L'autore esamina l’ordinamento degli enti locali, che costituiscono il livello di governo più vicino al cittadino, di rappresentanza delle esigenze delle collettività locali, alla luce delle più recenti, anche se incomplete, riforme. L'articolo permette di riflettere sulle prospettive future con riferimento altresì al disegno di legge sul regionalismo differenziato, che potrebbe incidere sulle funzioni amministrative.
The author examines the local authorities' organization, which constitute government level closest to the citizen, representing the needs of local communities, in the light of most recent, albeit incomplete, reforms. The article allows us to reflect on future perspectives with reference also to the bill on regionalism differentiated, which could affect the administrative functions.
1. La legge n. 56 del 2014: la riforma a livello ordinario degli enti locali, in particolare di area vasta - 2. La legge n. 56 del 2014 e la promozione della cooperazione intercomunale: le unioni di comuni, le fusioni ed il superamento delle comunità montane - 3. Il governo del territorio montano: il ruolo (quantomeno) particolare dei consorzi BIM - 4. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a Statuto ordinario ed i possibili riflessi sugli enti locali - Bibliografia - NOTE
La legge 7 aprile 2014, n. 56, c.d. legge Delrio, costituisce un primo punto di arrivo dell’incessante processo di riforme [1] che negli ultimi decenni ha interessato l’organizzazione degli enti locali [2]. In realtà, si tratta di un riordino parziale, che avrebbe necessitato di un completamento a livello costituzionale con la riforma del Titolo V ma il tentativo non ha avuto buon esito nel 2016 allorquando la consultazione referendaria [3] sul relativo progetto di riforma non ha confermato l’intento governativo [4]. Con la legge n. 56 del 2014 si è agito in due direzioni: da una parte, si è dato attuazione alla prevista introduzione nell’ordinamento, sin dalla legge n. 142 del 1990, delle città metropolitane [5] e vi è stata la trasformazione delle province in enti di area vasta con diversa perimetrazione e differenti funzioni rispetto all’ente conosciuto sino ad allora [6] e, dall’altra, nell’ottica di promuovere l’aggregazione tra gli enti locali caratterizzati da una ridotta dimensione demografica, al fine di garantire l’esercizio delle funzioni amministrative in forma adeguata [7] ai sensi dell’art. 118 Cost. [8], si sono incentivate, anche economicamente, le forme associative e le fusioni tra comuni. Ed infatti, l’art. 1 della legge n. 56 del 2014 prevede che le città metropolitane, enti territoriali di area vasta [9] che perseguono, quali fini generali, la cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano, la promozione e la gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della medesima città, la cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le aree metropolitane europee, subentrino dal primo gennaio 2015 alle province omonime e succedano in tutti i loro rapporti attivi e passivi e ne esercitino le funzioni, nel rispetto dell’equilibrio della finanza pubblica, principio che dal 2012 ha ricevuto tutela costituzionale con l’introduzione di un nuovo comma 1 all’art. 81 Cost [10]. Si è, quindi, prevista una sostituzione ex lege di 10 città metropolitane alle soppresse province [11], con l’ulteriore previsione, quanto agli organi di governo, articolati in un sindaco metropolitano, un consiglio metropolitano ed una conferenza metropolitana, che [continua ..]
La legge n. 56 del 2014 prosegue il cammino intrapreso nel nostro ordinamento a favore dell’associazionismo intercomunale sin dalla legge n. 142 del 1990. La promozione delle forme associative è strettamente collegata alla volontà del legislatore di garantire l’esercizio in forma adeguata delle funzioni amministrative anche da parte dei comuni caratterizzati da una ridotta dimensione demografica, in particolar modo con riferimento ai c.d. comuni polvere [32]. In tal senso si era mosso il legislatore del 1990, che aveva previsto l’unione di comuni quale forma associativa specificamente finalizzata a perseguire un obiettivo di fusione tra i comuni più piccoli. Ed infatti, costituendo un presupposto per la successiva fusione, si prevedeva che essa potesse essere costituita solamente tra enti locali finitimi di regola non superiori a 5000 abitanti. Questa caratteristica è stata persa nel corso degli anni dalle unioni di comuni, che oggi, così come confermato dall’art. 32, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nonché dall’art. 1, comma 4, legge n. 56 del 2014, vengono individuate quali ulteriori enti locali [33], e quindi enti a fini generali, deputati all’esercizio associato di funzioni e servizi di competenza dei comuni che danno origine all’unione [34]. Le unioni sono divenute, pertanto, la modalità generale di esercizio congiunto di funzioni e servizi dei comuni che ne fanno parte, perdendo contestualmente la caratteristica per cui erano state previste originariamente dal legislatore [35]. La disciplina delle unioni di comuni negli ultimi anni è stata oggetto di profonde e molto spesso contraddittorie modifiche [36], tutte però concepite con l’intento di risolvere attraverso questa particolare forma associativa il problema di un esercizio adeguato delle funzioni amministrative all’interno di un ordinamento quale il nostro caratterizzato da una frammentazione, prossima alla polverizzazione, del potere locale [37]. Con l’art. 16, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge 14 settembre 2011, n. 148, si era previsto che, per garantire il contenimento delle spese degli enti territoriali ed il miglior svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici, i comuni con popolazione sino a 1000 abitanti potessero esercitare in forma associata tutte le funzioni ed i servizi loro attribuiti, in primo [continua ..]
Il territorio montano, date le sue peculiarità, si caratterizza per la presenza di altri particolari enti di diritto pubblico, chiamati a svolgere un ruolo strategico nella gestione e valorizzazione, economica ed ambientale, dello stesso. Tra questi sicuramente occorre ricordare la posizione assunta nel corso del tempo dai consorzi dei bacini imbriferi montani, la cui costituzione è stata disposta dalla legge 27 dicembre 1953, n. 959 [57]. La legge n. 959 del 1953 ha difatti previsto che i comuni, che sono in tutto o in parte ricompresi in ciascun bacino imbrifero montano, sono costituiti in consorzio obbligatorio qualora ne facciano richiesta almeno tre quinti di essi; se il bacino imbrifero è ricompreso in più province, veniva stabilito dal legislatore la necessità di costituire un consorzio per ogni provincia, con disposizione che oggi deve necessariamente trovare nuova collocazione nell’ambito delle riforme in divenire che hanno per oggetto il sistema delle autonomie locali e delle aree vaste [58]. Il legislatore ha introdotto nell’ordinamento questi consorzi riconoscendo loro uno scopo esclusivo: i consorzi BIM, così come affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non svolgono funzioni guidate da mere logiche imprenditoriali [59], avendo al contrario lo scopo tipico, attribuito dalla legge, di tutela e di promozione, dal punto di vista sociale ed economico, delle popolazioni montane, attesa l’attribuzione agli stessi della gestione del fondo comune costituito dai sovracanoni di cui all’art. 1 della legge n. 959 del 1953, corrisposti dai concessionari delle grandi derivazioni idroelettriche in sostituzione della riserva di energia da destinare ai comuni rivieraschi [60], fondo che, a norma della stessa legge, deve essere utilizzato esclusivamente a favore dell’implementazione “del progresso economico e sociale delle popolazioni” [61]. In altri termini, i consorzi BIM non sono configurabili come enti a fini generali [62], essendo invece funzionali esclusivamente a finanziare una o più attività che risultino vantaggiose per la collettività di riferimento attraverso investimenti resi possibili dall’utilizzo del fondo comune. Questa caratteristica dei consorzi esclude, al contempo, la possibilità che gli stessi, non svolgendo attività direttamente rivolte a soddisfare esigenze delle [continua ..]
La riforma dell’ordinamento degli enti locali, avvenuta solamente a livello ordinario in quanto non si è proceduto al rinnovo del Titolo V della Costituzione [80] anche a causa del mancato successo della campagna referendaria del 2016, potrebbe essere incisa, seppur tangenzialmente, da un disegno di legge presentato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie ed attualmente in discussione al Senato. Dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2023, il successivo 23 marzo è stato difatti presentato in Senato il d.d.l. n. 615, che detta disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Si tratta del disegno di legge sul c.d. regionalismo differenziato [81], finalmente unitario e non legato a sporadici tentativi delle singole Regioni [82]. L’art. 1, dedicato alle finalità del provvedimento legislativo, definisce quello che vorrebbe essere l’ambito di intervento del Governo. Si prevede, difatti, che “la presente legge, nel rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione delle procedure, l’accelerazione procedimentale, la sburocratizzazione, la distribuzione delle competenze che meglio si conformi ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”. Si ricordi che l’art. 116, comma 3 della Costituzione prevede che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei [continua ..]
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