Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il metaverso nel diritto industriale statunitense (di Lauren Rose Keller, Avvocato, Tutor di Business Law – Università di Torino)


L'intervento illustra lo sviluppo pratico del Metaverso nel contesto del diritto industriale a livello statunitense. In tale contesto di riferimento, l'autore analizza le implicazioni per la proprietà industriale e fornisce una rassegna della giurisprudenza americana in tema di attività nel Metaverso.

The metaverse in us industrial law

The paper illustrates the practical development of the Metaverse in the context of industrial law at the US level. Within this context, the author analyzes the implications for industrial property and provides a review of American jurisprudence on the subject of activity in the Metaverse.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Metaversi “famosi” - 3. Implicazioni per la proprietà industriale - 4. Giurisprudenza americana relativa alle attività nel metaverso - A. Diritto di proprietà: Marc Bragg v. Linden Research, inc. (2007) - B. Diritto d’autore: Amaretto Ranch Breedables, llc v. Ozimals, inc. Et al. (2013) - C. Diritto di marchio, diritto d’autore: eros llc et al. V. Linden research inc. Et al. (2010) - D. Responsabilità dei gestori del metaverso: coffee v. Google, llc (2022) - E. Responsabilità dei gestori del metaverso: Doe v. Roblox corp. Corp. (2022) - F. Diritto alla pubblicità: Hart v. Electronic arts inc., 717 f. 3d 141 (2013) - G. Diritto di marchio: Hermes international et al v. Rothschild (2022) - 5. Conclusioni


1. Introduzione

Il concetto di metaverso si sviluppa negli Stati Uniti a partire dagli anni ’30, con la prima idea di interazione tra individui in un modo alternativo e, a seguire pochi anni dopo, con la prima tecnologia haptic, cioè la tecnologia che permette al proprio utilizzatore di avere un’esperienza sensoriale – tramite vibrazione o forza – in uno spazio digitale o virtuale. Era solo il 2003 quando il primo metaverso è diventato realtà, il c.d “Second Life”, un modo virtuale nel quale gli utilizzatori potevano interagire tra di loro. Oggi, in realtà, non si tratta solo di «un metaverso», ma di tanti metaversi diversi: attualmente ci sono 200+ soggetti che stanno creando, o conservando, un metaverso. Infatti, ci sono già centinaia di milioni di utenti a livello mondiale che interagiscono nel metaverso, che fanno gaming, vanno a fare shopping, a «vedere» degli eventi, etc. Il metaverso non è solo un posto per interagire e giocare, ma ospita un mercato molto importante: il metaverso esiste nella c.d. «Extended Reality», con un mercato che ha generato un profitto di USD 14.55 miliardi nel 2021, con un aumento del 41.1% rispetto al 2022. Nel 2021, le vendite di NFT (non-fungible token) sono aumentate a oltre USD $40 miliardi. Questo aumento di quota di mercato è conseguente ad un aumento generale nell’utilizzo di internet, che cresce contemporaneamente all’utilizzo del metaverso: anche grazie alle attività che si possono attribuire al metaverso, nel 2021 l’uso di Internet è aumentato del 25% rispetto al 2020. Per dare un’ulte­riore idea della grandezza di utilizzo di questo Extended Reality, negli Stati Uniti ci sono più ragazzi che giocano a Fortnight (videogioco che ospita concerti ed eventi all’interno della piattaforma stessa) che ragazzi che giocano al football americano e basketball insieme.


2. Metaversi “famosi”

Per poter entrare nel merito di qualche caso giurisprudenziale relativo al metaverso, è importante introdurre alcune tra le “realtà” dei tanti metaversi esistenti ad oggi. Come già menzionato, il primo metaverso è stato Second Life, un modo virtuale creato dalla società Linden Labs. Avviato nel 2003, nel 2013 è arrivato al suo picco con oltre 1 milioni di utenti giornalieri a livello mondiale (ora ne ha “solo” circa 200,000 ogni giorno). Second Life è una piattaforma multimediale online che consente alle persone di vivere in un mondo parallelo. Gli utenti di Second Life, chiamati anche ‘residenti’, creano rappresentazioni virtuali di sé stessi, chiamate avatar, e sono in grado di interagire con luoghi, oggetti e altri avatar. Possono esplorare il mondo (noto come the grid), incontrare altri residenti, socializzare, partecipare ad attività individuali e di gruppo, costruire, creare, acquistare e scambiare proprietà e servizi virtuali tra loro. Un anno dopo, nel 2004, è arrivato Roblox, una piattaforma che esiste nel metaverso dedicato al cosiddetto gaming. Roblox consente agli utilizzatori di creare giochi o giocare con giochi realizzati da altri sviluppatori. Gli utenti possono giocare a vari giochi con tag diversi, come giochi di ruolo, avventura, combattimenti, ecc. Si può guadagnare e spendere soldi virtuali, che gli utenti guadagnano creando questi mondi diversi. Ci sono zone dedicate allo shopping e brand im­portanti con vendono direttamente agli utilizzatori di Roblox. In questo mondo, nel 2021, una borsa Gucci virtuale è stata venduta (dal negozio virtuale di Gucci) per 350,000 ROBUX, l’equivalente di $4115… mentre la stessa borsa nel mondo «vero» costa $3400. Nel 2012 è stato introdotto un altro metaverso che occupa una posizione importante nella Extended Reality di oggi: si chiama “The Sandbox”. Il Sandbox è un mondo virtuale in cui i giocatori possono costruire, possedere e monetizzare le proprie esperienze di gioco nella blockchain di Ethereum. Nel 2022 sono stati stimati 360,000 utilizzatori giornalieri di Sandbox. In questo metaverso, si può comprare un virtual plot per utilizzare il gioco, o per costruire altri giochi virtuali. I contenuti creati dagli utenti sono tutelabili dal diritto d’autore. Il Sandbox è noto in particolare per [continua ..]


3. Implicazioni per la proprietà industriale

Ove esiste un mercato e degli utilizzatori di quel mercato, possono sempre sorgere questioni di natura legale ad esso collegate. Basti considerare il rapporto tra gli users e la piattaforma che gestisce il metaverso, tra i diversi users che interagiscono in un metaverso, o tra i titolari di diritti IP e users dentro il metaverso. Questi rapporti riguardano anche aspetti relativi alla proprietà industriale e intellettuale, ed in particolare marchi, design, e copyright (diritto d’autore). Prima di prendere in considerazione alcuni casi giurisprudenziali, è necessaria una breve nota sulle fonti di tutela dei diritti di IP negli Stati Uniti. Il diritto di marchio è di competenza dell’US Patent and Trademark Office (“USPTO”) e ha una durata potenzialmente illimitata. La normativa più rilevante sulla tutela del marchio è costituita dal Common Law (ovvero la giurisprudenza) e il Lanham Act (United States Code, Title 15, Chapter 22), mentre si può anche fare riferimento al Trademark Counterfeiting Act e l’Anticy­bersquatting Consumer Protection Act. Il diritto di design/modello – che tutela la forma ornamentale di un oggetto, come una borsa o una lampada – è anche soggetto alla competenza del­l’USPTO, ma ha una potenziale durata di solo 15 anni ed è gestito dalla normativa relativa ai brevetti (35 United States Code § 171-173, 35 United States Code § 102-103-112-132, 37 Code of Federal Regulations § 1.84-1.152-1.121). Infine, il diritto d’autore ricade sotto la competenza del United States Copyright Office e ha una durata che comprende la vita dell’autore e 70 anni dopo, oppure 120 anni dalla creazione o 95 anni dalla pubblicazione dell’opera (work for hire). Il diritto d’autore ha vari riferimenti all’interno della normativa, inclusi la United States Constitution, art. 1, sez. 8, clausola 9, il Copyright Act of 1976, United States Code, Title 17, la Convenzione di Berna e il Digital Millennium Copyright Act (1998). Il Digital Millenium Copyright Act (DMCA) è importante per comprendere i diritti che si applicano nel mondo virtuale del metaverso. Si tratta di una legge federale progettata per proteggere i detentori del copyright dal furto online, ovvero dalla riproduzione o distribuzione illegale delle loro opere. La tutela prevista dal DMCA comprende musica, film, testi e tutto ciò che [continua ..]


4. Giurisprudenza americana relativa alle attività nel metaverso

Possiamo ora entrare nel merito della casistica giurisprudenziale relativa al Metaverso.


A. Diritto di proprietà: Marc Bragg v. Linden Research, inc. (2007)

Nel Novembre 2003, Linden Research (dba Linden Labs) annuncia che riconoscerà agli utenti i diritti di proprietà intellettuale relativi ai contenuti digitali creati o comunque posseduti in Second Life, vengono altresì riconosciuti i diritti sulla “terra virtuale”. Pochi anni dopo, il ricorrente (il signor Bragg) rivendica un interesse su una proprietà virtuale per 300 dollari. Tuttavia, Linden Research notificava al signor Bragg che la proprietà era stata acquistata impropriamente attraverso un “exploit” del sistema. La società ha quindi negato la proprietà al signor Bragg e ha bloccato il suo account. Il Sig. Bragg instaurava una causa in base alle leggi statali sull’illecito civile e sulla concorrenza e Linden Research presentava un’istanza per azionare la procedura di arbitrato prevista dai termini di servizio (End User License Agreement) di Second Life. Il Tribunale competente respingeva l’istanza relativa all’utilizzo della procedura di arbitrato perché la clausola era sostanzialmente e proceduralmente irragionevole, in seguito le parti hanno trovato una soluzione amichevole. Si vede dal caso di specie che il Tribunale ha applicato gli stessi strumenti legali del mondo “reale” al rapporto tra l’utente (il Sig. Bragg) e la società Linden Research, esaminando con attenzione il contratto (End User License Agreement) e confermando che “In ultima analisi, il caso in questione riguarda i diritti e gli obblighi che derivano dal rapporto tra il proprietario e il creatore di un mondo virtuale e i suoi utenti residenti. Mentre la proprietà e il mondo in cui si trova sono ‘virtuali’, la controversia è reale”.


B. Diritto d’autore: Amaretto Ranch Breedables, llc v. Ozimals, inc. Et al. (2013)

Questa vicenda è iniziata con un’asserita violazione del diritto d’autore nel metaverso. In particolare, due utenti di Second Life hanno creato degli “animali virtuali da allevamento”, che potevano quindi riprodursi e trasmettere i loro tratti caratteristici. Le due società concorrenti Amaretto Ranch e Ozimal hanno creato, rispettivamente, un cavallo e un coniglietto. Ozimal tentava dunque di azionare la procedura di rimozione dei contenuti illeciti prevista dal Digital Millennium Copyright Act contro Amaretto Ranch, sostenendo che il cavallo da allevamento violava i propri diritti derivanti dalla creazione del coniglietto virtuale. Tuttavia, la procedura non ha avuto l’esito desiderato da Ozimal. Insoddisfatta dal risultato della procedura di rimozione, Ozimal pubblicava un post sul proprio blog, discutendo della vertenza in modo critico nei confronti di Amaretto Ranch. Nel frattempo, veniva instaurata una controversia giudiziaria relativa alla pretesa da parte di Amaretto Ranch contro Ozimal per diffamazione commerciale e violazione della legge sulla concorrenza sleale della California. Tutte le richieste di risarcimento scaturivano dal post sul blog di Ozimal. Il Tribunale ha infine respinto tutte le pretese delle parti, inclusa quella di Amaretto Ranch per diffamazione. Sulla questione relativa alla contraffazione degli animali virtuali, il Tribunale ha chiarito che la legge sul diritto d’autore richiede una somiglianza sostanziale tra le creazioni, anche nel metaverso. Tale decisione è altresì importante in quanto ha stabilito che le manifestazioni di pensiero legate al metaverso ricevono le stesse tutele delle altre forme di manifestazioni di pensiero. In altre parole, le leggi che si applicano all’ille­cito di diffamazione «in real life», si applicano ugualmente alle attività nel metaverso.


C. Diritto di marchio, diritto d’autore: eros llc et al. V. Linden research inc. Et al. (2010)

In questo caso, i ricorrenti gestivano delle attività commerciale in Second Life. I loro prodotti virtuali erano tutelati da marchi registrati nel mondo reale, nonché dal diritto d’autore. I ricorrenti affermavano che “Accordingly, Linden Lab has made trademark and copyright infringement free and easy, turning the Second Life community into a vast virtual flea market in which users peddle knockoffs and pirated copies of IP-protected products and services. Despite Linden Lab’s actual knowledge of such widespread activity, it has taken no substantive action to prevent, limit, or prohibit such widespread infringement”. In altre parole, Linden Research era ritenuta responsible per: –   La violazione diretta e indiretta dei diritti di proprietà intellettuale dei ricorrenti; –   La violazione diretta e indiretta dei marchi dei ricorrenti, per il fatto di aver ospitato uno spazio dove i terzi potevano utilizzare il marchio di Eros per vendere prodotti virtuali all’interno di Second Life e fornendo gli strumenti ad altri utenti in violazione; –   La violazione diretta e indiretta dei diritti d’autore dei ricorrenti per il fatto di aver riprodotto le opere in Second Life e contribuito materialmente all’illecito, supervisionando altresì la condotta illecita dei terzi all’interno di Second Life. In risposta, Linden Research sosteneva di non essere responsabile né direttamente né indirettamente per la violazione del diritto d’autore o del marchio dei ricorrenti e che la propria condotta era tutelata dal criterio c.d. “safe harbor” previsto per i fornitori di servizi online dal US Copyright Law (17 U.S.C. § 512). Il Tribunale ha infine rigettato le richieste di Eros, LLC, con la conclusione che un fornitore del servizio non è responsabile per gli illeciti posti in essere dagli altri utilizzatori della piattaforma.


D. Responsabilità dei gestori del metaverso: coffee v. Google, llc (2022)

Il Play Store di Google contiene più di 2,9 milioni di applicazioni, la maggior parte delle quali sono scaricabili gratuitamente. Uno dei ricorrenti nel caso di specie scaricava un’applicazione di gioco chiamata Final Fantasy Brave Exvius (“Final Fantasy”) dal Play Store sul suo dispositivo mobile. Nel gioco, gli utenti possono acquistare una Loot Box utilizzando la valuta virtuale del gioco. I ricorrenti sostenevano che le Loot Box favorivano un comportamento compulsivo e dipendente dal gioco d’azzardo e che costituivano slot machine illegali secondo la legge della California. Di conseguenza, hanno intentato questa causa contro Google, sostenendo che Google era civilmente responsabile nei confronti di tutte le persone che hanno acquistato le Loot Box nelle applicazioni di gioco scaricate dal Play Store. I ricorrenti hanno presentato quattro richieste di risarcimento ai sensi della legge californiana: due violazione di concorrenza sleale, una violazione del California Consumers Legal Remedies Act per un trattamento ingiusto dei consumatori; e arricchimento senza causa. Da parte sua, Google ha affermato di essere esente da responsabilità e che le Loot Boxes non costituivano slot machine illegali ai sensi della legge federale, nonché californiana. Il Tribunale ha dato ragione a Google e ha respinto il ricorso, sostenendo che le attività di Google rientrano nella Sezione 230 del Communications Decency Act (1996), che protegge i fornitori di servizi Internet dalla responsabilità derivante dalle attività dei propri utenti. È evidente anche nel caso di specie che un convenuto può utilizzare sia la tecnologia che le leggi «tradizionali» per respingere contestazioni su fatti e condotte relative al metaverso.


E. Responsabilità dei gestori del metaverso: Doe v. Roblox corp. Corp. (2022)

In questo caso, la convenuta Roblox Corporation (“Roblox”) possedeva e gestiva un “metaverso” online in cui gli utenti controllavano i propri avatar. La ricorrente era minorenne e sosteneva che Roblox incentivava i propri utenti, per lo più minorenni, ad acquistare oggetti (per i propri avatar), ricevendo una parte dei profitti. A loro insaputa, Roblox aveva cancellato alcuni oggetti da quelli acquistati disponibili senza preavviso per indurre gli utenti ad acquistarne altri. La ricorrente sosteneva che questo schema di cancellazione era una pratica commerciale illegale e fraudolenta e avanzava richieste di risarcimento per conto proprio e della propria classe di consumatori. Da parte sua, Roblox chiedeva il rigetto della causa, sostenendo che (1) è esente da responsabilità ai sensi della Sezione 230 del Communications Decency Act, e (2) i termini di servizio tra l’user e Roblox contengono una clausola arbitrale, per cui non si può agire in tribunale. Il Tribunale competente riteneva, innanzitutto, che la Sezione 230 CDA non era applicabile perché il ricorrente non aveva indicato Roblox come un editore o diffusore del contenuto generato dall’utente. La responsabilità di Ro­blox era invece legata alla mancata divulgazione da parte di Roblox della possibilità di cancellare gli oggetti acquistati dagli utenti, senza alcuna preventiva segnalazione. Roblox è infatti paragonabile a un venditore di merci virtuali, non ad un editore di informazioni. Inoltre, la clausola di arbitrato e la rinuncia all’azione collettiva non erano applicabili alla ricorrente perché era minorenne e le condizioni non le erano state adeguatamente comunicate. Roblox era a conoscenza del fatto che la ricorrente aveva 10 anni quando questa aveva accettato tali condizioni poiché gli utenti dovevano inserire la loro data di nascita al momento della creazione del proprio account, senza il permesso o la supervisione di un adulto. In conclusione, il Tribunale ha deciso che la causa poteva procedere nonostante l’esistenza della clausola arbitrale nell’End User License Agreement. Successivamente la questione è stata transata.


F. Diritto alla pubblicità: Hart v. Electronic arts inc., 717 f. 3d 141 (2013)

Questo caso riguarda il Sig. Ryan Hart, un quarterback rinomato della squadra di football americano nella NCAA Division I della Rutgers University. Nel 2009, il ricorrente Ryan Hart ha intentato una causa contro la ricorrente Electronic Arts, Inc. («EA») per aver violato il suo c.d. diritto alla pubblicità. Le sue rivendicazioni derivavano dall’asserito utilizzo delle sue sembianze e delle sue informazioni biografiche per la creazione di un avatar nella serie di videogiochi NCAA Football. Tuttavia, i videogiochi sono protetti come forma di manifestazione di pensiero ai sensi del Primo Emendamento della Costituzione USA («free speech»). Nell’avanzare questa difesa, EA ha essenzialmente ammesso di aver violato il diritto di pubblicità del ricorrente; in sostanza, di essersi appropriato indebitamente della sua identità a scopo di sfruttamento commerciale. Per risolvere il contrasto tra il Primo Emendamento e il diritto di pubblicità, il Tribunale ha dovuto bilanciare gli interessi alla base del diritto di pubblicità e la libertà di parola. E infatti, il Tribunale ha statuito che l’uso da parte di EA di avatar che assomigliano a giocatori reali ha diritto alla protezione del Primo Emendamento, anche perché la creazione digitale di EA, in cui gli utenti potevano dirigere e manipolare l’avatar in partite di calcio di fantasia, risultava “trasformativa”.


G. Diritto di marchio: Hermes international et al v. Rothschild (2022)

Questo caso ben noto riguarda l’azienda nel settore del lusso, Hermès, nota per l’esclusiva borsa Birkin. Il convenuto, il sig. Mason Rothschild, ha creato un’immagine digitale intitolata “Baby Birkin”. Raffigurava un feto di 40 settimane in gestazione all’in­terno di una borsa Birkin trasparente. Rothschild ha venduto un NFT («non-fungible token») relativo all’immagine digitale “Baby Birkin” per $23,500 dollari; in seguito, l’ha rivenduta per $ 47,000. Il sigg. Rothschild ha successivamente creato una collezione di immagini digitali intitolata “MetaBirkin”, ognuna delle quali raffigurava un’im­magine sfocata di una borsa Birkin ricoperta di pelliccia sintetica. Rothschild ha utilizzato gli NFT per vendere le immagini digitali “MetaBirkins”. Le NFT sono state vendute a prezzi paragonabili a quelli delle borse Birkin reali. Purtroppo, l’esistenza degli MetaBirkins ha creato non poco difficoltà: i consumatori che hanno postato sulla pagina Instagram di “MetaBirkins” hanno espresso una reale confusione, credendo che ci sia un’affiliazione di Her­mès con le “MetaBirkins” di Rothschild. Una confusione simile c’è stata anche nei media. Le riviste Elle, L’Officiel e il New York Post hanno tutti erroneamente riportato che le “MetaBirkins” sono stati presentati da Hermès in collaborazione con Rothschild. Hermès ha dunque instaurato una causa contro Rothschild per (1) violazione di marchio (Lanham Act e legge di New York), (2) Diluizione del marchio e (3) Cybersquatting. Il Tribunale si è pronunciato a favore di Hermès, confermando la confusione dei consumatori nel metaverso.


5. Conclusioni