Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
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L'usura c.d. 'bancaria' negli scenari di patologia contrattuale (di Luigi Giuliano-Simone Maina)


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SOMMARIO:

Premessa - 1. Il c.d. “worst case” civilistico - 2. Il “worst case” penalistico. Paradossi e considerazioni critiche - 3. L’irrilevanza (quantomeno in sede penale) del c.d. “worst case” - 4. Considerazioni conclusive - NOTE


Premessa

Il presente contributo si inserisce – senza alcuna pretesa di esaustività e, ancor meno, di risolutività – nel vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale che, sin dalla riforma del ’96, ha interessato il fenomeno dell’usura c.d. “bancaria” [1]. In tale contesto, le (definitive?) soluzioni offerte dalla più recente giurisprudenza di legittimità alle annose questioni relative alla commissione di massimo scoperto ed all’usura c.d. “sopravvenuta” hanno concesso maggior spazio ad un’altra tematica in relazione alla quale gli interpreti faticano non poco a conseguire, se non un’auspicabile unità di vedute, quantomeno un condiviso terreno di dialogo. Ci si riferisce, in particolare, al trattamento che deve essere riservato agli interessi di mora, alle penali e, in termini più generali, ad ogni onere astrattamente posto a carico del debitore la cui esigibilità, tuttavia, sia contrattualmente subordinata all’eventuale verificarsi di determinati eventi che esulino dalla fisiologica esecuzione del rapporto negoziale. A tale proposito, il recente arresto della Sez. III Civ. della Suprema Corte di cui all’ordinanza 17 maggio-30 ottobre 2018, n. 27442 (ormai nota come ordinanza Rossetti, dal nome del relatore), nel “rimproverare” la giurisprudenza di merito per un’asseritamente ingiustificata ritrosia nell’applicare la disciplina dell’usura anche alla categoria giuridico-contrattuale degli oneri eventuali, pare aver rinnovato l’interesse per un tema che, seppure esplorato già diversi anni orsono da alcune pronunce di merito [2], sembrava aver perso gran parte del suo fascino originario. Sull’onda della ribadita applicabilità della normativa antiusura anche agli interessi di mora (il “se” tali oneri possano assumere carattere usurario) e della mai dubitata rilevanza della mera “promessa” usuraria (il “quando” tali oneri possano considerarsi usurari), si è inevitabilmente ritornati a discutere del metodo secondo cui si debba verificare la liceità o meno dei rapporti di credito (il “come” tenere conto di tali oneri) e, in particolare, della validità giuridica della teoria del c.d. “worst case”. Considerato che uno dei pochi aspetti ancora non controversi in materia di usura è [continua ..]


1. Il c.d. “worst case” civilistico

In estrema sintesi, il già citato intervento più recente della Corte di Cassazione civile ha affermato (e, per certi aspetti, ribadito) i seguenti principi: 1) la disciplina dell’usura è unica a livello di sistema e la nozione di usura è sempre e solo quella offerta dall’art. 644 c.p. (come interpretato dall’art. 1, d.l. n. 394/2000), in combinato disposto con le norme di cui alla legge n. 108/1996; 2) gli interessi convenzionali di mora vanno trattati esattamente allo stesso modo di quelli corrispettivi in quanto avrebbero pur sempre la funzione di remunerare il capitale erogato, rientrando quindi anch’essi nella previsione degli interessi dati o promessi “in corrispettivo di una prestazione di denaro” (art. 644, comma 1, c.p.); 3) il fatto che i Decreti Ministeriali del MEF – e, a monte, la Banca d’Italia – non rilevino la misura media degli interessi di mora non ha importanza ed è anzi corretto; 4) il fatto che il tasso “legale” di mora fissato dall’art. 5 del d.lgs. n. 231/2002 per le transazioni commerciali (ed applicabile, alle condizioni ivi previste, a livello generale ex art. 1284, comma 4, c.c.) possa essere – e in concreto sia spesso – superiore al tasso-soglia non rileva; 5) non è lecito “adeguare” il TEGM rilevato trimestralmente dalla Banca d’Italia e, di conseguenza, il tasso-soglia con la maggiorazione media a titolo di mora individuata, a fini statistici, dapprima nella misura del 2,1% ed attualmente del 1,9%, 4,1% ovvero 3,1% (a seconda della categoria di operazioni che venga di volta in volta in rilievo), dovendo l’eventuale usurarietà degli interessi di mora essere “misurata” alla stregua della soglia legale così come risultante dai D.M. trimestrali; 6) il momento consumativo dell’usura è quello della pattuizione. Le ricadute concrete di un siffatto modo di ragionare sono, in sede civile, quelle prefigurate dal quesito posto al CTU dalla Corte d’Appello di Torino, Sez. I Civ., con ordinanza 27 luglio 2018, secondo cui la verifica di usurarietà deve avere ad oggetto sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori, il cui impatto deve valutarsi ex ante, all’epoca della pattuizione, con riferimento ad “ogni possibile scenario” e quindi anche all’ipotesi del c.d. [continua ..]


2. Il “worst case” penalistico. Paradossi e considerazioni critiche

In sede penale, il vero “worst case” – francamente paradossale ma an­ch’es­so apparentemente coerente con le premesse del ragionamento – sarebbe quello di giustificare una possibile condanna a 15 anni di reclusione [4] con riferimento ad un contratto di finanziamento che il cliente/debitore (dopo averne e­saminato “a tavolino” le condizioni e fatti i conti con l’aiuto di un bravo consulente tecnico) abbia sottoscritto per poi presentarsi, immediatamente dopo aver percepito il capitale erogato, presso la Procura della Repubblica affermando di essere vittima di usura perché nel “worst case” si verificherebbe contrattualmente un teorico e potenziale superamento del tasso-soglia. Ovviamente solo in ragione di interessi moratori in concreto mai applicati [5]. Per una serie di ragioni, così non è e non potrebbe essere. 2.1. L’(in)esattezza delle premesse dell’ordinanza n. 27442/18 Il punto di partenza – nonché l’argomento che giustifica “la constatazione di come tale principio resti non infrequentemente trascurato da parte dei giudici di merito” – è che tanto la Corte Costituzionale [6], quanto la Cassazione civile quanto la Cassazione penale avrebbero unanimemente riconosciuto la rilevanza ai fini dell’usura degli oneri eventuali ed in particolare degli interessi di mora. Ciò non è affatto vero. Al di là del “peso” che si ritenga di dover attribuire al noto precedente della giurisprudenza costituzionale – che, a scanso di equivoci, nell’occasione si era occupata di tutt’altro [7] – l’unica pronuncia citata sul fronte penale [8] contiene infatti, sul punto, un mero obiter dictum, per di più indiretto. La decisione, in realtà, ha ad oggetto i limiti entro i quali possa essere pronunciata una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., tema generale che, del tutto incidentalmente, viene trattato nell’ambito di una vicenda processuale relativa ad una contestazione di usura “presunta” incentrata sugli interessi di mora. Varrà allora la pena di segnalare che, sempre in tema di rapporti tra usura, interessi moratori e limiti della pronuncia ex art. 425 c.p.p., almeno in due decisioni coeve [9] la medesima Sez. II Pen. [continua ..]


3. L’irrilevanza (quantomeno in sede penale) del c.d. “worst case”

In termini generali, uno dei pilastri irrinunciabili del diritto penale è rappresentato dal principio di necessaria offensività della condotta concreta, ancorché conforme al “tipo” astrattamente delineato dal Legislatore nella norma incriminatrice. Senza scomodare i supremi principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.), personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.) e colpevolezza (art. 27, comma 3, Cost.), la logica sottesa al requisito della necessaria offensività del fatto è intuitiva: per meritare la più severa punizione ammessa dal nostro Ordinamento un determinato fatto deve essere idoneo ad offendere o quantomeno mettere concretamente in pericolo l’integrità del bene giuridico che il Legislatore ha inteso tutelare prevedendo quel medesimo fatto come reato. Ciò vale anche per i reati di pericolo (quale indubitabilmente è l’usura “presunta”), in relazione ai quali è massima l’anticipazione della risposta punitiva dello Stato: “la ricostruzione della fattispecie incentrata sul pericolo si è mossa agli indirizzi del rinvenimento nel tessuto normativo della fattispecie tipica di elementi che consentano di dare concreta attitudine offensiva alla condotta […] il pericolo non può essere insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo ma è conforme al tipo solo il fatto che esprima davvero una potenzialità offensiva dei beni tutelati […] allorché la fattispecie astratta non proponga profili di incompatibilità con il canone di offensività dovrà essere il giudice ordinario a garantire che il fatto concreto esprima almeno una minima offensività” [16]. Si consideri, allora, che il bene giuridico tutelato dall’art. 644 c.p. è rappresentato dal patrimonio della persona offesa (al quale si aggiunge, ma non si sostituisce, l’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche), come testimonia la collocazione sistematica della norma nel Titolo XIII del Libro II del Codice Penale dedicato, appunto, ai “delitti contro il patrimonio”. Poste tali premesse, viene quasi spontaneo domandarsi quale concreta offensività possa avere rispetto al patrimonio del debitore ed all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche la pattuizione (si [continua ..]


4. Considerazioni conclusive

Quanto sino ad ora osservato offre lo spunto per alcune note finali a proposito del dubbio che – non solo nelle menti di chi scrive – continua ad albergare nelle Aule di giustizia: siamo davvero sicuri che la severa (tanto in termini civilistici quanto, a maggior ragione, sul versante penale) disciplina dell’usura debba necessariamente applicarsi anche agli interessi di mora e, più in generale, agli oneri eventuali? Tutti i (pur lodevoli) tentativi di trovare una sintesi tra la disciplina dell’u­sura e la macro-categoria degli oneri eventuali che accedono al sinallagma contrattuale tipico dei rapporti di credito (erogazione di denaro versus restituzione rateale onerosa del capitale) sembrano tradire le premesse dalle quali gli stessi affermano di prendere le mosse. Procediamo con ordine. Riconoscere la centralità sistematica dell’art. 644 c.p. nella costruzione della normativa antiusura per poi obliterare il riferimento ivi contenuto al carattere “corrispettivo” degli oneri che possono astrattamente assumere connotazione usuraria è chiaramente – se non un controsenso – una forzatura. Né si può sostenere che l’attenzione debba essere concentrata sull’inciso “a qualunque titolo” di cui al quarto comma della norma incriminatrice, all’art. 2 legge n. 108/1996 ed al d.l. n. 394/2000 ovvero – ancor meno – sul “collegamento con l’erogazione del credito” per affermare che l’oggetto della tutela civile e penale approntata dall’Ordinamento sia rappresentato non solo dal costo, non importa come denominato, che il debitore sostiene per ottenere il credito, ma anche dal danno che egli arreca al creditore rendendosi inadempiente. Già sul piano letterale, invero, appare evidente che il collegamento tra “corrispettività” e “remunerazioni a qualunque titolo” sia unidirezionale, con il primo termine in posizione reggente: un corrispettivo può sicuramente essere pattuito o pagato a diversi titoli (interessi, commissioni, spese, ecc.), ma ciò non implica che tutte le promesse od i pagamenti abbiano carattere corrispettivo (sanzioni, risarcimenti, imposte, ecc.). Si aggiunga, tra l’altro, che il riferimento alla pattuizione in “corrispettivo di una prestazione di denaro” di oneri “collegati all’erogazione del [continua ..]


NOTE