Considerate l’importanza e l’evoluzione che hanno caratterizzato l’istituto della locazione finanziaria nel nostro Paese negli ultimi anni, l’approfondimento in ordine a quali siano i presupposti affinché l’imprenditore fallito, o sottoposto alla liquidazione giudiziale sia imputabile (e in un secondo momento condannato) per alcuna delle ipotesi di bancarotta si mostra oltremodo utile, addirittura necessario allo studioso del diritto penale fallimentare.
I punti centrali attraverso i quali si snoda la trattazione in ordine ai profili di bancarotta fraudolenta patrimoniale dei beni pervenuti in leasing sono: i) innanzitutto, la necessità di stabilire se gli oggetti ricevuti dall’imprenditore (poi fallito o posto in liquidazione giudiziale) siano da considerare “beni” agli effetti dell’art. 322, comma 1, lett. a) C.C.I.I. (il quale riprende, per i procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, quanto precedentemente previsto dall’art. 216, comma 1, n. 1 L.F.); ii) in secondo luogo, sempre alla luce della disposizione appena richiamata, sempre che di beni trattasi, in quali casi siano questi da considerare “suoi”, ossia dell’imprenditore dichiarato poi tale. Inoltre, sempre considerando i profili concernenti l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ulteriore questione concerne la configurabilità di tale fattispecie in occasione della cessione del contratto di leasing da parte della originaria utilizzatrice a un terzo soggetto.
In conclusione, considerando che nella prassi ve ne è usuale manifestazione, meritano parimenti approfondimento i casi di c.d. leasing operativo e di sale and lease back mentre, seppur appaia quasi del tutto relegata a una mera ipotesi di scuola, un breve cenno merita invece la questione sulla configurabilità della stipulazione di uno o più contratti di leasing quale operazione che possa essere causalmente orientata alla formazione del dissesto aziendale, e quali siano, in tal ultimo caso, gli eventuali rapporti con la ben più frequente ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Considering the importance and the evolution that have characterized the institution of financial leasing in our country in recent years, the in-depth analysis of what are the prerequisites for the bankrupt entrepreneur, or subject to judicial liquidation to be imputable (and in later condemned) for any of the hypotheses of bankruptcy proves to be extremely useful, even necessary for the student of bankruptcy criminal law.
The central points through which the treatment of the fraudulent patrimonial bankruptcy profiles of the assets received under leasing unfolds are: i) first of all, the need to establish whether the objects received by the entrepreneur (later bankrupt or placed in judicial liquidation) are to be considered “goods” for the purposes of art. 322, paragraph 1, lett. a) C.C.I.I. (which resumes, for the proceedings instituted after the entry into force of the business crisis and insolvency code, what was previously provided for by art. 216, paragraph 1, n. 1 of the Bankruptcy Law); ii) secondly, again in the light of the provision just mentioned, provided that the goods in question are, in which cases these are to be considered “yours”, i.e. of the entrepreneur then declared as such. Furthermore, still considering the profiles concerning the hypothesis of fraudulent asset bankruptcy, a further question concerns the configurability of this case on the occasion of the transfer of the leasing contract by the original user to a third party.
In conclusion, considering that in practice there is a usual manifestation of it, the cases of so-called operating leasing and sale and lease back while, although it appears almost entirely relegated to a mere school hypothesis, the question on the configurability of the stipulation of one or more leasing contracts as an operation that can be causally oriented towards training deserves a brief mention of corporate instability, and what are, in this last case, the possible relationships with the far more frequent hypothesis of fraudulent patrimonial bankruptcy.
1. Premessa - 2. I profili di bancarotta fraudolenta patrimoniale – 2.1. L’elemento materiale della fattispecie - 2.2. Segue. La rilevanza penale ratione temporis della distinzione tra leasing finanziario di godimento e traslativo - 2.3. Le condotte punibili - 3. I profili di bancarotta nelle ulteriori ipotesi di leasing - 3.1. Sul leasing operativo - 3.2. Sulle operazioni di sale and lease back - 4. Il leasing come operazione dolosa causativa del dissesto - Bibliografia
Il leasing (o locazione finanziaria stricto sensu) è oggi un contratto tipico, previsto e disciplinato dall’art. 1, commi 136 ss., legge 4 agosto 2017, n. 124, in forza del quale l’utilizzatore (sia esso un privato, un’impresa o un professionista) si impegna a pagare dei canoni a titolo di corrispettivo per la scelta e l’utilizzo di un bene, assumendone altresì tutti i rischi, anche di perimento nei confronti del concedente (la società di leasing), che rimane proprietario del bene sino a che al termine del versamento delle rate l’utilizzatore predetto o esercita l’opzione di riscatto (divenendone il nuovo proprietario) o si impegna a restituirlo alla società di leasing. Sino a tale novella (salvo sporadici e isolati interventi legislativi che in questa sede è superfluo approfondire) si trattava sostanzialmente di un contratto avente natura atipica, non previsto nello strumentario del nostro legislatore nazionale codicistico ed extracodicistico [1]. Infatti e come noto, la sua frequentissima applicazione dapprima negli Stati Uniti e, poi, nel nostro Paese (dovuta alla sua capacità di perseguire evidenti interessi meritevoli di tutela, tra i quali, nondimeno, la possibilità di accedere all’utilizzazione di beni strumentali di rilevante entità economica attraverso lo sviluppo di mezzi finanziari alternativi, nonché la vantaggiosità dell’operazione dal punto di vista fiscale), aveva già ben prima della introduzione della legge n. 124/2017 spinto gli operatori del diritto e, in particolare, coloro che si occupano di diritto penale fallimentare a confrontarsi con una realtà imprenditoriale nella quale diversi imprenditori in bonis, i quali avevano la disponibilità dei cespiti in leasing, se ne appropriavano lasciando la successiva procedura concorsuale sprovvista di alcun bene da restituire alle società concedenti.
Premesso che in forza del contratto di locazione finanziaria possono essere finanziati i beni materiali (e, tra questi, sono da annoverare tanto i beni immobili quanto i beni mobili, anche e soprattutto registrati) e i beni immateriali (i marchi), nonché le fonti rinnovabili (come l’impianto fotovoltaico), in un primo momento la giurisprudenza di legittimità riteneva che i beni mantenuti dall’imprenditore in forza del possesso precario non rientrassero nell’oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto pervenuti nella disponibilità del debitore a titolo diverso dalla traslatio dominii (locazione, comodato e deposito) e dunque mai usciti dal patrimonio del dominus il quale, nelle forme della procedura concorsuale, avrebbe meramente avuto diritto alla restituzione del bene [2]. Successivamente, e in particolare nel caso specifico del contratto in esame, la Cassazione sulla base di un risalente precedente è parsa modificare il suo orientamento, stabilendo invece che ai fini dell’individuazione dell’elemento materiale della fattispecie prevista dall’art. 322, comma 1, lett. a) C.C.I.I. (già art. 216, comma 1, n. 1 legge fallimentare) non occorre fare esclusivo riferimento all’insieme dei beni di proprietà dell’imprenditore, bensì alla concreta disponibilità della res e alla consistenza obiettiva del patrimonio, al di là della sussistenza o meno di un valido rapporto negoziale quale presupposto della acquisizione della disponibilità del bene stesso, a mente di quanto previsto dal legislatore concorsuale sui beni a titolo precario nella disponibilità dell’imprenditore poi soggetto alla liquidazione giudiziale (art. 210 C.C.I.I., già artt. 79 e 103 L.F. [3]), secondo cui l’obbligo di restituzione del bene di cui il titolare dell’impresa ha la disponibilità di fatto in forza del contratto di leasing (a prescindere dalla prospettiva o meno di riscattarlo), con la conseguente esposizione della società o della ditta poi fallita verso chi era titolare del correlato diritto, implica comunque una deminutio patrimonii [4]. I beni affidati al soggetto fallito (o dichiarato in liquidazione giudiziale), infatti, purché estranei al suo patrimonio, devono comunque essere restituiti al proprietario secondo le modalità individuate dalla [continua ..]
Oltre alle variabili del leasing operativo e del sale and lease back (sui quali si veda infra), erano previsti dalla giurisprudenza civile di legittimità due sottotipi del contratto di locazione finanziaria stricto sensu, ossia il leasing c.d. di godimento e il leasing c.d. traslativo: i) nel primo caso la locazione finanziaria era volta principalmente a che il bene fosse lasciato strettamente in godimento all’utilizzatore, essendo marginale e accessoria la pattuizione relativa al trasferimento della res che, al termine del contratto, esauriva quasi completamente la sua utilità, e che aveva dunque un valore di riscatto superiore a quello di mercato (tale da remunerare la successiva allocazione del bene da parte della impresa concedente); ii) nel secondo, la locazione veniva stipulata invece con l’intento principale di trasferire, in capo all’utilizzatore e al termine del pagamento dei canoni, la proprietà del bene a un prezzo di riscatto inferiore a quello di mercato [8]. Nonostante tale trentennale distinzione sia stata poi superata con l’introduzione dell’art. 1, commi 136 ss. legge n. 124/2017 [9], l’accertamento del Giudice penale sul concreto e reale valore dell’oggetto poi distratto, distrutto o dissipato non può ancor oggi considerarsi scevro dalla valutazione che dipenda o dalla tipologia di contratto traslativo, o da quella di tipo di godimento, come peraltro testimoniano delle pronunce anche della più recente giurisprudenza penale di legittimità [10]. Vero pertanto è che la valutazione in ordine alla sussistenza dell’elemento materiale dovrà necessariamente tenere conto se la res oggetto del contratto fosse originariamente predeterminata al trasferimento della proprietà di questa in capo all’utilizzatore, ovvero se tale ultima clausola fosse stata meramente accessoria alla principale obbligazione del versamento dei canoni di leasing, a maggior ragione se il contratto era stato stipulato (e il fallimento/liquidazione giudiziale erano stati dichiarati) prima dell’entrata in vigore della legge n. 124/2017: in quest’ultima ipotesi, il Giudice penale dovrebbe tenere conto dei dettami della giurisprudenza civile di legittimità prima richiamata, i quali (nel caso di individuazione dell’elemento materiale della fattispecie in esame), nel ribadire la differenza tra il leasing di godimento e il [continua ..]
Risolto il primo rilevante nodo concernente l’annoverabilità tra i beni dell’imprenditore posto in liquidazione giudiziale (ovvero del fallito) anche quelli derivanti dalla stipulazione di contratti di locazione finanziaria, deve conseguentemente affermarsi la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ogni qualvolta il Giudice penale accerti che l’agente abbia commesso uno o più degli atti tipici previsti dall’art. 322, comma 1, lett. a) C.C.I.I., aventi a oggetto i beni medesimi la cui consistenza deve essere valutata nei termini che prima si sono richiamati (si veda supra, paragrafo precedente). Oltre alla ricorrente ipotesi della distrazione dei beni in leasing [12], si registra altrettanto frequentemente nella prassi l’ipotesi di occultamento dei beni medesimi, che viene attuata dall’imprenditore mediante il loro nascondimento materiale al fine di non consentire alla Curatela e alle società di leasing di rientrare nel possesso delle res in oggetto. In tal senso, in giurisprudenza si è ritenuto che l’onere della prova concernente tanto la distrazione quanto l’occultamento dei beni della società fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’imprenditore o dell’amministratore (sia di diritto sia di fatto), della destinazione dei suddetti beni, o da generiche e non valide asserzioni da parte di questi, soprattutto ove non riscontrate dall’esistenza di idonea documentazione contabile [13]. Giustificazione, questa, che è resa legittima in ragione dell’obbligo incombente in capo all’imprenditore fallito o in liquidazione giudiziale di dichiarare al Curatore l’esistenza di altre attività da includere nell’inventario, che non erano presenti nella sede principale dell’impresa e sui quali erano dunque stati precedentemente apposti i sigilli (artt. 193 e 195 C.C.I.I., prima artt. 84 e 87 legge fallimentare). Ne discende che non è configurabile la distrazione o l’occultamento dei beni non rinvenuti in sede di inventario, se questi non fossero realmente entrati nella sfera patrimoniale della società fallita/in liquidazione giudiziale: qualora l’imprenditore fosse sprovvisto della disponibilità giuridica del bene in leasing, può tuttalpiù assumere rilevanza in tal senso la sola [continua ..]
Il contratto di locazione finanziaria stricto sensu rappresenta la forma tradizionale di leasing di tipo squisitamente “finanziario”, alla quale si accompagnano due variabili, il leasing operativo (denominato anche leasing strumentale, o diretto) e il sale and lease back.
Il leasing operativo, solitamente stipulato per una durata inferiore alla vita utile del bene e per una rosa di servizi accessori funzionali al godimento del medesimo, a differenza del suo archetipo squisitamente finanziario non prevede alcuna opzione finale di acquisto del bene. Il riscatto è meramente eventuale e deve essere, se del caso, oggetto di nuova trattativa al termine del contratto di leasing operativo tra le stesse società concedente (che conserva la proprietà del bene per tutta la durata del contratto) e controparte utilizzatrice. Nel silenzio tanto dell’art. 1 legge n. 124/2017, quanto dell’art. 177 C.C.I.I., già la giurisprudenza civile aveva avuto modo di distinguere tra leasing finanziario e operativo, evidenziando che nella prima ipotesi la società concedente acquista il bene dai terzi per poi concederlo in locazione all’utilizzatore, mentre nella seconda ipotesi: a) sarebbe la stessa società di leasing, in quanto produttrice del bene in questione, a concederlo in locazione all’utilizzatore; b) il contratto avrebbe come causa non tanto il trasferimento di proprietà della res, quanto la mera attribuzione della sua disponibilità per un determinato periodo di tempo; c) il canone corrisponderebbe all’entità dei servizi offerti, e non verrebbe commisurato alla durata economica del bene [23]. Nonostante le differenze strutturali tra i due negozi, nonché l’assenza di precedenti specifici della giurisprudenza penale sul punto, non può che giungersi alla conclusione che qualunque condotta tipicamente prevista dall’art. 322, comma 1, lett. a) C.C.I.I., che coinvolga il bene ricevuto in forza di contratto del leasing operativo, integri parimenti un’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, considerando che, come già ampiamente argomentato supra (par. 2.), tra le res ricomprese nel patrimonio dell’imprenditore poi soggetto alla liquidazione giudiziale rientrano anche quelli a egli pervenuti in forza di negozio giuridico non implicante la traslatio dominii, purché gliene attribuisca la disponibilità di fatto mediante la consegna [24]. A fortiori, si segnala un’altra decisione non dissimile, la quale ritiene sussistente l’ipotesi di bancarotta fraudolenta de qua nel momento in cui l’imprenditore (accipiens) si appropri di un bene o di tutte le componenti attive del suo [continua ..]
Il sale and lease back costituisce, invece, un contratto bilaterale che presenta degli elementi comuni alla disciplina del suo archetipo, ossia il leasing finanziario, ma al contempo delle differenze strutturali rispetto a quest’ultimo, poiché la sua esecuzione presuppone due fasi: la prima, di cessione a titolo oneroso della proprietà del bene alla società di leasing, la seconda di attribuzione da parte di quest’ultima della disponibilità del bene stesso all’impresa originariamente cedente, dietro la corresponsione di un canone di locazione finanziaria, unitamente all’opzione di riscatto finale. Essendo un contratto atipico, la più recente giurisprudenza civile ne ha nuovamente e consolidatamente confermato la causa, sulla base della sua idoneità a perseguire l’interesse dell’imprenditore (invero meritevole di tutela) di autofinanziamento: è infatti particolarmente indicato in caso di lease back immobiliare, quando l’imprenditore, il quale goda di terreni e fabbricati strumentali all’attività di impresa, necessiti di convertire tale capitale immobilizzato in somma liquida, rientrando nella disponibilità del medesimo bene in cambio del pagamento dei canoni periodici alla società di leasing, nonché mantenendo l’opzione di riscatto finale [26]. La giurisprudenza penale in materia di lease back è piuttosto rada, e ancor meno risultano dei precedenti che concernono la bancarotta fraudolenta; la Suprema Corte, con una decisione più risalente, aveva ritenuto puntualmente motivata la decisione di merito con la quale la Corte di Appello aveva condannato per bancarotta fraudolenta per distrazione l’amministratore di una società, poi fallita, che aveva venduto (senza emettere la fattura) un impianto alla società di leasing, la quale l’aveva poi affidato in locazione finanziaria alla originaria concedente, ma versando parte del corrispettivo della vendita a un’altra società sempre amministrata dal medesimo utilizzatore [27]. Anche in un caso non dissimile, ben più di recente, sempre la Cassazione aveva ritenuto immune da censure la motivazione di una sentenza resa dai Giudici di merito sulla portata distrattiva o dissipativa delle condotte tenute dall’amministratore a danno di una società poi fallita, consistite: a) nell’aver ceduto la [continua ..]
La stipulazione del contratto di leasing, la quale avviene usualmente per beni di considerevole rilevanza economica e per la non indifferente entità dei canoni da versare, implica in capo all’utilizzatore l’assunzione di un impegno finanziario molto importante. Seppur si tratti di una forma di acquisizione di assets di indubbia vantaggiosità, l’imprenditore deve sempre e comunque verificare la convenienza della stipulazione del contratto in esame, con speciale riguardo all’entità del maxi canone iniziale, dei singoli canoni periodici e della buona remunerazione derivante dalla definitiva acquisizione del bene locato al patrimonio dell’utilizzatore. Qualora, invece, non avvenga tale ponderazione, vuoi per la complessità dell’operazione sottostante al contratto (come nel caso, già visto, del sale and lease back), vuoi per mera incapacità dell’imprenditore il quale assume con leggerezza e superficialità gli impegni derivanti dal leasing, proprio l’onere derivante dalla sottoscrizione del contratto stesso, quando sproporzionato all’entità dell’attivo, potrebbe aggravare o addirittura determinare causalmente il dissesto della società utilizzatrice, realizzando in tal modo la condotta tipica sussunta nell’art. 329, comma 2, lett. b) C.C.I.I.; se a questo si accompagna la volizione o la previsione del cagionamento del dissesto, oltre alla sussistenza del nesso di causalità tra la stipulazione del contratto (e l’assunzione dei relativi impegni) e il dissesto stesso, si potrebbe ragionevolmente ritenere integrato il delitto di bancarotta fraudolenta impropria societaria derivante da operazioni dolose, previsto e punito dall’art. 329, comma 2, lett. b) C.C.I.I. (che sostanzialmente riprende l’art. 223, comma 2, n. 2) L.F., eccezion fatta per l’elemento di dissonanza rappresentato, comunque formalmente, nella prima dal “dissesto”, e nella seconda dal “fallimento” della società [29]). Risultano, anche qui, sporadici precedenti in giurisprudenza sul punto: la Cassazione ha più volte ricordato che qualsiasi operazione in sé astrattamente lecita è idonea a integrare il delitto in parola, laddove si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale [30], [continua ..]