Nell’attuale panorama di incertezza legato alle crisi economiche, alla pandemia da Covid-19 e al conflitto fra Russia e Ucraina, l’approfondimento illustra la disciplina del Risk Management, soffermandosi – in particolare – sulla comunicazione aziendale. In tale contesto, l’autore analizza – dapprima – la decisione e il rischio, per poi terminare la trattazione con un’approfondita analisi della comunicazione funzionale a prevenire il rischio reputazionale.
Parole chiave: rischio – incertezza – comunicazione.
Within the current of uncertainty linked to the economic crises, the Covid-19 pandemic and the conflict between Russia and Ukraine, the paper illustrates the discipline of Risk Management, focusing – in particular – on corporate communication. In this context, the author analyzes – firstly – the decision and the risk, and then he ends with an in-depth analysis of functional communication to prevent reputational risk.
Keywords: risk – uncertainty – communication.
1. La decisione e il rischio nell’Economics - 2. La decisione e il rischio nel cervello - 3. Il rischio reputazionale: come comunicare per prevenirlo - Bibliografia
Prima che il cervello venisse sottoposto ad analisi sempre più rigorose, il potere decisionale in campo economico era affidato solo ed esclusivamente all’homo oeconomicus, un’entità, la cui configurazione è rinvenibile nel saggio Sulla definizione di economia politica del 1836 di John Stuart Mill, utilizzata da Alfred Marshall, diffusa da Vilfredo Pareto e da Maffeo Pantaleoni, e che indica un attore sociale in grado di ordinare razionalmente le sue preferenze, di essere perfettamente informato sullo stato del mondo attuale e su tutti i futuri stati possibili e che agisce perseguendo unicamente obiettivi di massimizzazione dei benefici o di minimizzazione delle perdite; sostanzialmente un individuo che agisce in base al calcolo dei propri interessi e in preda ad animal spirits – il termine utilizzato da Paolo di Tarso nella lettera ai Corinzi (12-16) e poi ripreso da Keynes –, un soggetto razionale, volitivo e informato e che raffigura l’unità monadica che opera in un mercato competitivo ed efficiente. Si tratta di un termine che include l’impermeabilità dell’essere umano, in ambito economico, agli stati affettivi (emozioni, sentimenti, stati d’animo); un essere umano in grado di prevedere gli esiti futuri dei propri e altrui comportamenti grazie alla sua “razionalità”, essendo sempre e in ogni situazione in possesso di tutte le informazioni necessarie per mettere in atto decisioni ottimali, nonché di una volontà univoca nel momento in cui si devono compiere scelte. Nella cultura occidentale la razionalità, da cui l’homo oeconomicus è caratterizzato, si è originariamente configurata con due significati: un insieme di azioni coerenti con una finalità e un senso logico condiviso da tutti i comportamenti dell’individuo. La sua prima accezione è storicamente legata al dibattito che è sorto riguardo al ruolo degli stati affettivi in relazione ai fini verso i quali le azioni tendono. Per secoli la risposta fornita è stata incentrata sul necessario dominio della ragione proprio sugli stati affettivi, perché l’idea era che ciò che differenzia l’essere umano dalle altre creature (gli animali) è la ragione, tant’è che negli anni le teorie filosofiche principali hanno esaltato il suo uso in opposizione alle emozioni. Un’ottica ben delineata [continua ..]
Sono stati, dapprima, gli studi psicologici di Daniel Kahneman e Amos Tversky, iniziati nel 1979, e focalizzati su come l’individuo si pone di fronte a delle decisioni, soprattutto in situazioni di rischio, e poi le analisi di Jonathan Evans, nel 1984, a mettere in luce che ci sono due approcci decisionali differenti: i primi sono intuitivi, inconsapevoli, connessi con la sopravvivenza dell’individuo; i secondi sono controllati, sequenziali, avviabili con un atto di volontà e correlati allo sforzo mentale svolto. Kahneman e Tversky al fine di spiegare i comportamenti ‘non razionali’ delle persone ordinarie fanno riferimento ai concetti di euristiche e bias. Nel 1974 pubblicarono un articolo che in otto pagine descriveva le prime tre euristiche risultate da numerosi esperimenti: della rappresentatività, della disponibilità e dell’ancoraggio. Secondo loro alla base del ragionamento non ci sono complesse strategie cognitive derivanti dai principi e dalle regole della logica classica, della Teoria della probabilità e della Teoria dell’utilità attesa, bensì procedure cognitive proprie della mente, le quali si attivano in maniera automatica quando affrontiamo problemi o prendiamo decisioni. Esse non garantiscono sempre la soluzione corretta, in quanto risultano affidabili solo se applicate in ambiti di loro competenza, in caso contrario conducono a errori. Tuttavia, consentono di raggiungere risultati soddisfacenti con un minore sforzo cognitivo e con un minor numero di informazioni rispetto alle strategie cognitive della logica classica, della Teoria della probabilità e della Teoria dell’utilità attesa. Inoltre, gli esseri umani tendono istintivamente ad applicarle ogni volta che il problema affrontato ricordi quelli in cui il loro utilizzo è stato soddisfacente. I risultati delle ricerche sperimentali di Kahneman e Tversky indicano che gli esseri umani sembrano essere programmati per ricorrere automaticamente a euristiche e bias, benché spesso inaffidabili, poiché questi risultano essere connaturati alla cognizione umana. Così come il nostro sistema visivo è solitamente affidabile e, ciò nonostante, produce in certi casi illusioni ottiche, così euristiche e bias, sebbene in determinati contesti siano molto utili, producono illusioni cognitive che fanno trarre inferenze, stimare probabilità o prendere [continua ..]
C’è un rischio di fondo che sul piano comunicativo è dirimente a fronte delle decisioni, ed è quello reputazionale, perché potenzialmente può causare notevoli danni all’immagine di un’azienda. Si tratta di un asset intangibile e multidimensionale e molto difficile da prevedere, da anticipare. Innumerevoli sono le variabili da tenere sotto controllo e spesso può risultare complesso considerare e monitorare ogni singolo possibile rischio e decisione che può condurre a questo rischio sistemico. Ecco perché è importante mantenere un continuo dialogo, che presuppone innanzitutto un attento ascolto, degli stakeholder dell’azienda: azionisti, clienti, collaboratori, fornitori, ambiente, concorrenti e istituzioni. Quando la situazione economica data da questa continua e esponenziale incertezza colpisce i mercati reali e finanziari rendendoli instabili, i processi gestionali si complicano e la normativa evolvendosi e allargandosi rende ancora più difficile prendere decisione. È una situazione che metaforicamente è rappresentabile con l’Uroboro, l’immagine mitologica del serpente che mangia la sua coda e ciò ch’essa contiene, nutrendosi di se stesso. Quello a cui si assiste è che le “aziende di successo” hanno dovuto sviluppare una innovata capacità di proteggere e massimizzare le fonti di valore, materiali e immateriali, che caratterizzano il proprio modello di business, valutando e prevenendo i rischi che potenzialmente potrebbero danneggiare il perseguimento degli obiettivi prefissati. E se è vero che nel momento in cui si decide di fare impresa è inevitabile assumere dei rischi, ma prevenirli e valutare preventivamente il loro impatto sulla performance aziendale permette di assumersi tali rischi consapevolmente, arrivando preparati nel caso si verificassero, ma questo è sempre più difficile. Ogni decisione, che attualmente viene percepita come prendersi in carico un rischio, ha effetto sulla vita aziendale; prevenire, analizzare, gestire e rispondere tempestivamente agli eventi critici può salvare la reputazione e la continuità aziendale. Gestire le conseguenze di eventi imprevedibili offre, non solo alle aziende, opportunità di miglioramento traendo vantaggio dagli errori commessi in passato: le lessons learnt, soprattutto nel mondo anglosassone, sono [continua ..]