Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La composizione negoziata per la soluzione della crisi d´impresa: profili giuslavoristici (di Andrea Uberti, Avvocato del Foro di Milano)


Nell’ambito della composizione negoziata delle crisi d’impresa, il saggio illustra i profili giuslavoristici della procedura. In tale contesto d’indagine, l’autore – dopo aver fornito il quadro di riferimento normativo – analizza la procedura sindacale, nonché le ulteriori garanzie a favore dei lavoratori. Infine, la trattazione termina con l’analisi del ruolo dell’esperto.

Parole chiave: crisi d’impresa – procedura – profili giuslavoristici.

The negotiated settlement for the solution of the corporate crisis: labor law profiles

As part of the negotiated settlement of corporate crises, the essay illustrates the labor law profiles of the procedure. Within this context, the author – after providing the regulatory framework – analyzes the labor syndicate procedure, as well as the additional guarantees in favor of workers. Lastly, the discussion ends with the analysis of the role of the expert.

Keywords: corporate crises – procedure – labor law profiles.

SOMMARIO:

1. Premessa: rilievi sistematici sul d.l. n. 118/2021 - 2. La logica preventiva del d.l. n. 118/2021 e la direttiva “Insolvency” n. 1023/2019 - 3. La “composizione negoziata della crisi d’impresa” - 4. La procedura sindacale - 5. Le ulteriori garanzie a favore dei lavoratori - 6. Il ruolo dell’esperto tra legge e pragma - NOTE


1. Premessa: rilievi sistematici sul d.l. n. 118/2021

L’assenza, nella c.d. legge fallimentare (r.d. 13 marzo 1942, n. 267, più volte modificato), di una disciplina specifica degli effetti del fallimento sui rapporti di lavoro subordinato ha per lungo tempo costretto l’interprete a costruire “ponti” tra l’uno e l’altro dei due versanti regolamentativi (diritto fallimentare e diritto del lavoro), tentando soluzioni che soddisfacessero la ratio fondamentale sottesa a ciascuno di essi, vale a dire la protezione – da un lato – dell’interesse e della par condicio dei creditori e – dall’altro – della continuità dell’impresa e dell’occupazione con le connesse tutele del credito retributivo/contributivo del prestatore [1]. Nel 2019, intendendo correggere la distanza tra le due anzidette dimensioni (ma forse sarebbe meglio dire sotto-ordinamenti speciali), il legislatore ha emanato il d.lgs. n. 14 [2], il quale ha riscritto l’intera disciplina della crisi e dell’insolvenza dell’impresa all’insegna di due principi fondamentali, dettati dalla legge delega n. 155/2017: a) la riformulazione delle “disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi al fine di favorirne il superamento” in coerenza con il nuovo sistema introdotto (art. 2, comma 1, lett. m, legge delega cit.)[3]; b) il coordinamento degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato “con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di insinuazione al passivo” (art. 7, comma 7, legge cit.)[4]. Il d.lgs. n. 14/2019 (significativamente definito “Codice della crisi d’im­presa e dell’insolvenza”: CCII), nonostante l’introduzione di una regolamentazione tendenzialmente organica ed unitaria delle procedure concorsuali, oltre che delle situazioni di crisi aziendale e di sovraindebitamento individuale, non ha però retto il devastante impatto della crisi in cui è entrato l’intero sistema produttivo negli anni immediatamente successivi a causa dell’emergenza pandemica. Il testo dell’anzidetto decreto legislativo, infatti, risultava carente non solo di un assestamento applicativo (che a dire il vero non è ancora iniziato dovendo entrare in vigore, dapprima, il 14 [continua ..]


2. La logica preventiva del d.l. n. 118/2021 e la direttiva “Insolvency” n. 1023/2019

Il d.l. n. 118/2021, collocandosi idealmente “a monte” dello stesso decreto legislativo n. 14/2019, si muove in una logica preventiva della crisi, come si deduce dall’espresso riferimento alla probabilità della crisi e dell’insolvenza, in perfetta coerenza con quanto disposto dalla direttiva Insolvency del 2019 che prevede – qualora tale probabilità sussista – la predisposizione di “quadri di ristrutturazione preventiva” (art 2, comma 1, d.l. n. 118 e art. 4, comma 1, dir. cit.). Pur nel dubbio che il decreto legge possa considerarsi attuativo della direttiva stessa, è però certo che esso rivela una sensibilità lavoristica che deriva, per osmosi, dalle numerose disposizioni con cui il legislatore europeo richiama l’attenzione degli Stati membri sull’importanza della tutela dei lavoratori e del coinvolgimento dei loro rappresentanti sindacali. È dunque un “microcosmo normativo” sempre più influenzato dalla sensibilità giuslavoristica quello che è dato oggi individuare all’interno di un corpus per decenni riservato ad una regolamentazione separata, presidiata dai soli principi e precetti di diritto fallimentare e commerciale. Riteniamo opportuno prescindere, in questa sede, dalle peculiarità che in tal senso già connotano la disciplina del CCII laddove introduce, colmando la storica lacuna, una disciplina specifica e speciale degli effetti della liquidazione giudiziale sul rapporto di lavoro subordinato (art. 189) [6]. Anche perché per qualcuno quelle peculiarità non appaiono sufficienti a segnare una netta inversione di rotta nel rapporto tra diritto fallimentare e diritto del lavoro [7]. Non si può tuttavia negare la “ratio” lavoristica che impronta le disposizioni di nuovo conio, contenute sia nella direttiva n. 1023, sia nel d.l. n. 118/2021 da essa ispirato. Tra queste deve anzitutto annoverarsi l’art. 4, comma 1, dir. UE alla cui stregua, in odore di insolvenza, “gli Stati membri provvedono affinché il debitore abbia accesso ad un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale”. Dalla [continua ..]


3. La “composizione negoziata della crisi d’impresa”

In Italia, il quadro o piano di ristrutturazione preventiva cui allude la direttiva Insolvency diventa, nelle disposizioni di cui al d.l. n. 118/2021, il risultato dell’attivazione di un istituto peculiare, la c.d. “composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa” (art. 2, d.l. cit.). Trattasi di una procedura che si attiva, su base volontaria, quando l’im­prenditore commerciale o agricolo in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario decide di chiedere al segretario generale della Camera di commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa “la nomina di un esperto indipendente” (art. 2, comma 1). La decisione dell’imprenditore non è però completamente libera, risultando condizionata dal presupposto, cui non sembra essere stata data sufficiente attenzione da parte dei primi commentatori della novella, che il risanamento dell’impresa deve risultare “ragionevolmente perseguibile” (cfr. art. 5, comma 5, d.l. n. 118/2021) [12]. L’esperto, destinato a formare con l’imprenditore, come è stato detto [13], una peculiare dualità, ha il compito di agevolare le trattative tra tutti i soggetti interessati, al fine di “individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1” (probabilità di crisi e di insolvenza) “anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa” (art. 2, comma 2). Sulla natura “preconcorsuale” dell’istituto non vi possono essere dubbi, a mente dell’art. 9 del d.l. n. 118 secondo cui “nel corso delle trattative l’im­prenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa” (nessun spossessamento, dunque), amministrandola “in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività” oltre che “nel prevalente interesse dei creditori” [14]. Il risultato, espressamente confermato dalla norma, è che “restano ferme le responsabilità – tutte – dell’imprenditore” (art. 9 cit., comma 1). Lo stesso esperto, ben lungi dall’identificarsi con l’autorità giudiziaria o amministrativa che caratterizza nella sua necessaria terzietà le procedure concorsuali ordinarie, costituisce più [continua ..]


4. La procedura sindacale

L’art. 4, comma 8, del d.l. n. 118/2021 introduce, in capo al datore di lavoro, un obbligo di coinvolgimento del sindacato. La disposizione si connota anzitutto in senso residuale, esordendo con una clausola di salvaguardia di tutte le procedure di informazione/consultazione già previste “dalla legge o dai contratti collettivi di cui all’art. 2, comma 1, lett. g), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25” [15]. Si tratta peraltro di una disposizione necessaria, considerato che essa estende l’obbligo de quo in un’area che non sarebbe stata toccata dalle norme destinate alla gestione della crisi vera e propria (in materia di licenziamenti collettivi, mobilità, cassa integrazione guadagni), vale a dire collocando l’anzi­detto obbligo “a monte” rispetto a situazioni conclamate di crisi aziendale come finora configurate in ambito giuslavoristico. Presupposto essenziale per l’attivazione della procedura (a parte quello dimensionale, su cui v. infra) è l’assunzione, nel corso della composizione negoziata, di “rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni” [16]. Atteso che nella nostra materia qualsiasi determinazione che incida sui rapporti di lavoro può tranquillamente reputarsi “rilevante” [17], non è dubbia l’operatività ad ampio raggio che il legislatore ha inteso imprimere all’obbligo di informazione/consultazione delle parti sociali nel nuovo contesto di gestione dello stato di pre-crisi. Coerente con un siffatto intento estensivo è il presupposto dimensionale, individuato nell’impresa che “occupa complessivamente più di 15 dipendenti”: a voler fare paragoni, va ricordato che per l’applicazione dell’art. 18 St. lav. l’impresa (nel suo complesso) deve occupare più di 60 dipendenti (i 15 vanno calcolati nella sola unità produttiva), mentre per l’applicazione della legge n. 25/2007 (espressamente richiamata dal comma 8) i dipendenti devono almeno 50 [18]. La procedura in sé è poi articolata in modo tutto sommato tradizionale: prima dell’adozione delle misure di cui supra il datore di lavoro informa con comunicazione scritta [continua ..]


5. Le ulteriori garanzie a favore dei lavoratori

Già è stato detto che, in perfetto parallelismo con la direttiva Insolvency, l’art. 6, comma 3, d.l. n. 118 esclude dalle misure protettive del patrimonio dell’imprenditore i diritti di credito dei lavoratori, tacendo del tutto sulla possibilità di deroga a siffatto beneficio (deroga consentita invece dalla direttiva in caso sussistano garanzie analoghe per il lavoratore, all’interno dell’ordi­namento del singolo Stato membro). A questo silenzio non è possibile ricondurre alcun particolare intento del legislatore italiano, come ad esempio quello di vietare il ricorso alla cassa integrazione guadagni. L’utilizzo della strumentazione ordinaria per l’uscita dalla crisi deve intendersi sempre consentito, alle condizioni poste dalla normativa giuslavoristica in vigore [22]. Emblematico della duplice ratio che informa il d.l. n. 118, poi, è l’art. 10, comma 1, lett. d), in materia di autorizzazioni del Tribunale e rinegoziazione dei contratti. Da un lato, infatti, al Tribunale viene riconosciuto il potere di “autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’art. 2560, comma 2, cod. civ.”. Il disposto consente quindi una deroga secca al principio di trasmissibilità dei debiti del cedente all’acquirente o cessionario [23], accedendo ad una logica, che potremmo definire fallimentaristica-commerciale, per la quale la facilitazione della circolazione dell’azienda prevale sui diritti dei creditori della stessa. D’altro lato, il medesimo disposto sancisce che l’art. 2112 c.c. “resta fermo”. Come a dire che deve essere garantita la continuità del rapporto di lavoro dei dipendenti dell’azienda ceduta, i quali “passano” all’acquirente insieme a tutti i crediti maturati anteriormente al trasferimento. Questi ultimi restano altresì presidiati dall’obbligo solidale di cedente e cessionario, ammettendosi la liberazione del cedente solo attraverso la rinuncia espressa del singolo lavoratore in sede protetta. Ed è questo un chiaro esempio di come, nel testo del d.l. n. 118, la prevalenza della prospettiva di risanamento dell’impresa sugli interessi dei creditori ceda di fronte alla ratio lavoristica di tutela del lavoro dipendente, che potrà essere sacrificata o [continua ..]


6. Il ruolo dell’esperto tra legge e pragma

La composizione negoziata della crisi è attivata, ai sensi dell’art. 2, comma 1, nel momento in cui l’imprenditore commerciale e agricolo (che si trovi nelle condizioni supra descritte) chiede la “nomina di un esperto indipendente”. L’esperto è dunque il “perno” attorno a cui ruota tutta la procedura: a lui è affidato il compito di “agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, ai fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1” (squilibrio patrimoniale o economico-finanziario dell’impresa). Il legislatore è attento nel tratteggiare le caratteristiche di questa peculiare figura: egli è anzitutto “terzo rispetto a tutte le parti” ed è tenuto ad operare “in modo professionale, riservato, imparziale e indipendente”, potendo/doven­do chiedere all’imprenditore e ai creditori tutte le informazioni utili e necessarie per l’espletamento del proprio incarico (art. 4, comma 2) [26]. A maggior garanzia, è espressamente richiesto che “il professionista ed i soggetti con i quali è eventualmente unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore dell’imprenditore (si noti che nel testo legislativo continua a mancare la considerazione del lavoro parasubordinato) né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell’impresa né aver posseduto partecipazioni in essa”. Parimenti, chi ha svolto l’incarico di esperto “non può intrattenere rapporti professionali con l’imprenditore se non decorsi almeno due anni dall’archiviazione della composizione negoziata” (art. 4, comma 1). Va ribadito che l’esperto, diversamente da quanto accade nel caso del­l’analogo intervento di soggetti terzi all’interno delle procedure concorsuali ordinarie, non è dotato di alcuna autorità di natura amministrativa o giudiziaria, coerentemente peraltro con il ruolo affidatogli, che non è (come anticipato) quello di sostituire l’imprenditore, ma di affiancarlo. Tra esperto e imprenditore si realizza pertanto un interessante interscambio che presuppone una situazione di quasi perfetta parità, salvo le [continua ..]


NOTE