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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 12 maggio 2021, n. 12567, ha affermato che il socio di una società di persone, per poter conservare le somme prelevate a titolo di utili e di compensi, deve dimostrare con riferimento alla prima voce l’approvazione dei rendiconti e per ciò che riguarda la seconda voce la sua quantificazione quale credito certo, liquido ed esigibile. Nel caso de quo, una società in nome collettivo chiedeva la restituzione delle somme percepite dal socio amministratore revocato a titolo di utili e compensi; la domanda veniva accolta sia in primo che in secondo grado. Il convenuto ricorreva in Cassazione osservando sia come la pretesa restitutoria non potesse essere fondata sull’esame parziale della situazione contabile, sia come la percezione degli utili nelle s.n.c. spetti al momento dell’approvazione del rendiconto e non sia onere dell’amministratore la prova di aver adempiuto ai propri doveri. La Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha osservato come sia infondato il rilievo sulla considerazione da parte del giudice di merito di elementi contabili parziali, poiché, a fronte dell’approvazione da parte dell’amministratore di somme acquisite al patrimonio sociale, spetta al medesimo la dimostrazione che i prelievi fossero stati effettuati a titolo di utili e compensi. Inoltre, è vero che ex art. 2262 c.c. nella società di persone gli utili sono dovuti al momento dell’approvazione del rendiconto, ma grava sull’amministratore la prova che ciò sia effettivamente avvenuto. Tale onere si estende anche ai compensi prelevati, per i quali deve essere dimostrata l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alle società di capitali ma estendibile anche alla società di persone, ciò deriva dalla natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore: la società può limitarsi ad allegare l’inadempimento, mentre spetta all’amministratore la dimostrazione del suo adempimento.