Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Diffida accertativa per crediti patrimoniali (di Mauro Mollo, Giudice del Tribunale di Torino, Sezione Lavoro – Giulia Ponte, Tirocinante ex art. art. 73 D.L. 69/2013 presso il Tribunale di Torino)


Il saggio analizza la diffida accertativa, strumento a disposizione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro finalizzato a favorire il recupero dei crediti di lavoro vantati dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, soffermandosi sulla natura dell’atto, sui crediti diffidabili, nonché sugli aspetti processuali.

Certainty warning for equity credits

The essay analyzes the certainty warning, a tool available to the Territorial Labor Inspectorate aimed at encouraging the recovery of work credits claimed by the worker from the employer, focusing on the nature of the act, on the doubtful credits, as well as on the procedural aspects.

SOMMARIO:

1. La ratio dell’istituto - 2. Natura dell’atto - 2.1. Peculiarità della diffida accertativa: titolo esecutivo tra privati - 2.2. Accertamento tecnico o costitutivo? - 3. I crediti diffidabili dagli ispettori del lavoro - 3.1. Previsioni normative e prassi amministrative - 3.2. Somministrazione illecita e diffida accertativa - 3.3. Il ricorso amministrativo avverso la diffida accertativa - 4. Aspetti processuali: l’opposizione - 4.1. Richiesta di ulteriore titolo esecutivo per il medesimo credito - 4.2. Esecuzione della diffida - 4.3. Mezzi di opposizione: 615 e 617 c.p.c. - 4.4. Mezzi di opposizione (segue): accertamento negativo - 4.5. Giudizio di opposizione e posizione del lavoratore - 4.6. Oggetto del giudizio di opposizione: ne bis in idem e giudicato - NOTE


1. La ratio dell’istituto

Con il d.lgs. n. 124/2004, il Legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la diffida accertativa, uno strumento a disposizione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro finalizzato a favorire il recupero dei crediti di lavoro vantati dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro [1]. L’art. 12 del medesimo decreto stabilisce: “Qualora nell’ambito dell’atti­vi­tà di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti. La diffida trova altresì applicazione nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati. 2. Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro. In caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo, del Codice civile. Entro il medesimo termine, in alternativa, il datore di lavoro può promuovere ricorso avverso il provvedimento di diffida al direttore dell’ufficio che ha adottato l’atto. Il ricorso, notificato anche al lavoratore, sospende l’esecut­iv­ità della diffida ed è deciso nel termine di sessanta giorni dalla presentazione. 3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, oppure in caso di rigetto del ricorso, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista efficacia di titolo esecutivo”. Leggendo la norma, si può notare chiaramente la peculiarità di questo strumento: si tratta di un provvedimento amministrativo emesso dall’Ispet­torato Territoriale del Lavoro, all’esito dell’attività ispettiva, suscettibile di divenire titolo esecutivo azionabile dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Sebbene la lettura della disposizione sia chiara sotto il profilo dell’iter procedimentale e dell’interesse (evidentemente quello del lavoratore) che si vuole soddisfare e [continua ..]


2. Natura dell’atto

Secondo quanto si evince dall’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004 sopra menzionato, si può affermare che la diffida accertativa configuri uno strumento per la formazione in via amministrativa di un titolo esecutivo per diritti patrimoniali del lavoratore; ossia si tratta di un atto che nasce come provvedimento amministrativo che, decorsi i termini di legge, muta automaticamente in titolo esecutivo. Occorre quindi fare riferimento all’art. 474, comma 2, n. 1 c.p.c., per cui “sono titoli esecutivi anche gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia”, ossia ciò che fa l’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004.


2.1. Peculiarità della diffida accertativa: titolo esecutivo tra privati

Sebbene resti peculiare e significativa, la formazione amministrativa – e quindi stragiudiziale – di un titolo esecutivo non è sconosciuta al nostro ordinamento che già ha sperimentato titoli esecutivi con tale origine: si pensi al­l’avviso di addebito, alla cartella esattoriale o all’ordinanza ingiunzione. Esiste però una significativa differenza, sintomatica della vera peculiarità di questo strumento: mentre l’ordinanza ingiunzione o la cartella esattoriale sono titoli esecutivi con i quali una Pubblica Amministrazione ingiunge ad un privato un pagamento in proprio favore, con la diffida accertativa la Pubblica Amministrazione non agisce per un proprio credito, ma diffida un privato a pagare un credito ad un altro privato. Questo meccanismo non può che richiamare, per analogia, il potere giurisdizionale: è infatti ordinariamente e tipicamente il giudice che, nell’esercizio del proprio potere, accertata l’esistenza di un credito, ne ordina la corresponsione all’altra parte. Questo paragone mette in luce un’ulteriore peculiarità: il giudice esercita il proprio potere sulla base del principio della domanda; nel caso della diffida accertativa, invece, non vi è, dal punto di vista normativo, nessun riferimento ad una iniziativa o ad un impulso da parte del lavoratore, poiché l’ispettorato agisce di propria iniziativa al termine di una attività di ispezione e accertamento (“Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti”). Alla luce di questa prima analisi, si può dunque considerare la diffida accertativa un mostrum: un provvedimento amministrativo con cui una Pubblica Amministrazione diffida il datore di lavoro a pagare un credito non a sé, ma a un terzo (il lavoratore); quest’ultimo, decorsi i termini di legge senza che sia intervenuta la conciliazione ed eventualmente il pagamento oppure l’accogli­mento del ricorso amministrativo proposto dal datore di lavoro, avrà a disposizione un titolo esecutivo.


2.2. Accertamento tecnico o costitutivo?

Il legislatore ha espunto dalla disposizione normativa l’inciso per cui l’ac­certamento dell’ITL era da considerarsi tecnico, scelta questa che da un lato esime dall’indagare l’oscuro significato di quella espressione; dall’altro, non attenua il dibattito circa la natura dell’accertamento effettivamente svolto dal­l’ispettivo: potrebbe trattarsi di un accertamento costitutivo? Innanzitutto, preme capire che cosa si intenda per accertamento costitutivo. Secondo la dottrina: “gli accertamenti costitutivi sono atti vincolati, nel senso che l’amministrazione è tenuta ad emanarli, qualora risulti accertata la sussistenza dei presupposti a cui la legge subordina la loro emanazione” [2], ossia “gli accertamenti costitutivi constatano l’esistenza nel soggetto di determinati requisiti, cui consegue l’acquisto d’una capacità, d’uno status o situazione giuridica, d’un diritto (…) Gli accertamenti costitutivi sono indispensabili per il sorgere della capacità, della situazione o del diritto: anche se i requisiti preesistono (…)” [3]. Guardando alla casistica giurisprudenziale [4], sono esempi di accertamenti costitutivi: il permesso di costruire, la revoca del permesso di soggiorno, l’esenzione dalle tasse automobilistiche per i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico, il provvedimento di ritiro del passaporto, il rilascio della patente di guida e, ancora, l’iscrizione all’albo professionale. L’accertamento costitutivo è pertanto espressione di un potere non discrezionale (l’atto amministrativo è emesso a seguito dell’accertamento dei presupposti di fatto), ed in ciò può essere ricondotto il provvedimento in esame; tuttavia, a differenza della diffida accertativa, l’accertamento è, come dice la parola stessa, costitutivo, ossia modifica la preesistente situazione giuridica del destinatario dell’atto. Ciò invece non accade nell’ipotesi della diffida accertativa, dove l’ispettore non crea il credito, già esistente, ma lo accerta, e neppure costituisce in capo al lavoratore nuove o diverse situazioni giuridiche soggettive rispetto a quelle già in precedenza esistenti. In conclusione, non solo, dopo la riforma, l’accertamento degli ispettori non è più [continua ..]


3. I crediti diffidabili dagli ispettori del lavoro

In primo luogo, appare utile individuare per quali crediti di lavoro l’ITL può emettere la diffida accertativa, sulla scorta delle norme e delle prassi amministrative [5].


3.1. Previsioni normative e prassi amministrative

La norma non è casistica, ossia non esemplifica le ipotesi di crediti di lavoro suscettibili di essere diffidati; piuttosto siamo di fronte ad una norma di generica formulazione che si limita a menzionare le inosservanze alla disciplina contrattuale e l’esistenza di crediti patrimoniali. A dare contenuto alla previsione normativa sono, in primo luogo, le circolari ministeriali. Nella circolare n. 24/2004 si legge che sono diffidabili “le somme che risultino accertate quali crediti retributivi derivanti dalla corretta applicazione dei contratti individuali e collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative (…) Pertanto, in primo luogo, l’organo di vigilanza ha la facoltà di procedere ad impartire una diffida accertativa, valutate le circostanze del caso, secondo un prudente apprezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi acquisiti. A tal proposito, in particolare, va sottolineato che l’adozione della diffida accertativa appare possibile anche nell’ambito dei rapporti di lavoro autonomo (collaborazione coordinata e continuativa e lavoro a progetto), almeno in tutte quelle ipotesi in cui l’erogazione dei compensi sia legata a presupposti oggettivi e predeterminati che non richiedano complessi approfondimenti in ordine alla verifica dell’effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell’attività.(…) l’organo di vigilanza potrà procedere a diffidare il datore di lavoro quando avrà acquisito elementi obiettivi, certi e idonei a determinare il calcolo delle spettanze patrimoniali del lavoratore, potendo altrimenti acquisire il consenso delle parti ad una conciliazione monocratica.”. Più dettagliata è certamente la circolare n. 1/2013, nella quale il Ministero fornisce un elenco dei crediti diffidabili, individuandoli per categorie: •    crediti retributivi da omesso pagamento; •    crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR; •    retribuzioni di risultato, premi di produzione; •    crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento contrattuale, •    crediti legali al demansionamento oppure alla mancata applicazione dei minimi retributivi richiesti esplicitamente dal Legislatore in osservanza dell’art. 36 Cost. ovvero [continua ..]


3.2. Somministrazione illecita e diffida accertativa

Una particolare e problematica ipotesi applicativa della diffida accertativa riguarda l’appalto e somministrazione illecita di manodopera. Il caso è il seguente: l’ispettore verificata la sussistenza di una somministrazione illecita, diffida il datore di lavoro (utilizzatore) a riconoscere al lavoratore lo stesso trattamento contrattuale riservato agli altri suoi dipendenti. Il nodo problematico è rappresentato dal fatto che la normativa – art. 29 d.lgs. n. 276/2003 e art. 88 d.lgs. n. 81/2015 – prevede che sia facoltà del lavoratore di chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore. La legge, nel caso di somministrazione illecita (e di appalto non genuino), stabilisce che il giudice emetta una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro alle dipendenze del datore, non quindi di mero accertamento. A differenza, infatti, di quanto accade nel lavoro irregolare, dove l’ispettore non costituisce un rapporto di lavoro che, invece, anche se solo di fatto, è già esistente, riconoscere tale prerogativa agli ispettori nel caso della somministrazione o dell’appalto illecito significherebbe attribuire loro un potere che, per legge, appartiene al giudice. Mentre è pacifico il potere dell’Ispettorato del lavoro di accertare e sanzionare le ipotesi di somministrazione illecita, non appare possibile affermare la possibilità, per gli ispettori, di diffidare l’utilizzatore a pagare i crediti retributivi [6], poiché ciò presupporrebbe la costituzione di un rapporto di lavoro dei lavoratori somministrati alle sue dipendenze. A ulteriore dimostrazione di quanto qui si sostiene, si deve sottolineare che il d.l. n. 76/2020, convertito con legge n. 120/2020, ha modificato l’art. 12 d.lgs. n. 124/2004, introducendo al comma 1 la previsione per cui “La diffida trova altresì applicazione nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati”: è stata quindi espressamente prevista la possibilità di diffidare gli utilizzatori ma esclusivamente quali responsabili in solido; laddove il legislatore avesse voluto prevedere il potere, per gli ispettori, di costituire un rapporto di lavoro tra costoro e i dipendenti dell’ap­paltatore o somministratore, lo avrebbe espressamente indicato con la [continua ..]


3.3. Il ricorso amministrativo avverso la diffida accertativa

L’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004 prevede che, a seguito dell’emissione della diffida accertativa, l’ITL debba procedere alla notifica della stessa al datore di lavoro. Quest’ultimo dispone di un termine di 30 giorni entro i quali può: corrispondere al lavoratore il credito diffidato; restare inerte per cui, stante l’inutile decorso del termine, la diffida accertativa diventerà titolo esecutivo; proporre ricorso al fine di avviare un tentativo di conciliazione o, in caso di fallimento, di ottenere la revoca della diffida. Mentre i primi due punti non sollevano particolari problematiche (in un caso il datore di lavoro, senza contestazione, procede al pagamento, nell’altro opta per un comportamento inerte, salvo poi difendersi in sede giudiziale), l’ultimo punto merita qualche sintetica osservazione. Il ricorso amministrativo proposto dal datore di lavoro sospende l’esecu­ti­vità della diffida, aprendo alla possibilità di avviare un tentativo di conciliazione in sede amministrativa. Il tentativo di conciliazione è per il datore di lavoro la prima occasione di contraddittorio tanto con gli ispettori del lavoro quanto con il lavoratore stesso. A quest’ultimo, infatti, deve essere notificato il ricorso amministrativo affinché anch’esso possa prendere attivamente parte alla procedura conciliativa. In questa fase, il coinvolgimento delle parti diventa determinante al fine di coltivare ipotesi transattive che potenzialmente potrebbero condurre ad accordo tra lavoratore e datore di lavoro e, quindi, ad una soluzione bonaria del­l’insorgenda controversia; ciò in un’ottica di riduzione del contenzioso e del carico di lavoro dei Tribunali, obiettivi dichiaratamente perseguiti dal legislatore. Nel caso di proficua conciliazione, l’accordo, riportato in apposito verbale, andrà a sostituirsi alla diffida accertativa per cui le pretese di credito del lavoratore corrisponderanno a quelle così individuate e cristallizzate. Nell’ipotesi patologica in cui il datore di lavoro, nonostante ciò, non corrispondesse le somme pattuite, si discute su quale sia l’efficacia di tale accordo, nel silenzio della norma. Una prima tesi ritiene che il lavoratore avrà la possibilità di portare il verbale di accordo come prova scritta per ottenere un decreto ingiuntivo [7]; appare maggiormente [continua ..]


4. Aspetti processuali: l’opposizione

Vista brevemente la fase procedimentale, resta la più ampia e complessa fase processuale, ossia quella che si instaura nel momento in cui, decorsi inutilmente i trenta giorni dalla notifica della diffida oppure in caso di rigetto del ricorso amministrativo o mancato accordo, come previsto dall’art. 12, l’atto diventa titolo esecutivo. In questa fase si intrecciano numerose problematiche che si propongono nella disamina che segue.


4.1. Richiesta di ulteriore titolo esecutivo per il medesimo credito

Un primo aspetto problematico riguarda la possibilità, per il creditore/lavoratore, di ottenere un ulteriore titolo esecutivo (questa volta di natura giudiziale), per gli stessi crediti già oggetto di diffida accertativa. Il caso è il seguente: il lavoratore, che già ha a sue mani una diffida accertativa, notificata dall’ITL al datore di lavoro e divenuta titolo esecutivo, domanda in via giudiziale l’emissione di un nuovo titolo esecutivo per il medesimo credito [9] portando come elemento di prova la diffida (ad esempio, un decreto ingiuntivo). Sul punto, occorre premettere che nel nostro ordinamento non esiste un divieto generale ed assoluto di duplicazione dei titoli esecutivi [10], ma vi sono altre ragioni per cui, talvolta, la Corte di Cassazione ha negato la duplicazione del titolo: il principio dell’interesse ad agire, secondo quanto disposto dall’art. art. 100 c.p.c. per cui “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”, ciò anche al fine di evitare un’inutile attività processuale. In merito, si potrebbe pensare al caso in cui il lavoratore, pur avendo a sue mani la diffida accertativa, promuova un procedimento monitorio per ottenere un decreto ingiuntivo per includervi un ulteriore credito vantato nei confronti del datore oppure lo faccia per il medesimo credito, al fine di procedere all’iscrizione di un’ipoteca giudiziale. In entrambi i casi si può ritenere sussistente l’interesse del lavoratore ad ottenere, oltre alla diffida accertativa, altresì l’ingiunzione di pagamento. Nel primo caso, l’interesse è dettato dall’esigenza di avere un titolo esecutivo per crediti (certi, liquidi ed esigibili) non portati dalla diffida. Invece, quando alla seconda ipotesi, va osservato che, ai sensi dell’art. 2818 c.c., “Ogni sentenza, che porta condanna al pagamento di una somma o al­l’adempimento di un’altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente, è titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore. Lo stesso ha luogo per gli altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce lo stesso effetto”. La norma non pare lasciar dubbi: il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale quando abbia ottenuto una sentenza ovvero un provvedimento giudiziale avente il medesimo [continua ..]


4.2. Esecuzione della diffida

In primo luogo, si evidenzia una problematica connessa alla procedura notificatoria: il creditore può limitarsi a notificare il precetto, essendo la diffida già stata notificata al datore di lavoro dall’ITL, oppure deve notificare tanto il precetto quanto il titolo esecutivo? Qui, evidentemente il problema è connesso al fatto che, nel primo caso, il precetto sarebbe notificato dal titolare del diritto di credito, mentre il titolo sarebbe notificato da un terzo che, peraltro, non sarà parte del giudizio di merito. Sul punto, possono svolgersi alcune considerazioni. L’art. 479 c.p.c. recita: “Se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in copia attestata conforme all’originale e del precetto. La notificazione del titolo esecutivo deve essere fatta alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti. Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte personalmente.”. Letteralmente la norma non richiede che il titolo esecutivo sia notificato dal creditore, limitandosi a prevedere espressamente che la notifica sia eseguita alla parte (ossia al debitore) personalmente. Inoltre, secondo la nuova formulazione dell’art. 12, la diffida accertativa notificata al datore di lavoro dall’ITL acquista efficacia di titolo esecutivo in modo del tutto automatico, per cui l’atto ricevuto dal datore di lavoro prima del decorso dei trenta giorni, corrisponderà, anche sotto il profilo del contenuto, esattamente all’atto divenuto titolo esecutivo e menzionato dal lavoratore nel precetto. Anche laddove intervenga il rigetto del ricorso amministrativo, non vi è un ulteriore provvedimento che conceda l’esecutorietà della diffida: il titolo rimane il provvedimento originale. Alla luce di ciò, potrebbe ritenersi superfluo e non necessario gravare il lavoratore di nuova notifica posto che la diffida, divenuta nel frattempo titolo esecutivo, non solo è già nella sfera di conoscenza del datore di lavoro, ma è altresì atto identico, formalmente e sostanzialmente, a quello notificatogli dal­l’ITL; non si ravvisano esigenze di tutela del debitore tali da imporre una nuova notifica del titolo [11]. L’opinione contraria è [continua ..]


4.3. Mezzi di opposizione: 615 e 617 c.p.c.

Ammettendo pertanto che il lavoratore possa notificare soltanto il precetto, si pone il problema della difesa del datore di lavoro, che questi può effettivamente spiegare per la prima volta in giudizio, in contraddittorio con il lavoratore. Sul punto, recentemente la Cassazione [13] ha sostenuto che: “la diffida accertativa (…) è atto di natura amministrativa che è idonea ad acquisire valore di titolo esecutivo ma non determina un passaggio in giudicato dell’accerta­mento in essa contenuto che può sempre essere contestato. (…). Il mancato ricorso o il rigetto dello stesso comportano che la diffida acquisisca efficacia di titolo esecutivo ma non esclude che l’interessato possa contestare in giudizio l’esistenza del diritto in essa riportato”. Per cui, in sintesi: •    la diffida accertativa ha efficacia esecutiva, ma non ha valore di giudicato, proprio perché non c’è stato alcun accertamento giudiziale; •    di conseguenza non impedisce al datore di lavoro di contestare l’accerta­mento in essa contenuto (esistenza o entità del credito), sulla quale, dunque, non scende il giudicato; •    l’emissione della diffida non dovrebbe impedire che anche il lavoratore possa formulare contestazioni sul contenuto della stessa alla cui formazione non ha partecipato; ipotesi questa di cui ci occuperemo in seguito e che riguarda evidentemente i casi in cui il lavoratore ritenga di aver pretese ulteriori da soddisfare. Quanto sostenuto dalla Cassazione non appare tuttavia risolutivo dal momento che la Suprema Corte non illustra quali siano, in concreto, gli strumenti a disposizione delle parti, in particolare, del datore di lavoro per opporsi alla pretesa di credito vantata dal lavoratore. In assenza di ciò, i rimedi vanno individuati in via sistematica. È opinione pacifica che contro la diffida accertativa il datore di lavoro possa promuovere un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. oppure un’op­posizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Mediante il ricorso a questi strumenti processuali, il datore di lavoro può altresì domandare la sospensione dell’efficacia esecutiva della diffida: con l’opposizione al precetto ex art. 615 c.p.c. è possibile discutere la pretesa di credito sotto il profilo [continua ..]


4.4. Mezzi di opposizione (segue): accertamento negativo

Il dibattito si concentra invece sulla possibilità di ricorrere a opposizioni preventive, ossia se sia possibile, prima della notifica del precetto, promuovere un’azione di accertamento negativo del credito e, in tal caso, nei confronti di quale soggetto: amministrazione pubblica o lavoratore? Appare ormai condiviso in giurisprudenza l’orientamento negativo, secondo cui il datore di lavoro non può promuovere, nei confronti dell’Ammini­strazione, accertamenti negativi del credito avverso il verbale di accertamento – non immediatamente lesivo – oppure avverso la diffida accertativa prima che questa gli sia stata notificata, unitamente all’atto di precetto, da parte del lavoratore. Infatti, in una tale ipotesi, il giudice si limiterebbe ad esprimere un parere giuridico che non precluderebbe, comunque, al lavoratore di azionare i crediti patrimoniali oggetto di diffida: quest’ultimo, infatti, è l’unico titolare del diritto di credito e peraltro l’unico legittimato passivo in un eventuale giudizio promosso dal datore di lavoro [14]. Inoltre, come il ricorso amministrativo avverso la diffida viene notificato anche al debitore, a maggior ragione questi deve prendere parte all’eventuale giudizio innanzi al giudice avente ad oggetto proprio un credito da lui stesso vantato. Vi sono alcune pronunce giurisprudenziali di merito di segno contrario [15], le quali considerano con favore il caso in cui il datore di lavoro domandi un accertamento negativo del credito diffidato agendo direttamente nei confronti del lavoratore prima che questi abbia azionato la diffida. Seppur tramite meri obiter dicta, suddetti Tribunali sostengono che il datore di lavoro possa altresì proporre, nelle more dell’accertamento, un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. Rispetto ad entrambe le ipotesi non può nascondersi una certa perplessità. Da un lato, sebbene si possa comprendere l’interesse di un datore di lavoro, in ipotesi oggetto di numerosi provvedimenti di diffida accertativa, ad ottenere un accertamento della propria posizione debitoria, è facile obiettare che tale giudizio coinvolgerebbe lavoratori che non hanno ancora manifestato alcuna intenzione di azionare il provvedimento emesso dall’ITL. Si tratterebbe, quindi, di un accertamento su un credito per il quale l’interesse del debitore è soltanto ipotetico, divenendo [continua ..]


4.5. Giudizio di opposizione e posizione del lavoratore

Sia che il datore di lavoro agisca per l’accertamento negativo del credito, sia che decida di opporsi alla diffida ex art. 615 o 617 c.p.c., il contraddittorio deve essere instaurato (per le ragioni già esposte) soltanto con il lavoratore; peraltro, nemmeno costui ha partecipato attivamente al procedimento ispettivo, essendo al più il soggetto che ha presentato una denuncia o che è stato sentito dagli ispettori: occorre quindi prendere brevemente in considerazione la sua posizione. Nel caso in cui il lavoratore ritesse di vantare ulteriori diritti di credito oltre quelli già diffidati, potrebbe, a fronte dell’opposizione da parte del datore di lavoro, costituirsi in giudizio proponendo una domanda riconvenzionale? La giurisprudenza più recente, conforme a quella formatasi negli ultimi anni, riconosce in capo al creditore la facoltà di proporre una domanda riconvenzionale in un giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. In merito, si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione [16] che ha enunciato il seguente principio di diritto: “(…) la giurisprudenza più recente di questa Corte è costante nel ritenere che il creditore convenuto nel giudizio di opposizione all’esecu­zione può legittimamente domandare in via riconvenzionale la condanna del­l’attore-opponente, al fine di precostituirsi un nuovo titolo esecutivo che, in caso di accoglimento tanto dell’opposizione, quanto della domanda riconvenzionale, gli consenta di iniziare ex novo una seconda esecuzione forzata”. La domanda riconvenzionale in sede di opposizione rappresenta certamente la prima occasione che il lavoratore ha per contestare l’accertamento svolto dagli ispettori, chiedendo i maggiori importi di cui ritiene di essere creditore. Inoltre, sarebbe un modo per dare attuazione al principio di economia processuale: anziché promuovere un secondo giudizio, il lavoratore in un’unica causa otterrebbe un ulteriore titolo esecutivo per i maggiori crediti da lui vantati.


4.6. Oggetto del giudizio di opposizione: ne bis in idem e giudicato

Occorre ora affrontare due ulteriori problemi: quello relativo alla coesistenza di un’azione esecutiva fondata sulla diffida accertativa e un giudizio di merito, e quello afferente ai limiti dell’oggetto dell’accertamento, ossia su cosa scende il giudicato. È già stato evidenziato in precedenza che, formalmente, non si può prospettare un’ipotesi di ne bis in idem in quanto ci si trova dinanzi a due fenomeni giuridici diversi, un titolo esecutivo di natura amministrativa da un lato e un giudizio dall’altro [17]. Si potrebbe sospettare l’esistenza del ne bis in idem, allorquando il lavoratore, in possesso della diffida accertativa e di un ulteriore titolo giudiziale avente ad oggetto il credito già diffidato (eventualmente insieme a ulteriori crediti di lavoro) li azioni entrambi. In tal caso, il datore di lavoro potrebbe in sede di opposizione all’esecuzione rilevare l’esistenza di un altro titolo esecutivo emesso per le stesse ragioni ed eventualmente già azionato dal lavoratore in un’altra procedura. È infatti evidente che il creditore, seppur munito di due titoli esecutivi, non possa essere pagato due volte per lo stesso credito. Si consideri invece l’ipotesi in cui il lavoratore azioni, in via esecutiva, la diffida accertativa e agisca in giudizio per ottenere il soddisfacimento del proprio credito, magari più esteso [18]: l’aver instaurato un processo esecutivo preclude la possibilità di adire il giudice con un ulteriore giudizio? La risposta pare essere negativa. Il processo d’esecuzione non è finalizzato all’accertamento della posizione soggettiva, ma alla soddisfazione del credito indicato dal titolo [19]. Per chiarezza, si possono esaminare le diverse ipotesi. Nel caso in cui il debitore esecutato non voglia contestare il titolo azionato, nel giudizio di cognizione sarà per tenuto a eccepire che la controparte ha già ottenuto un accertamento, seppur stragiudiziale, e soprattutto che sta agendo per la soddisfazione di quel credito: viceversa, rischierebbe di pagare due volte, se il giudice di cognizione accerti che è debitore per l’intero. Se invece il debitore volesse contestare l’esistenza del debito portato nella diffida accertativa e azionato dal creditore in via esecutiva, è necessariamente tenuto a farlo con l’opposizione [continua ..]


NOTE