratto, il finanziatore potrà insinuarsi al passivo per il suo credito al netto delle somme già percepite per effetto dei proventi realizzati dal compimento del­l’affare o dall’escussione delle garanzie prestate dalla società (artt. 176, comma 4 e 2447-decies, comma 6, c.c.). Se, invece, l’apertura della liquidazione non impedisce la prosecuzione del contratto e il curatore decide di non subentrare, “il finanziatore può chiedere al giudice delegato di essere autorizzato, sentito il comitato dei creditori, a realizzare o a continuare l’operazione, in proprio o affidandola a terzi; in tale ipotesi il finanziatore può trattenere i proventi dell’affare e può insinuarsi al passivo della procedura in via chirografaria per l’eventuale credito residuo”. Qualora l’operazione continui, invece, opera il richiamo alla disciplina di cui all’art. 2447-decies, commi 3, 4 e 5, c.c., perciò i proventi, i frutti e gli investimenti effettuati nell’ambito dell’operazione e i beni strumentali alla realizzazione dell’affare non potranno formare oggetto di liquidazione concorsuale ma costituiranno componenti del patrimonio separato destinato al soddisfacimento dei creditori particolari [continua ..]


28. I contratti pubblici

L’art. 172, comma 7 fa salva l’applicazione delle leggi speciali in materia. Il legislatore ha preso atto che la disciplina in materia non è sempre sussumibile nella fattispecie dell’appalto, la cui disciplina ex art. 81 l.f. è rimasta sostanzialmente invariata all’art. 186. Viene, quindi, in rilievo il richiamo per relationem alla disciplina del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016. L’art. 110 del Codice dei contratti pubblici stabilisce che, in caso di liquidazione giudiziale (ma anche di liquidazione coatta, concordato preventivo, ecc.) del­l’appaltatore, le stazioni appaltanti interpellano i soggetti che hanno partecipato all’originaria gara scorrendo la graduatoria dal primo escluso in avanti per verificare la possibilità di stipulare un nuovo contratto. Il comma 3, tuttavia, prevede che il curatore, autorizzato all’esercizio dell’impresa, può eseguire i contratti già stipulati su autorizzazione del giudice delegato e tale norma è richiamata anche dall’art. 211, comma 8 in tema, appunto, di esercizio dell’impresa nella liquidazione giudiziale. Si versa, pertanto, in una ipotesi di scioglimento automatico, salvo che il curatore sia autorizzato all’esercizio dell’impresa. L’impresa in liquidazione non può, invece, partecipare alla gara per l’affi­damento dell’appalto pubblico, cfr. 211, comma 10 CCII e art. 80, comma 5, lett. b) cod. contr. pubbl., norma che fa salvo quanto previsto dall’art. 110 CCII circa la possibilità di partecipare alla gara per le imprese ammesse al concordato preventivo.


29. Contratto di borsa a termine (art. 181)

Per tale contratto, come detto, opera lo scioglimento ope legis. La ratio di tale previsione risiede nella necessità di sottrarre la massa dei creditori dall’a­lea che tipicamente caratterizza i contratti di borsa. Si sancisce, in sostanza, una incompatibilità tra la speculazione borsistica e la procedura. Il contratto di borsa a termine, se il termine scade dopo l’apertura della liquidazione giudiziale del patrimonio di uno dei contraenti, si scioglie alla data dell’apertura della procedura. Ovviamente se il termine è già scaduto e nessuna delle parti abbia adempiuto completamente la propria prestazione, trova applicazione la regola generale di cui all’art. 172. La differenza fra il prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data dell’apertura della procedura è versata al curatore, se il contraente il cui patrimonio è sottoposto a liquidazione giudiziale risulta in credito o è ammessa al passivo nel caso contrario. In proposito, va segnalato anche l’art. 203, comma 2, TUF, il quale prevede che per l’applicazione dell’art. 76 l.f. (ora 181, comma 2) agli strumenti finanziari può farsi riferimento anche al costo di sostituzione dei medesimi, calcolati secondo il valore di mercato al momento dell’apertura della procedura. Tale disposizione è volta a dare attuazione alle clausole contrattuali, normalmente in uso sui mercati esteri, le quali prevedono che in caso di procedura concorsuale il saldo del contratto di borsa va calcolato sulla base del costo di sostituzione dei beni oggetto del contratto.


30. Associazione in partecipazione

Anche tale contratto (art. 2549 c.c.) si scioglie automaticamente. L’art. 182 stabilisce, infatti, che l’associazione in partecipazione si scioglie per effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti dell’associante. L’as­sociato ha diritto di far valere nel passivo della liquidazione giudiziale il credito per quella parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico. L’associato è tenuto al versamento della parte ancora dovuta nei limiti delle perdite che sono a suo carico. Nei suoi confronti è applicata la procedura prevista dall’art. 260. Pertanto, se a essere in procedura è l’associante, vi è scioglimento ope legis del contratto di associazione in partecipazione e i rapporti economici con la procedura sono disciplinati nel senso per cui se gli apporti dell’associato sono superiori alla parte delle perdite a suo carico può insinuarsi al passivo per l’eccedenza, se invece al momento dell’apertura, l’associato è a debito, deve versare alla procedura gli apporti ancora dovuti nei limi delle perdite a suo carico). Per determinare le perdite a carico dell’associato è sufficiente che il curatore presenti il rendiconto ex art. 2552, comma 3, c.c. Infine, per il recupero degli apporti dovuti dall’associato si applica l’art. 260, dettato per i conferimenti ancora dovuti dai soci di srl sottoposta a liquidazione giudiziale. Il GD, quindi, su proposta del curatore può ingiungere con decreto all’associato di effettuare il versamento (il decreto è opponibile nelle forme di cui all’art. 645 c.p.c.). In termini generali va detto che il contratto risulta incompatibile con la procedura, atteso che anche in caso di esercizio dell’impresa, sembra difficilmente compatibile il meccanismo che prevede la partecipazione agli utili dell’associato, con i principi generali in tema di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione, primo fra tutti quello della par condicio creditorum.


31. Contratti pendenti e liquidazione coatta amministrativa: cenni

L’art. 304 richiama la disciplina di cui agli artt. 172-192. Il regime del rinvio mero è rimasto invariato e tale circostanza stupisce perché erano già state evidenziate in dottrina le criticità sulla previsione inerente il comitato dei creditori, assente nella LCA. Il comitato di sorveglianza, organo analogo al comitato dei creditori, si ritiene non possa esercitare tale potere autorizzativo e permane il dubbio se lo eserciti l’autorità amministrativa, ovvero se non vi sia necessità di autorizzazione alcuna alla luce dei maggiori poteri di cui dispone il commissario liquidatore rispetto al curatore. Infine, è stato affermato che nella LCA al contraente in bonis non sia permesso di chiedere al GD un termine per mettere in mora il curatore, perché tale decisione non rientrerebbe tra quelle di competenza dell’autorità amministrativa. Il contraente, pertanto, subisce l’inerzia del commissario liquidatore, salvo non ritenere applicabile la norma generale dell’art. 1183 c.c.


32. Contratti pendenti nel concordato preventivo