Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Strumenti e procedure per affrontare la crisi d'impresa: i criteri di scelta sul piano civilistico (di Maurizio Irrera, Professore di Diritto Commerciale – Università degli Studi di Torino)


Nell'ambito delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza, l'intervento illustra gli strumenti idonei per la soluzione della crisi di impresa. In tale prospettiva, dopo aver analizzato la disciplina di riferimento, l'autore si sofferma sugli aspetti civilistici.

Instruments and procedures to deal with the business crisis: the selection criteria on a civil law level

As part of the innovations introduced by the Crisis and Insolvency Code, the speech illustrates the suitable tools for solving the business crisis. In this perspective, after having analyzed the reference discipline, the author focuses on the civil aspects.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La nozione di imprenditore e il suo rapporto con gli strumenti e le procedure disciplinate dal Codice della crisi - 3. Pre-crisi, crisi, insolvenza e selezione dello strumento regolativo più adeguato - 4. Problematiche applicative nel concordato preventivo “liquidatorio” - 5. Rapporti fra procedure concorsuali e finanziamenti erogati ai sensi della normativa emergenziale di contrasto alla pandemia da Covid-19 - 6. Focus sulla composizione negoziata e sui suoi possibili esiti


1. Premessa

Come noto, il Codice della crisi d’impresa mette a disposizione dell’im­prenditore una nutrita serie di strumenti per fronteggiare la crisi d’impresa, dalla composizione negoziata al concordato preventivo. L’intento è quello di consentire all’imprenditore di superare lo stato di crisi o di insolvenza senza dover ricorrere alla procedura di liquidazione giudiziale: essa, infatti, nel nuovo sistema è destinata ad operare in via residuale, solo nell’ipotesi di impossibilità di ricorrere ad altre procedure o di insuccesso delle stesse. Peraltro, a fronte dell’ampio catalogo di strumenti e procedure messi a disposizione dal Codice, il primo nodo che l’operatore si trova costretto a sciogliere riguarda proprio la scelta del mezzo più congeniale. Sul piano civilistico, mi pare che la selezione si debba fondare, almeno in prima battuta su un parametro soggettivo ed uno oggettivo, destinati a intersecarsi fra loro, ossia: i) la natura dell’imprenditore; ii) le caratteristiche dello stato di difficoltà.


2. La nozione di imprenditore e il suo rapporto con gli strumenti e le procedure disciplinate dal Codice della crisi

Quanto al primo profilo, il Codice – nell’ambito della nozione di “imprenditore” ricavabile dall’art. 2082 c.c. – distingue fra: –   imprenditore commerciale, vale a dire colui che eserciti le attività indicate dall’art. 2195 c.c. (attività industriale; attività intermediaria nella circolazione dei beni; attività di trasporto; attività bancaria o assicurativa; altre attività ausiliarie delle precedenti), o comunque eserciti attività diversa da quella agricola; –   imprenditore agricolo, ossia colui che – ai sensi dell’art. 2135 c.c. – esercita attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse; –   imprenditore minore, cioè quello la cui impresa presenti congiuntamente i seguenti tre requisiti (che possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministero della Giustizia): 1) attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a € 300.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) debiti anche non scaduti non superiori a € 500.000,00. Ebbene, nel sistema delineato dal Codice, l’impresa commerciale (non minore) può ricorrere o essere assoggettata a tutti gli istituti disciplinati dal Codice medesimo, mentre sussistono limitazioni per l’impresa agricola e l’impre­sa minore. L’impresa agricola, infatti, non è assoggettabile a liquidazione giudiziale (ma può accedere alla liquidazione controllata, eventualmente anche su ricorso dei creditori), né può ricorrere alla procedura di concordato preventivo o al piano di ristrutturazione assoggettato ad omologazione, riservati all’impresa commerciale non minore; può tuttavia accedere alla procedura di concordato minore, alla composizione negoziata e ad altri strumenti di gestione della crisi non espressamente riservati alle imprese commerciali, quali ad esempio la convenzione di moratoria e [continua ..]


3. Pre-crisi, crisi, insolvenza e selezione dello strumento regolativo più adeguato

Una volta delineato, sul piano soggettivo, l’ambito di applicabilità dei diversi strumenti di regolazione e composizione della crisi disciplinati dal Codice della crisi, la selezione della misura più adeguata non può che passare da una valutazione della condizione economico-finanziaria dell’impresa. In proposito, il Codice della crisi distingue fra “crisi”, “insolvenza” e uno stato prodromico alle stesse che molti definiscono come “pre-crisi”. Come noto, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), Cod. crisi, la “crisi” è lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi. L’art. 2, comma 1, lett. b), invece, contiene la nozione di “insolvenza”, la quale corrisponde alla sussistenza di inadempimenti o altri fatti esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Da ultimo, dall’art. 12, che disciplina i requisiti di accesso alla composizione negoziata, è possibile ricavare lo stato di “pre-crisi”, che consiste nel trovarsi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza. Dal medesimo art. 12 Cod. crisi si può evincere che, in stato di pre-crisi, lo strumento principe concretamente e razionalmente attivabile sia la composizione negoziata, che infatti può eventualmente precedere il ricorso agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Il che, peraltro, non significa che l’accesso a tale strumento sia precluso nell’ipotesi di crisi o insolvenza dell’impresa: come si è visto, infatti, l’art. 12 Cod. crisi richiede solo che sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa, anche con le forme della continuità aziendale indiretta. Per converso, ove all’esito delle trattative non fosse possibile perseguire una delle soluzioni previste dalla disciplina della composizione negoziata, l’imprenditore potrebbe depositare ricorso per concordato semplificato, il quale ben potrebbe avere contenuto schiettamente liquidatorio. Quanto agli altri strumenti e procedure di regolazione della crisi o dell’in­solvenza, l’art. 2, comma [continua ..]


4. Problematiche applicative nel concordato preventivo “liquidatorio”

Se è vero che il concordato liquidatorio è sostanzialmente l’unico procedimento – diverso dalla liquidazione giudiziale – chiaramente ed espressamente dedicato alle ipotesi di insolvenza irreversibile, è anche vero che l’attuale disciplina ne rende alquanto gravoso il ricorso. Per un verso, come già nella previgente disciplina, si stabilisce che il piano concordatario debba prevedere una percentuale di soddisfazione dei creditori privilegiati degradati e per i chirografari non inferiore al 20% dei rispettivi crediti. Per altro verso, si prescrive che il piano debba essere sostenuto da un apporto di finanza esterna non inferiore al 10% dell’attivo, la quale può essere impiegata anche per pagare i creditori privilegiati degradati che non trovino soddisfazione nell’attivo di impresa. Soprattutto, nel concordato con liquidazione dei beni, il liquidatore giudiziale ha la titolarità dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Il che, tuttavia, potrebbe porre qualche problema di coordinamento con l’obbligo di apporto di finanza esterna. Come noto, nella generalità dei casi la finanza esterna viene messa a disposizione o da persone fisiche, per spirito di liberalità, o dalla società capogruppo, in un’ottica di risanamento di gruppo. Di contro, non si ritiene possibile che l’apporto provenga da società terze, in quanto ciò – nella stragrande maggioranza dei casi – tale attività di supporto finanziario contrasterebbe con i limiti dell’oggetto sociale delineato in statuto. Inoltre, laddove l’apporto di finanza esterna provenga da un amministratore o da un ex amministratore, detta erogazione non sarà di per sé sufficiente ad escludere, nei suoi confronti, l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte del liquidatore giudiziale. Nel regime previgente, nel quale al liquidatore concordatario non era riconosciuta la legittimazione ad esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, l’immissione di finanza esterna costituiva per gli amministratori una modalità per provare ad assicurare il successo della procedura concordataria ed evitare l’esercizio dell’azione di responsabilità che il Curatore avrebbe esercitato in caso di fallimento dell’impresa: diversamente [continua ..]


5. Rapporti fra procedure concorsuali e finanziamenti erogati ai sensi della normativa emergenziale di contrasto alla pandemia da Covid-19

Sempre sul piano del concreto impiego delle procedure di soluzione della crisi, un’ulteriore e recente difficoltà deriva dal riconoscimento di un privilegio di grado elevato accordato, ex art. 9, comma 5, d.lgs. n. 123/98, al Mediocredito Centrale in relazione alle garanzie erogate a copertura di finanziamenti bancari, soprattutto di quelli concessi con grande generosità ai sensi delle disposizioni di contrasto alla pandemia da Covid-19 (art. 13, d.l. n. 23/2020 conv. con mod. in legge n. 40/2020). Le banche, come è noto, hanno spesso utilizzato la garanzia statale per ristrutturare le posizioni debitorie – talora precarie – dei loro clienti, soprattutto laddove non garantite; tanto è vero che il legislatore aveva posto come condizione che il finanziamento dotato della garanzia statale dovesse consentire al cliente della banca di godere di almeno il 25% di liquidità aggiuntiva. Molte posizioni di credito chirografario da parte delle banche sono così divenute garantite per il 70% – 80% (a seconda dei casi) del loro importo complessivo. E qui iniziano i problemi; o, meglio, i problemi sono iniziati nella seconda parte dello scorso anno, quando il periodo biennale di preammortamento è cessato ed i nodi sono venuti al pettine. Nodi che riguardano sia le banche, sia lo Stato, sia gli stessi debitori; ma andiamo con ordine. Gli istituti di credito, da un lato, godono di un’ampia garanzia statale, ma, dall’altro, le garanzie accessorie eventualmente ottenute dal cliente (come le fideiussioni di terzi) debbono essere condivise con il Mediocredito Centrale (o con Sace per il credito all’esportazione) e non possono proteggere solo la parte scoperta del finanziamento; soprattutto le banche temono che il Mediocredito Centrale opponga ex post eccezioni al processo di concessione del finanziamento e della correlata garanzia, rifiutando la prestazione di quest’ultima. La prestazione di garanzie da parte dello Stato non costituisce debito pubblico sino a quando le stesse non sono escusse (e sia rimasto senza esito l’atti­vità di recupero del credito) e dunque è evidente l’ordine di scuderia (tenuto sottotraccia) di sollevare, laddove possibile e legittimo, eccezioni per evitare il pagamento e di conseguenza l’incremento all'esito del debito pubblico. La garanzia statale gode, come si è ricordato, di un privilegio generale di [continua ..]


6. Focus sulla composizione negoziata e sui suoi possibili esiti