Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La contraffazione del brevetto e il risarcimento dei danni (di Luciano M. Quattrocchio, Professore Aggregato di Diritto Commerciale – Università di Torino.)


L’autore offre il proprio contributo in tema di risarcimento del danno in ipotesi di violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Dopo una breve introduzione normativa, l’intervento descrive i criteri di determinazione del danno e la procedura di quantificazione del danno, con particolare riferimento al disposto di cui agli artt. 2043 c.c. e 125 del Codice della Proprietà Industriale. Interessante è l’illustrazione del c.d. “Panduit test”, che permette di identificare il criterio più appropriato tra quello basato sul mancato profitto e quello residuale della royalty “giusta”, criteri dettagliatamente descritti nel prosieguo della trattazione. Infine, l’autore descrive il c.d. criterio – alternativo – della retroversione degli utili.

The author offers his contribution in the matter of compensation for damage in the event of violation of intellectual property rights. After a brief regulatory introduction, the speech describes the criteria for determining the damage and the procedure for quantifying the damage, with particular reference to the provisions of articles 2043 of the Italian Civil Code and 125 of the Industrial Property Code. Interesting is the explanation of the so-called “Panduit test”, which allows identifying the most appropriate criterion between the one based on the loss of profit criterion and the residual one of the “right” royalty, criteria described in detail in the rest of the speech. Finally, the author describes the so-called – alternative – criterion of retroversion of profits.

Keywords: abuse of intellectual property right – loss of profit – retroversion of profit.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Criteri di determinazione del danno - 2.1. Regole generali - 2.2. La scelta del criterio di determinazione del danno - 2.3. La procedura di quantificazione del danno - 2.4. La quantificazione del danno secondo il criterio del mancato profitto - 2.5. La quantificazione secondo il criterio della royalty “giusta” - 2.6. Altre voci di danno - 2.7. La quantificazione secondo il criterio della retroversione degli utili - 3. Conclusioni


1. Premessa

La Direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, dedica al tema del risarcimento del danno l’art. 13, che così dispone: «1. Gli Stati membri assicurano che, su richiesta della parte lesa, le competenti autorità giudiziarie ordinino all’autore della violazione, implicato consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole in un’attività di violazione, di risarcire al titolare del diritto danni adeguati al pregiudizio effettivo da questo subito a causa della violazione. Allorché l’autorità giudiziaria fissa i danni: a) tiene conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici re­alizzati illegalmente dall’autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione; b) oppure in alternativa alla lettera a) può fissare, in casi appropriati, una somma forfettaria in base ad elementi quali, per lo meno, l’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l’autore della violazione a­vesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale in questione. 2. Nei casi in cui l’autore della violazione è stato implicato in un’attività di violazione senza saperlo o senza avere motivi ragionevoli per saperlo, gli Stati membri possono prevedere la possibilità che l’autorità giudiziaria disponga il recupero dei profitti o il pagamento di danni che possono essere predeterminati». Alla Direttiva è stata data attuazione con il d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140, che ha innovato l’art. 125 del Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). In particolare, il nuovo art. 125 c.p.i., intitolato “Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione”, si articola sui seguenti tre commi: «1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli art. 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, [continua ..]


2. Criteri di determinazione del danno

2.1. Regole generali

In presenza dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c. (dolo o colpa del­l’infringer), la condanna al risarcimento a seguito della contraffazione deve ricomprendere sia il lucro cessante sia il danno emergente, in funzione compensativa e riparatoria degli effetti pregiudizievoli subiti dal danneggiato. È, invece, opinione prevalente che l’ulteriore funzione sanzionatoria e punitiva (punitive damages) non possa trovare applicazione, essendo precluso al danneggiato di poter lucrare su somme eccedenti il danno effettivamente subito, giacché in tal caso il risarcimento sarebbe estraneo ad ogni finalità sanzionatoria della condotta dell’autore. Per contro, la valorizzazione del danno morale è ammessa, in particolare con riferimento alla violazione del diritto morale dell’inventore; del pari, il danno all’immagine può trovare applicazione nei casi di violazione di brevetti. Con particolare riguardo alla quantificazione del lucro cessante e del danno emergente, i criteri generali di determinazione enunciati dall’art. 125 c.p.i. sono ricollegabili: • al mancato profitto del titolare; • al criterio della giusta royalty; • alla retroversione degli utili del contraffattore. Il criterio della royalty “giusta” è comunemente riconosciuto come criterio residuale, applicabile – cioè – quando non sia possibile o conveniente riferirsi al criterio del mancato profitto.


2.2. La scelta del criterio di determinazione del danno

In base all’art. 125 c.p.i. il danneggiato può scegliere tra due alternative: a)  il risarcimento del danno emergente, del lucro cessante e degli altri danni con uno dei seguenti criteri: 1) il criterio del mancato profitto; 2) il criterio della royalty “giusta”; 3) il criterio della valutazione equitativa; b)  l’indennizzo risarcitorio calcolato con il criterio della retroversione del profitto conseguito dall’infringer, qualora tale quantificazione sia eccedente il danno risarcibile. Mentre il danneggiato può scegliere – in modo discrezionale – se avvalersi o meno del criterio della retroversione degli utili, se per lui più favorevole, la scelta del criterio più appropriato per la determinazione del danno di cui al­l’al­ternativa a) dovrebbe essere opportunamente effettuata sulla base del Panduit Test, che permette di identificare il criterio più appropriato tra quello basato sul criterio del mancato profitto e quello residuale della royalty “giusta”. Il c.d. Panduit test è basato su una sequenza logica di dimostrazioni, tra loro collegate, il cui onere è a carico dell’attore, dirette a provare che: «1. Demand existed for the patented product during the period of infringement; 2. Acceptable non-infringing substitutes were not available to satisfy demand for the infringer’s products during the damage period; 3. The patent holder had the requisite manufacturing, sales, and marketing capacity to have been able to meet the demand and supply the costumers that purchased the infringing product; 4. The patent holder can compute the profit that it claim to have lost». In particolare, il Panduit test mira alla verifica se il volume delle vendite del contraffattore – da cui prendere le mosse per la determinazione del danno – corrisponda a quello del danneggiato; ciò si verifica quando questi provi l’esistenza dei c.d. quattro fattori DAMP (demand – accettable non infringing – manifacturing & marketing – profit). Se il Panduit test fallisce e nel caso in cui non sia possibile ricorrere a metodi alternativi (v. infra), la quantificazione del danno dovrebbe essere operata con il criterio residuale della royalty “giusta”, ovvero – in subordine – [continua ..]


2.3. La procedura di quantificazione del danno

I criteri di quantificazione del danno si fondano sulla disponibilità di dati, di natura qualitativa e quantitativa, correlati: • ai volumi e alle marginalità delle parti in causa; • ai volumi e alle marginalità dei competitor; • ad altre informazioni desumibili dalle analisi del mercato di riferimento. L’acquisizione di tali dati è resa possibile dal ricorso alla cd. “discovery”, contemplata dall’art. 121-bis c.p.i., che permette di superare – anche in sede di consulenza tecnica d’ufficio – i limiti di un’indagine esplorativa. La procedura di quantificazione del danno deve perseguire due principali obiettivi: a) quello di razionalità: occorre, cioè, procedere con una valutazione in a­derenza a metodi convalidati dalla dottrina economica, con i necessari adattamenti relativi al caso specifico; b) quello di obiettività: le ipotesi e le assunzioni utilizzate nei modelli valutativi devono poter essere dimostrate e – quindi – risultare credibili, sebbene sia inevitabile un fisiologico grado di soggettività e discrezionalità.


2.4. La quantificazione del danno secondo il criterio del mancato profitto

La quantificazione del danno da lucro cessante si basa, normalmente, sulla perdita dei profitti conseguente alle mancate vendite da parte del titolare del brevetto, tenuto anche conto della eventuale della necessità per lo stesso di abbassare il prezzo, al fine di mantenere comunque una quota di mercato. Una prima possibilità consiste nell’assumere le minori vendite del danneggiato in misura pari al fatturato conseguito dal contraffattore con la vendita dei prodotti contraffatti. Poiché, tuttavia, l’entità del danno commisurata ai ricavi dell’infringer può essere superiore all’effettiva perdita subita dal titolare, e poiché i ricavi conseguiti dal contraffattore dipendono molto anche dalla struttura di quest’ultimo, è opportuna una particolare prudenza nella relativa assunzione. Potrebbe capitare, infatti, che il contraffattore abbia dimensioni sensibilmente maggiori a quelle del titolare danneggiato. Peraltro, laddove la filiera dei soggetti interposti sia articolata, deve essere presa in considerazione la marginalità lorda consolidata dell’intera filiera. Inoltre, se il contraffattore è un operatore economico più efficiente del titolare del diritto di proprietà intellettuale, anche la differenza tra il mancato profitto del titolare ed il proprio maggior profitto potrebbe andare a vantaggio del soggetto danneggiato. Per contro, quando il contraffattore è meno efficiente del titolare, o quando la contraffazione crea un qualche disorientamento del mercato, e provoca una più o meno marcata disaffezione del pubblico rispetto al prodotto, riducendo quindi le vendite complessive del prodotto, il danno da mancato profitto del titolare potrebbe essere superiore al profitto realizzato dal contraffattore. Questa operazione, inoltre, è corretta solo nel caso in cui non esistano altri produttori oltre a quelli in lite (il titolare del diritto ed il contraffattore), e quando il mercato possa considerarsi stabile. Di fatto, le due condizioni ricorrono solo in casi assai marginali, o forse mai: • il mercato quasi sempre conta più operatori; • inoltre, è normalmente caratterizzato da fluttuazioni più o meno ampie. Occorre inoltre attribuire il suo giusto peso alla presenza di prodotti sostitutivi al prodotto coperto dal diritto di esclusiva, e quindi distinguere le variazioni delle [continua ..]


2.5. La quantificazione secondo il criterio della royalty “giusta”

Come si è detto, il criterio della royalty “giusta” può essere utilizzato soltanto qualora non sia superato il Panduit test: infatti, nel caso in cui manchi anche una sola delle condizioni DAMP, la determinazione del danno deve essere effettuata secondo il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., con la possibilità per il giudice di liquidare una somma globale nella misura minima pari a quello della royalty. Al fine di evitare il rischio che il danno sia sottostimato, l’entità delle royalty deve essere determinata non nell’importo che il licenziante (titolare del diritto) e il licenziatario (l’infringer) avrebbero potuto concordare se avessero provato a raggiungere un accordo in condizioni normali, bensì nell’importo che avrebbero (teoricamente) potuto concordare quando la contraffazione era già stata accertata. Infatti, il titolare del diritto, dopo aver organizzato l’azienda e il business, sostenendo i costi della ricerca e della pubblicità, strutturando in proprio la produzione e la commercializzazione del prodotto tutelato, confidando quindi sui futuri ricavi che verranno generati dalla privativa, non avrebbe concesso la licenza alle stesse condizioni che avrebbe negoziato prima di organizzare lo sfruttamento in proprio. D’altronde, l’imposizione della royalty sulle vendite del contraffattore sottostima sempre il danno, perché il profitto di chi produce e vende direttamente è sempre maggiore del profitto di chi concede licenze: la differenza tra i due importi è rappresentata dall’utile del licenziatario. Questa è la ragione per la quale la royalty “ragionevole” deve necessariamente essere superiore ad una royalty “base”, perché le parti non sono consenzienti, né volitive al consenso. E, poiché il pagamento delle royalty viene generalmente effettuato secondo cadenze periodiche (trimestrali, semestrali, annuali) e se ne può ipotizzare il pagamento fino alla data in cui è intervenuta l’inibitoria, da corrispondersi (te­oricamente) almeno al temine di ciascun anno, il valore delle singole royalty deve essere capitalizzato fino alla data di effettiva corresponsione. Pur tenuto conto di quanto appena detto, occorre partire [continua ..]


2.6. Altre voci di danno

Possono – anzitutto – evidenziarsi altre voci di lucro cessante: • il titolare del diritto leso può subire una riduzione di vendite di prodotti o servizi diversi da quelli direttamente coperti dal suo diritto di proprietà intellettuale, che però egli commercializza assieme al primo; • il titolare può essere costretto dalla contraffazione a ridurre il prezzo del proprio prodotto, così subendo danni anche rispetto alle vendite che continua a realizzare; • il titolare può subire la perdita di profitti futuri, provocata dal fatto stesso della contraffazione o dalla scadente qualità del prodotto del contraffattore. In aggiunta al lucro cessante, la parte danneggiata può chiedere un ulteriore risarcimento a titolo di danno emergente, consistente in qualunque perdita dei valori economici che erano già esistenti nel suo patrimonio prima che si verificasse la contraffazione, e così ad esempio: •    le spese vanificate dall’illecito; •    gli incrementi di spese che il titolare deve sostenere per reagire alla contraffazione: ○   incrementi delle spese di pubblicità; ○   incrementi delle spese di marketing; •    l’esistenza di nuovi costi aggiuntivi: ○   spese di monitoraggio del mercato al fine di individuare la contraffazione nella sua fase iniziale; ○   spese di diffida; •    le spese affrontate per ovviare alla contraffazione, ricollegabili agli oneri sostenuti per l’acquisizione delle prove; •    le spese legali; •    il costo dei dipendenti interni impiegati nella reazione. Occorre, inoltre, tenere conto del costo opportunità del contraffattore, il quale potrà – grazie all’attività contraffattoria realizzata – operare, alla data di scadenza del diritto di esclusiva, un più rapido ingresso legittimo nel mercato. Vi è, poi, indubbiamente una perdita di valore del diritto tutelato, anche in termini di chance di una sua proficua collocazione sul mercato.


2.7. La quantificazione secondo il criterio della retroversione degli utili

Il titolare può chiedere in ogni caso la restituzione degli utili realizzati dal­l’autore della violazione, a prescindere dalla circostanza che questi abbia agito in buona fede o meno: la norma pone, infatti, tale criterio «in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento»; dal che si deduce che la restituzione degli utili può coesistere con il risarcimento, ma solo per la parte che eccede l’importo liquidato a titolo di lucro cessante, anche se l’importo così liquidato viene ad essere superiore al danno effettivo. Anche in questo caso, l’utile del contraffattore coincide con il ricavo al netto dei soli costi variabili incrementali relativi ai prodotti contraffatti, per cui devono essere esclusi: • i costi fissi di produzione; • gli ammortamenti; • i costi variabili che non hanno natura incrementale; • i costi variabili generali, amministrativi, commerciali; • i costi variabili di produzione (compresi i costi del personale), che comunque la società avrebbe sostenuto anche in mancanza della produzione contraffattoria. Poiché gli utili conseguiti dal contraffattore dipendono molto anche dalla struttura di quest’ultimo, in ipotesi più ampia e strutturata, anche i costi di struttura del contraffattore possono assumere natura incrementale, con necessità di valorizzare anche le componenti (avviamento e diversa capacità produttiva) in grado di permettere tale maggior potenziale di vendita: il plusvalore derivante dalle capacità produttive e professionali del contraffattore potrebbe, cioè, sottendere costi di cui occorre tenere conto per la determinazione degli utili del contraffattore.


3. Conclusioni