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Strumenti e procedure per affrontare la crisi d'impresa: i criteri di scelta sul piano civilistico
Maurizio Irrera, Professore di Diritto Commerciale – Università degli Studi di Torino
Nell'ambito delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza, l'intervento illustra gli strumenti idonei per la soluzione della crisi di impresa. In tale prospettiva, dopo aver analizzato la disciplina di riferimento, l'autore si sofferma sugli aspetti civilistici.
As part of the innovations introduced by the Crisis and Insolvency Code, the speech illustrates the suitable tools for solving the business crisis. In this perspective, after having analyzed the reference discipline, the author focuses on the civil aspects.
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Sommario:
1. Premessa - 2. La nozione di imprenditore e il suo rapporto con gli strumenti e le procedure disciplinate dal Codice della crisi - 3. Pre-crisi, crisi, insolvenza e selezione dello strumento regolativo più adeguato - 4. Problematiche applicative nel concordato preventivo “liquidatorio” - 5. Rapporti fra procedure concorsuali e finanziamenti erogati ai sensi della normativa emergenziale di contrasto alla pandemia da Covid-19 - 6. Focus sulla composizione negoziata e sui suoi possibili esiti
1. Premessa
Come noto, il Codice della crisi d’impresa mette a disposizione dell’imprenditore una nutrita serie di strumenti per fronteggiare la crisi d’impresa, dalla composizione negoziata al concordato preventivo. L’intento è quello di consentire all’imprenditore di superare lo stato di crisi o di insolvenza senza dover ricorrere alla procedura di liquidazione giudiziale: essa, infatti, nel nuovo sistema è destinata ad operare in via residuale, solo nell’ipotesi di impossibilità di ricorrere ad altre procedure o di insuccesso delle stesse. Peraltro, a fronte dell’ampio catalogo di strumenti e procedure messi a disposizione dal Codice, il primo nodo che l’operatore si trova costretto a sciogliere riguarda proprio la scelta del mezzo più congeniale. Sul piano civilistico, mi pare che la selezione si debba fondare, almeno in prima battuta su un parametro soggettivo ed uno oggettivo, destinati a intersecarsi fra loro, ossia: i) la natura dell’imprenditore; ii) le caratteristiche dello stato di difficoltà.
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2. La nozione di imprenditore e il suo rapporto con gli strumenti e le procedure disciplinate dal Codice della crisi
Quanto al primo profilo, il Codice – nell’ambito della nozione di “imprenditore” ricavabile dall’art. 2082 c.c. – distingue fra: – imprenditore commerciale, vale a dire colui che eserciti le attività indicate dall’art. 2195 c.c. (attività industriale; attività intermediaria nella circolazione dei beni; attività di trasporto; attività bancaria o assicurativa; altre attività ausiliarie delle precedenti), o comunque eserciti attività diversa da quella agricola; – imprenditore agricolo, ossia colui che – ai sensi dell’art. 2135 c.c. – esercita attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse; – imprenditore minore, cioè quello la cui impresa presenti congiuntamente i seguenti tre requisiti (che possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministero della Giustizia): 1) attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a € 300.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio [continua ..]
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3. Pre-crisi, crisi, insolvenza e selezione dello strumento regolativo più adeguato
Una volta delineato, sul piano soggettivo, l’ambito di applicabilità dei diversi strumenti di regolazione e composizione della crisi disciplinati dal Codice della crisi, la selezione della misura più adeguata non può che passare da una valutazione della condizione economico-finanziaria dell’impresa. In proposito, il Codice della crisi distingue fra “crisi”, “insolvenza” e uno stato prodromico alle stesse che molti definiscono come “pre-crisi”. Come noto, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), Cod. crisi, la “crisi” è lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi. L’art. 2, comma 1, lett. b), invece, contiene la nozione di “insolvenza”, la quale corrisponde alla sussistenza di inadempimenti o altri fatti esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Da ultimo, dall’art. 12, che disciplina i requisiti di accesso alla composizione negoziata, è possibile ricavare lo stato di “pre-crisi”, che consiste nel trovarsi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza. Dal medesimo art. 12 Cod. crisi si può evincere che, in stato di pre-crisi, [continua ..]
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4. Problematiche applicative nel concordato preventivo “liquidatorio”
Se è vero che il concordato liquidatorio è sostanzialmente l’unico procedimento – diverso dalla liquidazione giudiziale – chiaramente ed espressamente dedicato alle ipotesi di insolvenza irreversibile, è anche vero che l’attuale disciplina ne rende alquanto gravoso il ricorso. Per un verso, come già nella previgente disciplina, si stabilisce che il piano concordatario debba prevedere una percentuale di soddisfazione dei creditori privilegiati degradati e per i chirografari non inferiore al 20% dei rispettivi crediti. Per altro verso, si prescrive che il piano debba essere sostenuto da un apporto di finanza esterna non inferiore al 10% dell’attivo, la quale può essere impiegata anche per pagare i creditori privilegiati degradati che non trovino soddisfazione nell’attivo di impresa. Soprattutto, nel concordato con liquidazione dei beni, il liquidatore giudiziale ha la titolarità dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Il che, tuttavia, potrebbe porre qualche problema di coordinamento con l’obbligo di apporto di finanza esterna. Come noto, nella generalità dei casi la finanza esterna viene messa a disposizione o da persone fisiche, per spirito di liberalità, o dalla società capogruppo, in un’ottica di risanamento di gruppo. Di contro, non si ritiene possibile che l’apporto provenga da società terze, in quanto [continua ..]
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5. Rapporti fra procedure concorsuali e finanziamenti erogati ai sensi della normativa emergenziale di contrasto alla pandemia da Covid-19
Sempre sul piano del concreto impiego delle procedure di soluzione della crisi, un’ulteriore e recente difficoltà deriva dal riconoscimento di un privilegio di grado elevato accordato, ex art. 9, comma 5, d.lgs. n. 123/98, al Mediocredito Centrale in relazione alle garanzie erogate a copertura di finanziamenti bancari, soprattutto di quelli concessi con grande generosità ai sensi delle disposizioni di contrasto alla pandemia da Covid-19 (art. 13, d.l. n. 23/2020 conv. con mod. in legge n. 40/2020). Le banche, come è noto, hanno spesso utilizzato la garanzia statale per ristrutturare le posizioni debitorie – talora precarie – dei loro clienti, soprattutto laddove non garantite; tanto è vero che il legislatore aveva posto come condizione che il finanziamento dotato della garanzia statale dovesse consentire al cliente della banca di godere di almeno il 25% di liquidità aggiuntiva. Molte posizioni di credito chirografario da parte delle banche sono così divenute garantite per il 70% – 80% (a seconda dei casi) del loro importo complessivo. E qui iniziano i problemi; o, meglio, i problemi sono iniziati nella seconda parte dello scorso anno, quando il periodo biennale di preammortamento è cessato ed i nodi sono venuti al pettine. Nodi che riguardano sia le banche, sia lo Stato, sia gli stessi debitori; ma andiamo con ordine. Gli istituti di credito, da un lato, godono di un’ampia garanzia statale, ma, [continua ..]
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6. Focus sulla composizione negoziata e sui suoi possibili esiti