L'intervento illustra lo sviluppo pratico del Metaverso nel contesto dei diritti di proprietà intellettuale. In tale contesto di riferimento, l'autore analizza opportunità e rischi per le imprese, soffermandosi sulla tutela del concept store nel Metaverso.
The paper illustrates the practical development of the Metaverse in the context of intellectual property rights. In this reference context, the author analyzes opportunities and risks for companies, focusing on the protection of the concept store in the Metaverse.
1. La nascita del Metaverso - 2. Metaverso e diritti di proprietà intellettuale: opportunità e rischi per le imprese - 3. La tutela del concept store nel metaverso - 3.2. Il concept store nel diritto industriale italiano: quali possibili forme di tutela? - 3.3. Il concept store come marchio - 3.4. Il concept store come disegno/modello - 3.5. Il concept store come opera creativa - 3.6. Come estendere le varie forme di tutela del concept store nel metaverso? - 4. Conclusioni - NOTE
apporto con il mondo virtuale, trasformando in realtà scenari che fino a poco tempo fa non sembravano altro che ipotesi fantascientifiche. È il caso della nascita del metaverso, la nuova realtà virtuale parallela immersiva, all’interno della quale tramite i propri avatar le persone possono intrecciare rapporti, costruire nuove reti sociali e lavorative, svolgere le più svariate attività, effettuare acquisti e transazioni. Un nuovo spazio digitale fortemente interconnesso con il mondo reale, il cui sviluppo è fortemente legato alla commistione con altre due significative innovazioni tecnologiche: (i) i Non-Fungible Tokens (meglio noti con l’acronimo NFT), certificati digitali basati su tecnologia blockchain, che consentono di rappresentare ed identificare in modo univoco, insostituibile e non replicabile la proprietà di asset digitali (come ad es. opere d’arte, oggetti virtuali, proprietà virtuali, ecc.), consentendo agli utenti di acquistare, possedere e/o scambiare e commercializzare tali asset nel metaverso; (ii) l’intelligenza artificiale (IA) che, unita alle tecnologie di realtà virtuale e realtà aumentata, rende possibile creare esperienze immersive, realistiche e personalizzate all’interno del metaverso, dalla generazione di contenuti, scenari e personaggi fino alla creazione di sistemi integrati di chatbot basati su un modello conversazionale per dialogare per iscritto (oppure con attivazione vocale), di cui ChatGPT è solo l’esempio più noto in questo particolare momento storico. Ma che cos’è il metaverso? Nato della combinazione del prefisso greco “μετα” (ossia “oltre”, strettamente legato alla “Metafisica” di Aristotele per indicare ciò che va oltre la fisica) ed il termine “universo”, il concetto di metaverso è stato introdotto per la prima volta nel 1992 dallo scrittore Neal Stephenson nel romanzo distopico “Snow Crash”, proprio per descrivere un universo virtuale parallelo che va oltre la realtà fisica, in cui ogni persona è rappresentata e può interagire tramite un proprio avatar 3D e può creare ciò che desidera (negozi, uffici, locali, ecc.), vivendo le più svariate esperienze. Da allora il concetto di metaverso è stato ripreso ed esplorato in numerosi film e [continua ..]
L’avvento del Metaverso (o meglio dei metaversi) costituisce un’importante opportunità per le imprese che, grazie alle caratteristiche proprie dei nuovi universi virtuali, hanno infatti ora la possibilità di estendere il proprio mercato, ampliando sia il novero di beni e servizi offerti, sia la platea di clienti, grazie alla creazione di contenuti, esperienze ed eventi immersivi e coinvolgenti (mostre, concerti, sfilate, ecc.), il tutto con costi operativi/gestionali inferiori e senza le limitazioni geografiche del mondo reale. Per questo sono sempre più numerose le imprese che hanno esteso o che stanno estendendo le proprie attività nel metaverso, specie nel settore del Food&Beverage e della moda, lanciando propri spazi virtuali (come ad esempio “Nikeland”, creato dalla NIKE sulla piattaforma di gaming Roblox) o aprendo numerosi propri flagship nei mondi virtuali più conosciuti (è il caso di Gucci che ha creato su Roblox un intero quartiere virtuale “Gucci Town” che include un Gucci Shop, in cui i visitatori possono acquistare articoli e/o accessori digitali del brand [2]). Tuttavia, per sfruttare al meglio le potenzialità offerte dal metaverso, è necessario essere ben consapevoli anche dei rischi e delle implicazioni legali e giuridiche che lo stesso comporta, specie con riferimento alla tutela della proprietà intellettuale. L’ingresso nel mondo virtuale pone infatti non solo numerose nuove questioni giuridiche non ancora del tutto risolte [3], ma espone le aziende a nuove ipotesi di contraffazione e di concorrenza sleale, che impongono un’attenta gestione del proprio portafoglio di diritti IP. Il fatto che un diritto di proprietà intellettuale sia già tutelato nel mondo reale (es. un marchio registrato) non comporta infatti di per sé l’automatica estensione di tale protezione anche nel metaverso: per questo è necessario valutare caso per caso quali siano le forme migliori per estendere la tutela dei propri diritti IP anche al mondo virtuale, monitorare attentamente il loro utilizzo in tale ambiente ed intervenire sui contratti di licenza e/o cessione di tali diritti introducendo previsioni ad hoc per il metaverso. Ma che cosa significa tutto ciò dal punto di vista pratico? Proviamo a capirlo meglio prendendo come esempio il tema relativo alla tutela dei concept store che traslati [continua ..]
3.1. Che cos’è un concept store? Per concept store si intende l’immagine complessiva dei punti vendita di un brand, caratterizzata da un’atmosfera precisa, frutto di un’attenta combinazione di elementi sia funzionali (illuminazione, arredi, scaffalature, ecc.) sia decorativi/estetici (es. colore delle pareti, tendaggi, tipologia di pavimentazione, abbigliamento del personale), che consente di veicolare ai consumatori uno specifico messaggio commerciale, rendendo immediatamente riconoscibili l’immagine ed i prodotti associati a quel determinato brand. In altri termini, possiamo dire che il concept store è una sorta di fil rouge che consente ai consumatori di riconoscere e ricollegare immediatamente i negozi che presentano un determinato layout ad una specifica impresa.
Da quanto abbiamo esposto è del tutto evidente il valore che il concept store riveste per un’impresa e, di conseguenza, l’importanza di tutelarlo adeguatamente per evitare che terzi concorrenti possano indebitamente trarne vantaggio, utilizzando layout confondibili. Ma come si può tutelare un concept store? Alla luce anche di quanto statuito dalla giurisprudenza, il concept store è potenzialmente tutelabile sia come marchio tridimensionale, sia come disegno /modello, sia ancora come opera creativa e può comunque beneficiare anche della tutela più generale della concorrenza sleale ove la ripresa del layout da parte di un concorrente integri uno degli illeciti concorrenziali previsti dall’art. 2598 c.c. Tali tutele non sono alternative, ma sono tra loro sempre cumulabili, purché ovviamente sussistano in concreto i requisiti necessari per accedere alle singole forme di tutela. La disciplina dei marchi si trova agli artt. 7-28 del d.lgs. n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale – CPI) e consente di tutelare quei segni dotati concretamente di capacità distintiva (ossia idonei a contraddistinguere i prodotti e/o i servizi di un’impresa da quelli delle altre imprese) ed idonei ad essere rappresentati nel registro (indipendentemente dalla possibilità di rappresentarli graficamente [4]), in modo da consentire sia al pubblico che alle autorità competenti una chiara e precisa identificazione dell’oggetto della protezione. I segni distintivi registrabili come marchi sono i più vari e vanno dalle semplici denominazioni (c.d. marchi denominativi), alle immagini (c.d. marchi figurati) fino alle forme di un prodotto (c.d. marchi tridimensionali), purché si tratti di forme arbitrarie, ossia prive di qualsiasi legame funzionale e/o ornamentale con il prodotto (art. 9 CPI). Per quanto anche i marchi non registrati (c.d. marchi di fatto) possano godere di una certa protezione sulla base dell’uso continuativo ed effettivo, la protezione maggiore è data dalla registrazione presso gli uffici competenti, che conferisce al titolare diritti esclusivi sul marchio per dieci anni, rinnovabili indefinitamente. Anche per i disegni e modelli la disciplina di riferimento si trova sempre nel CPI (artt. 31-44), che tutela l’aspetto esteriore di un prodotto industriale/artigianale (o di una sua parte), perché si tratti di [continua ..]
Anche se la questione non è stata ancora direttamente affrontata dalla giurisprudenza italiana, la possibilità di tutelare il concept store come marchio tridimensionale è da tempo stata riconosciuta a livello europeo, perché ovviamente il layout in questione abbia in concreto carattere distintivo, ovvero sia effettivamente in grado di distinguere i beni e/o i servizi del titolare da quelli di altre imprese. Nel 2013 la Corte di Giustizia UE ha infatti confermato la registrabilità come marchio tridimensionale della rappresentazione (già registrata proprio come marchio tridimensionale negli USA) del layout degli Apple Store, evidenziando che “la rappresentazione mediante disegno dell’allestimento di uno spazio di vendita può essere atta a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese… ciò può accadere nel caso in cui l’allestimento raffigurato si discosti in maniera significativa dalla norma o dagli usi del settore economico interessato” (CGUE, C-421/13). Sulla scorta di tale principio, nel 2016 l’EUIPO non ha invece accolto la domanda di registrazione come marchio tridimensionale presentata dal noto brand di cosmetica KIKO inerente alla prospettiva frontale del layout dei KIKO Store. Nonostante, infatti, secondo KIKO tale layout fosse dotato di carattere distintivo, in quanto nettamente diverso da quello di altri negozi del settore, tale requisito non è stato in alcun modo ritenuto sussistente dall’EUIPO in quanto “nessuna delle caratteristiche di forma, linea e colore evidenziate si discosta, da sola o in combinazione con le altre, significativamente dagli usi e dalle norme del settore della rivendita di prodotti cosmetici al dettaglio. La forma rettangolare allungata del negozio, che spiega la presenza di lunghe linee rette, permette di collocare un gran numero di espositori senza soluzione di continuità, così sfruttando al meglio le pareti laterali. I colori impiegati sono comuni (bianco, nero, grigio) o alludono (il colore lilla) al settore della cosmetica” (First Board of Appeal dell’EUIPO, R-1135/2015-1).
Nel nostro ordinamento il layout di un negozio può anche essere registrato come design. In questo caso, tuttavia ad essere tutelato non è il concept store nel suo complesso, bensì il/i singolo/i prodotto/i concreto/i in cui lo stesso si estrinseca (es. la linea di arredamento che caratterizza tutti i punti vendita), perché ovviamente siano soddisfatti i già ricordati requisiti di novità, carattere distintivo e liceità richiesti dal CPI per la registrazione. La giurisprudenza si è pronunciata più volte sui requisiti per la registrazione di un concept store come disegno/modello, concentrandosi in particolare sulla valutazione della sussistenza in concreto del carattere individuale. È il caso, ad esempio, del Tribunale di Firenze che nel 2016 è intervenuto in una vicenda in cui American Graffiti (franchisor di una rete di fast food in franchising, al cui interno tutto dall’arredamento al menù, dai cibi alle le bevande, dalla musica ad i video è volto a ricreare l’atmosfera dei diners americani anni ’50/’60) contestava ad uno dei suoi ex franchisee di aver tra le altre cose anche indebitamente riprodotto degli arredi dei propri ristoranti, registrati come modelli comunitari n. 002106260-001 e n. 002018358-001 (entrambi con il titolo “riorganizzazione di negozi”). A sua difesa il franchisee eccepiva la nullità di detti disegni/modelli ed il Tribunale accoglieva tale accezione, in quanto: “il tipico stile americano anni ’50 è patrimonio comune a cui si sono ispirate non solo diverse imprese di ristorazione – arredando i propri locali, caratterizzati da pavimentazione a scacchi bianchi e neri, con mobili e accessori rievocativi, nei minimi particolari, del medesimo – ma anche imprese di produzione dei mobili rievocative del design in voga in quel periodo, caratterizzato da divanetti e sgabelli in pelle dalla struttura bombata e dai colori vivaci, dalle particolari sedie e dai jukebox. L’American Style anni ’50 – noto anche per i richiami fatti dalla famosa serie televisiva “Happy Days” e dal celeberrimo musical Grease – si connota, infatti, per il rock ‘n’ roll, i blue jeans, le t-shirt e le pin up, nonché per le ambientazioni vintage dei bar e fast food, come rievocati in detti prodotti televisivi e cinematografici. Ciò che parte attrice [continua ..]
La possibilità di tutelare o meno il concept store anche come opera creativa è una questione che è stata affrontata recentemente dalla Corte di Cassazione nel 2020, in un caso che ha visto a lungo contrapposti due noti brand del settore cosmetico, ossia la KIKO e la Wycon. Secondo KIKO la società concorrente aveva indebitamente riprodotto il layout dei KIKO Store (caratterizzato da una specifica combinazione di elementi ben precisi riproposta in tutti i punti vendita senza cambiamenti, se non le minime modifiche rese necessarie dalla struttura e/o dall’architettura dei locali commerciali) e per questo l’aveva convenuta in giudizio, contestandole non solo la commissione di un illecito anticoncorrenziale (nello specifico concorrenza sleale parassitaria), ma anche di aver violato i diritti di esclusiva vantati da KIKO sul concept store quale opera dell’architettura, tutelabile secondo il diritto d’autore. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto la domanda di KIKO, ritenendo che il suo concept store presentasse effettivamente carattere creativo in quanto la scelta, la combinazione ed il coordinamento nel complesso degli elementi di arredo non erano imposti da un problema tecnico che l’autore si proponeva di risolvere e le modifiche introdotte da Wycon nei propri punti vendita erano solo minime differenze di dettaglio (es. la forma degli espositori) del tutto insufficienti ad escludere la contraffazione. Questa conclusione è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione che ha evidenziato come per valutare la tutelabilità con il diritto d’autore delle opere architettoniche è sufficiente verificare solo se si tratta effettivamente di opere nuove e creative, dal momento infatti che, a differenza di altri casi, (es. opere di design) per le opere architettoniche il nostro ordinamento non richiede la sussistenza di ulteriori specifici requisiti per accedere alla tutela autoriale. Di conseguenza, la Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità di tutelare un concept store anche come opera creativa nel caso in cui, come quello di KIKO, lo stesso (i) presenti la chiara cifra stilistica dell’autore, visibilmente apprezzabile e riconoscibile, (ii) sia nel suo complesso una combinazione originale di elementi che singolarmente possono anche essere banali e diffusi nel settore e (iii) non sia un risultato imposto da un problema tecnico e/o funzionale [continua ..]
Chiarite quali sono le possibili forme di tutela di un concept store nel mondo reale è necessario esaminare se e come le stesse possono essere estese anche nel metaverso. In assenza (per ora) di interventi giurisprudenziali e dottrinali specifici sul tema, possiamo comunque formulare alcune prime osservazioni. Marchi. Come abbiamo già ricordato, la tutela di un diritto IP nel mondo reale non si estende automaticamente ai mondi virtuali. Ciò è tanto più vero con riferimento ai marchi, la cui tutela è infatti comunque sempre limitata alle specifiche categorie di beni e/o servizi per cui gli stessi sono registrati (salvo i c.d. marchi notori, unici ai quali è riconosciuta tutela extra-merceologica). Per poter tutelare nel metaverso i propri marchi (e quindi anche il concept store eventualmente registrato come marchio) è pertanto necessario ampliare le registrazioni ed estenderle ai corrispondenti beni digitali, come già fatto da numerosi brand[10]. Dopo le prime linee guida fornite dall’EUIPO, con l’entrata in vigore lo scorso 1° gennaio della 12a edizione della Classificazione di Nizza, alcune classi sono state modificate/integrate proprio per consentire una miglior tutela dei marchi nel metaverso [11]. Anche se queste modifiche non riguardano in modo specifico la classe 35 (servizi gestione aziendale e servizi pubblicitari/marketing/promozionali), alcuni uffici brevettuali (tra cui l’inglese UKPTO) hanno confermato che è proprio in questa classe che devono essere registrati i marchi inerenti servizi di negozio al dettaglio in materia di prodotti virtuali da utilizzare online in mondi virtuali (come ad es. calzature, abbigliamento, attrezzatture sportive, arte, giocattoli ed accessori) ed è pertanto questa la classe di riferimento nel caso in cui si voglia tutelare il concept store come marchio anche nel metaverso. Disegni e modelli. Si tratta (almeno per il momento) della privativa rispetto a cui si pongono maggiori criticità. Attualmente, infatti, gli uffici competenti indicano come mezzi di rappresentazione da utilizzare per il deposito della domanda di registrazione di disegni/modelli solo viste statiche (disegni, fotografie, rappresentazioni grafiche al computer), mentre i disegni animati 3D e la descrizione del design, essenziali per le opere del metaverso, sono normalmente accettati solo come materiale di riferimento, senza essere [continua ..]
Appurate quali sono le possibili forme di tutela del concept store, viene spontaneo chiedersi quale sia quella migliore ed in grado di offrire maggiori garanzie, specie in un contesto nuovo ed in continua evoluzione come il metaverso. Come abbiamo visto, la risposta non è e non può essere univoca: la tutela accordata da marchi, disegni/modelli e diritto d’autore presenta indubbiamente caratteristiche diverse (specie per durata, oggetto e costi di mantenimento), ognuna con i propri vantaggi e svantaggi, anche in relazione all’estensione negli ambienti virtuali. La scelta non potrà pertanto che essere presa tenendo in considerazione le specifiche circostanze del caso concreto, senza dimenticare che si tratta comunque di tutele cumulative, che possono pertanto sommarsi l’una all’altra, purché ovviamente ne sussistano i requisiti.