L'intervento fornisce un’introduzione al Metaverso. In tale prospettiva di analisi, l'autore esplora il tema dal punto di vista giuridico, fornendo la definizione di token e non fungible token, nonché facendo riferimento all'ordinamento francese e all'esperienza statunitense. Da ultimo, l'autore analizza il caso italiano, soffermandosi sulle conseguenze giuridiche e le altre questioni inerenti al marchio.
The paper provides an introduction to the Metaverse. In this analytical perspective, the author explores the topic from a legal point of view, providing the definition of token and non-fungible token, as well as making reference to the French legal system and the US experience. Finally, the author analyzes the Italian case, focusing on the legal consequences and other issues related to the trademark.
1. La moderna società dell’informazione - 2. Il metaverso - 3. Il metaverso dal punto di vista giuridico - 3.1. La definizione di token e non fungible token - 3.2. L’ordinamento francese e l’esperienza statunitense - 3.3. Il caso italiano: Tribunale Roma, sez. XVII impr., ord. 20/7/2022 - 3.4. Le conseguenti disquisizioni giuridiche - 3.4.2. Altre questioni giuridiche inerenti il marchio - 4. Ancora sul metaverso - Bibliografia
La c.d. moderna Società dell’informazione è costituita da due pilastri: le nuove tecnologie informatiche e le reti di telecomunicazione. Il software è di fatto il collante che permette ai dispositivi che usiamo quotidianamente di collegarsi alle reti di telecomunicazione e consente così di scambiare informazioni e realizzare servizi estremamente sofisticati. Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad un cambiamento della tecnologia e dell’utilizzo del software che ha comportato il passaggio graduale da una tecnologia analogica ad una tecnologia digitale. Si è assistito appunto allo sviluppo sempre crescente della tecnologia informatica (che comprende gli apparecchi digitali e i programmi software) e telematica (che si esprime nelle reti telematiche). Sulla scena tecnologica è comparsa altresì l’intelligenza artificiale, che è una tecnologia in grado di fornire funzionalità ancora più avanzate tramite l’utilizzo di modelli matematici estremamente sofisticati, che producono risultati più complessi e affidabili rispetto al passato. Fondamentali nell’ambito di questa tecnologia sono la disponibilità di un numero elevatissimo di dati e parametri e l’utilizzo di algoritmi di apprendimento automatico dei dati (machine learning). La trasformazione digitale del business, inoltre, sta creando e facendo circolare dentro alle aziende e fuori alle aziende i c.d. Big Data (grandi dati o megadati). In statistica e informatica, la locuzione Big Data indica genericamente una raccolta di dati informativi così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore o conoscenza. Le fonti dei Big Data sono per esempio: – I dati in streaming: sono i dati (machine generated) che provengono dall’Internet delle Cose (Internet of Things, IoT) e da altri dispositivi connessi; – I dati che derivano dalle interazioni su piattaforme di social media; – I dati pubblici disponibili, che provengono da numerose fonti di open data come il data.gov del governo americano, il CIA World Factbook o il portale Open Data Portal dell’Unione Europea; – I dati business generated: si intendono tutti quei dati, human o machine generated, generati internamente ad [continua ..]
In data 28 ottobre 2021 Mark Zuckerberg ha dichiarato di voler cambiare il nome della propria società, Facebook, in Meta Platforms Inc. (abbreviato in Meta): ciò allo scopo di espandere FB oltre la piattaforma di social media, entrando nel regno digitale online noto come Metaverso. Il Metaverso è un ambiente digitale tridimensionale, nel quale si può interagire con altri utenti attraverso l’utilizzo di un avatar personale, collegandosi a questo spazio di realtà virtuale tramite smart glasses, caschi, visori, tute e guanti dotati di sensori tattili. Il termine fu inventato nel 1992 dallo scrittore Neal Stephenson, per indicare il mondo digitale in cui agiva il protagonista del suo romanzo, Snow Crash, per mezzo di un avatar. Second Life, il sito internet sviluppato nel 2003 e pensato per ospitare una seconda vita digitale, è stata la prima vera e propria piattaforma di realtà virtuale aperta al pubblico, poi superata con l’avvento dei social network, che consentivano interazioni sociali molto più immediate ed agevoli per tutti. Oggi la tecnologia permetterebbe di trasferire nel Metaverso i cinque sensi e di sfruttarli attraverso il proprio “ego virtuale”. Si può sviluppare una vita del tutto virtuale in uno spazio libero e aperto (e non come in un videogioco). Questo può consentire a consumatori e imprese di operare nei mercati (anche finanziari) presenti nel Metaverso, acquistando e vendendo beni e servizi in qualsiasi settore economico attualmente esistente o in settori nuovi. Non si sa come esattamente descrivere il Metaverso. Il riferimento ad un videogioco è pertinente solo nella misura in cui si rappresenta il sistema che funziona grazie a connessioni aggiornate in tempo reale e molto precise. Quello che si intende per Metaverso è ben diverso da un gioco e si avvicina di più a quello che è la rete internet. Il Metaverso, infatti, deve essere “persistente”, senza soluzioni di continuità nel tempo e senza possibilità di annullamento o ripristino; deve essere “sincrono”, nel senso che esisterà costantemente per tutti e in tempo reale; sarà “a libero accesso”, senza limite al numero di utenti che possono essere contemporaneamente presenti. Il Metaverso sottintende una piattaforma decentralizzata e costruita principalmente su standard e protocolli riconosciuti [continua ..]
Da un punto di vista giuridico, rilevano le norme sulla proprietà intellettuale. Questa attesa rivoluzione avrà un impatto notevole nei settori della proprietà intellettuale (marchi, brevetti, diritto d’autore, diritti connessi), dell’IT (diritti sulle infrastrutture, indirizzi IP, nomi a dominio, piattaforme di condivisione) e della Privacy. È probabile che le tradizionali categorie del diritto industriale e della proprietà intellettuale andranno ampliate e ridisegnate in modo da riflettere le esigenze giuridiche tipiche di tale singolare ambiente digitale. Con l’impiego della distributed ledger technology nell’attività d’impresa, oggi, si assiste alla circolazione di beni digitali, come immagini (anche raffiguranti un’opera d’arte, una figurina collezionabile, ecc.), video o audio, incorporati in una stringa alfanumerica e registrati in una blockchain. Essi assumono la comune denominazione di non fungible token («NFT»), poiché sono emessi in tiratura limitata e sono scambiati su appositi spazi online (portali di scambio). Il loro commercio richiama alla mente il collezionismo di opere d’arte, francobolli e monete rare. Gli NFT sollevano, tuttavia, il problema dell’impressione, nei medesimi, di segni distintivi, riconducibili a imprese titolari del diritto di privativa da parte di altri senza licenza d’uso. Infatti, il sistema degli NFT, grazie alla caratteristica dell’unicità e infungibilità, sembrerebbe impedire la contraffazione, ma in realtà il problema è evitare che gli stessi creatori di NFT siano i primi a violare i diritti degli altri (sul nome, sull’immagine, sul segno distintivo, sulla creazione intellettuale), con la necessità di dover individuare il soggetto, autore della violazione, e l’autorità competente a giudicare l’illecito (Corte di giustizia UE, sentenza 17 giugno 2021, causa C-800/19; Cass., 27 febbraio 2020, n. 5309).
In primo luogo, si opera una distinzione tra token e non fungible token, unicamente accomunati dalla matrice tecnologica, poiché generati e messi in circolazione su blockchain come unità native digitali. I token si connotano per diverse funzioni, in relazione alle quali essi assumono le denominazioni di: a) payment token, se svolgono solamente una funzione di pagamento, come i bitcoin, gli ether e le altre criptovalute; b) investment token, se riconoscono al possessore un diritto di tipo patrimoniale o partecipativo nei confronti dell’emittente; c) utility token, se attribuiscono un diritto a ricevere o a usufruire di beni o servizi che l’emittente fornisce o si propone di fornire. I non fungible token rappresentano un diritto su un bene (anche digitale), non invece una pretesa nei confronti dell’emittente. L’idea alla base della tokenizzazione consiste nel certificare la corrispondenza tra il proprietario del bene e il token, con il quale si identifica il bene stesso, che circola virtualmente mediante annotazione in blockchain. Si è detto (proposta di Regolamento COM/2020/593, nota anche come “MiCA”) che l’NFT sia la «rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga». Il token dunque costituisce uno strumento di rappresentazione digitale e crittografica di specifici rapporti giuridici, ed in particolare, è strumento che consente l’incorporazione di diritti e ne permette la circolazione e conservazione garantita in modalità crittografica. A seconda che l’”oggetto” rappresentato sia fungibile o infungibile, il token attrae tale caratteristica e assume la forma di fungible token (come il bitcoin, rappresentativo di moneta, che in quanto tale è fungibile) o, viceversa di non-fungible token, che rappresenta piuttosto un oggetto di natura infungibile, digitale o non, come un’opera d’arte, un bene immobiliare, una canzone e figurine collezionabili, come nel caso di specie. A livello più tecnico un token è un’informazione testuale rappresentativa di un oggetto di varia natura e con il processo di tokenizzazione si attribuisce crittograficamente un codice univoco a tale oggetto, informazione questa che può essere ricondotta singolarmente ad uno specifico [continua ..]
Nell’ordinamento francese, con un recente documento, il Conseil Superieur de la Propriete Litteraire et Artistique francese ha proposto un approccio regolamentare per i jetons non fongibles, equiparandoli ai titres de droits. Prima del documento del Conseil, una definizione di jeton è stata invece elaborata dall’art. L552-2 Code monétaire et financier, secondo cui per token deve intendersi un’attività immateriale che rappresenta, in forma digitale, uno o più diritti che possono essere emessi, registrati, conservati o trasferiti mediante un dispositivo di registrazione elettronica condiviso (blockchain), che consente di identificare, direttamente o indirettamente, il proprietario del bene. Come pure precisato dal Rapport de missione del Conseil, sebbene la definizione si inserisca nell’ambito delle operazioni di raccolta del risparmio mediante l’emissione di jetons e non si riferisca espressamente ai NFT, essa potrebbe essere mutuata per la categoria di valori digitali non fungibili. La disciplina applicabile a questa categoria di jetons si ricava dal regime giuridico destinato al bene sottostante impresso nel valore digitale, in particolare, considerato il tenore del Rapport, alle opere d’arte. E, infatti, se l’art. L111-1 Code de la propriété intellectuelle dispone che l’autore è titolare dei diritti di proprietà intellettuale sulla sua opera, nulla esclude di riconoscere all’artista di essere titolare del diritto di privativa sul jetons non fongible contenente l’opera digitalizzata. L’impostazione adottata dal Conseil può essere estesa anche ai NFTche riproducono o incorporano un marchio. Il dépôt de marque di un jeton non fongible è ricevibile dall’Institut National de la Propriété Industrielle, a condizione che l’istante chiarisca il contenuto del valore digitale. Il marchio riprodotto in un jeton rientra nella classe “9” della Classificazione di Nizza, al di là dell’uso destinato nel mondo reale o esclusivamente nel mondo digitale, come nel Metaverso. La letteratura statunitense suggerisce un analogo approccio regolamentare, caso per caso, in base al tipo di non fungible token. Per il marchio, in particolare, la definizione di marchio riportata nel Lanham Act (al § 1127 U.S.C.) risulta sufficientemente ampia da accogliere anche [continua ..]
La società Juventus Football Club s.p.a. ha adito il Tribunale di Roma al fine di ottenere l’inibitoria sulla produzione, commercializzazione, pubblicizzazione e offerta in vendita, diretta/indiretta, in qualsivoglia modo e forma di non-fungible token (d’ora in poi “NFT”) rappresentativi di una fotografia ritraente un noto calciatore con indosso l’iconica maglietta a strisce bianco-nere, oggetto di marchio figurativo e denominativo registrato dalla squadra/società calcistica ricorrente, nei confronti della società produttrice di tali cards digitali collezionabili. A fondamento del petitum cautelare si pongono, oltre al periculum in mora, rappresentato dal rischio di una reiterata produzione e dal pregiudizio arrecato alla società ricorrente a causa della circolazione di tali figurine digitali, e integrante la violazione del marchio registrato e nella conseguente confusione potenzialmente indotta nel pubblico, anche il fumus boni iuris consistente nella titolarità e notorietà dei marchi sottoposti comunque a registrazione, non contestata, in capo alla Juventus. La società produttrice degli NFT resisteva a sua volta, chiedendo il rigetto della domanda ed eccependo in particolare l’assenza del periculum in mora – essendo la vendita terminata – e la sussistenza del proprio diritto all’utilizzo e alla commercializzazione degli NFT contestati – avendo stipulato con il calciatore protagonista un precedente contratto di sfruttamento dell’immagine – e, in via subordinata, eccependo che i marchi oggetto di tutela non risultavano registrati nella categoria inerente i “prodotti virtuali scaricabili” (categoria 9 secondo gli standard Convenzione di Nizza: categoria di “prodotti virtuali downloadabili”). Il Tribunale romano ha confermato le pretese attoree, fondando la decisione sui seguenti motivi: Il contratto stipulato con la società di gestione dei diritti all’immagine del calciatore non esclude la violazione dei marchi appartenenti alla società calcistica, in quanto quest’ultima non è stata parte dell’operazione negoziale e, dunque, trattasi di sfruttamento di segni distintivi non autorizzato da chi ne era legittimato a farlo. Inoltre, il giudice non ha ritenuto che lo sfruttamento potesse essere giustificato dall’interesse pubblico alla divulgazione [continua ..]
3.4.1. La registrazione e la tutela del marchio nel Metaverso Per i marchi dotati di rinomanza, nel nostro ordinamento, può agevolmente ricostruirsi una disciplina nell’ipotesi di tokenizzazione, analogamente a quanto prospettato negli ordinamenti francese e statunitense. Come anche deciso dal Tribunale di Roma, l’uso dell’analogia consente di estendere ai NFT l’art. 20, comma 1, lett. c), c.p.i. che consente al titolare del marchio celebre di impedire a chiunque l’uso di un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini o del tutto diversi da quelli contraddistinti, invero oltre la categoria merceologica d’appartenenza. Diversi argomenti sono necessari per tutelare la riproduzione in un NFT, senza licenza d’uso, di marchi ordinari. Perché se i marchi celebri godono di una tutela estesa anche a merci non affine, diversamente deve dirsi per i marchi ordinari. Nel dettaglio, per il marchio ordinario il problema potrebbe porsi se registrato per una certa classe (ad es. di abbigliamento) e impresso, successivamente, in un valore digitale per rappresentare la controparte reale, ma in un diverso ambiente, come il Metaverso. Dunque, resta da comprendere se una tutela inibitoria sia riconosciuta anche per il marchio ordinario quando il suo utilizzo avvenga in “ambienti diversi” da quelli prescelti nella registrazione. La tutela per il marchio registrato si ricava dall’art. 20 c.p.i., che dispone i casi in cui «il titolare ha diritto di vietare ai terzi» l’uso del marchio da lui registrato. La lett. b) dell’art. 20 c.p.i. opera se il marchio registrato riprodotto nel token sia identico o simile e se i prodotti o servizi siano identici o affini. Dunque, l’imprenditore deve dimostrare contemporaneamente l’esistenza dei due requisiti richiesti dalla norma. L’uso del segno distintivo simile o identico, circa il profilo applicativo della norma, non desta particolari difficoltà. Nel NFT viene, infatti, riprodotto e pubblicizzato un prodotto o un servizio seguito dal marchio o analogo segno distintivo in grado di identificarlo sul mercato virtuale. Come avvenuto per il caso esaminato dal Tribunale di Roma, la tokenizzazione consente, anche piuttosto agevolmente, di riprodurre immagini riconducibili all’impresa titolare della privativa industriale. È, dunque, evidente il vantaggio per [continua ..]
Il marchio, ordinario o dotato di rinomanza, riprodotto senza licenza in un token, consente, inoltre, di promuovere l’azione inibitoria (art. 2599 c.c.) e di risarcimento del danno (art. 2600 c.c.), in seguito all’accertamento delle condotte vietate dall’art. 2598, n. 1, c.c. L’esercizio dell’azione per atti di concorrenza sleale richiede, infatti, come noto, la coesistenza di due presupposti: a. la qualità di imprenditore, sia del soggetto che pone in essere l’atto, sia del soggetto che ne subisce le conseguenze; b. l’esistenza di un rapporto di concorrenza economica tra i medesimi. Rileva, qui, il secondo di questi presupposti, per individuare, segnatamente, il rapporto concorrenziale tra il titolare del marchio e chi lo riproduce in un valore digitale. L’atto di concorrenza sleale consiste, di regola, nello sviamento della clientela, pertanto occorre considerare che tra i soggetti dell’atto vi sia comunanza di clientela, effettiva o potenziale. Cionondimeno, considerato soprattutto il mercato dei digital assets, in continua espansione, parrebbe corretto estendere la portata dell’art. 2598 c.c. anche ai rapporti di concorrenza c.d. potenziale. Per i marchi celebri, l’applicazione dell’impostazione risulterebbe, sotto il profilo probatorio, meno complicata, poiché – come delineato dall’ordinanza in commento – le imprese il cui marchio gode di rinomanza tendono a espandersi nei più diversi settori, con un grado di tutela, conseguentemente, riconosciuto anche in mercati latamente affini. Per i titolari di un marchio ordinario, le osservazioni in ordine al rischio di associazione tra due segni provenienti da due diversi imprenditori, nulla esclude che il titolare del marchio possa ricorrere all’art. 2598 c.c., qualora, però, vi sia corrispondenza tra il prodotto reale che il segno contraddistingue e la “controparte” virtuale impressa in un NFT. Si è detto poi della difficoltà di individuare l’autorità competente a giudicare l’illecito (Corte di giustizia UE, sentenza 17 giugno 2021, causa C-800/19; Cass., 27 febbraio 2020, n. 5309). A questo proposito, si osserva che i diritti di proprietà intellettuale proteggono la forma espressiva di un’idea, sia che essa si concretizzi in un’invenzione, segno distintivo o opera dell’ingegno. Mentre il diritto [continua ..]
Caso spagnolo A maggio 2022, la società MANGO, noto brand di abigliamento, ha creato una collezione di NFT basati su copie digitali di opere di famosi artisti come Mirò, Tapies e Barcelò, incorporati in vari capi di abbigliamento; Mango è proprietaria degli originali di queste opere pittoriche; questa commercializzazione sul Metaverso richiederebbe l’autorizzazione del titolare originari dell’opera; Mango sostiene di aver trasformato le opere originarie, includendo degli elementi, ma anche il diritto di adattamento delle opere appartiene all’originario titolare; I titolari dei diritti sulle opere (la società che riunisce i copyright in Spagna) hanno adito l’autorità giudiziaria e la Corte di Barcellona ha emesso una decisione, in materia di misure cautelari, chiedendo a Mango di giustificare il suo diritto di digitalizzare e convertire alcuni dipinti in NFT e ordinando alla Opensea platform di trasferire gli NFT in contesa ad un wallet fisco per la loro custodia fino alla fine del giudizio; In attesa del giudizio, si può osservare che la proprietà materiale dell’oggetto in cui è incorporata un’opera (come il quadro materiale) non concede al proprietario il copyright su di essa; la legge spagnola assicura a tale proprietario il diritto di esibire l’opera in mostre, ma non lo sfruttamento economico di essa; e Mango non si è limitato a creare copie delle opere per pubblicizzare una mostra, ma ne ha fatto un uso commerciale, anche attraverso la trasformazione di tali opere. Caso Burberry Con una recente decisione l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha respinto una domanda di marchio depositata da “Burberry Limited” per proteggere, tra gli altri beni e servizi, “NFT” (Classe 9 della Classificazione di Nizza). La domanda di registrazione ha come oggetto un marchio figurativo comprendente il noto motivo Burberry: esso mostra una combinazione di elementi che formano un motivo a scacchi, in cui le linee orizzontali e verticali di colore rosso, bianco e nero sono poste su una base di colore beige. Come si legge nella decisione dell’8 marzo 2023, l’Ufficio ha sollevato un’obiezione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), RMUE poiché ha ritenuto che il marchio richiesto non fosse idoneo alla [continua ..]