Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il quadro normativo di riferimento in ambito societario (di Maurizio Irrera, Professore Ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università degli Studi di Torino)


L’intervento analizza il quadro di riferimento in ambito societario per le fonti di finanziamento delle società a partecipazione pubblica. In tale contesto di analisi, l’autore esamina preliminarmente la fattispecie del finanziamento soci, per poi illustrarne i profili civilistici e concorsuali.

 

 

The regulatory framework in the company law field

The paper analyzes the corporate framework for the sources of financing of publicly owned companies. In this context of analysis, the author preliminarily examines the case of the shareholder loan, and then he illustrates the civil and insolvency profiles.

Keywords: company law – public participation – financing sources.

SOMMARIO:

1. I finanziamenti soci: una prima classificazione - 2. La postergazione del rimborso dei finanziamenti soci - 2.2. Le deroghe in ambito concorsuale - 3. Il divieto di assistenza finanziaria della società pubblica in crisi: profili civilistici - 3.2. Il divieto di «soccorso finanziario» e il rapporto con l’art. 21, commi 1 e 3-bis, TUSP - 3.3. Eccezioni al divieto di «soccorso finanziario»: a) ricapitalizzazione che impedisce lo scioglimento della società - 3.4. Segue. b) Società che svolgono servizi pubblici o realizzano investimenti - 3.5. Segue. c) Interventi straordinari in caso di rischio di interruzione di pubblici servizi - 4. Il finanziamento pubblico della società partecipata in bonis - NOTE


1. I finanziamenti soci: una prima classificazione

Quando si parla di finanziamento delle società, è possibile operare una prima macro-distinzione tra finanziamenti ottenuti mediante il ricorso al mercato del credito, da una parte, e supporto finanziario da parte dei soci, dall’altra. Nel presente intervento, peraltro, ci si focalizzerà esclusivamente su que­st’ultima categoria, vale a dire quella dei “prestiti” dei soci alla società (i c.d. finanziamenti soci), giacché è in tale settore che si presentano le problematiche di maggiore rilievo per le società partecipate da soci pubblici. Nell’ambito dei finanziamenti soci, peraltro, vengono fatte tradizionalmente rientrare tre diverse fattispecie, vale a dire i versamenti in conto capitale, i versamenti a copertura delle perdite e i finanziamenti dei soci in senso proprio, i cui caratteri distintivi possono essere sintetizzati come segue. I versamenti in conto capitale si risolvono in erogazioni a favore della società, che possono essere effettuati senza particolari formalismi e vanno ad accrescere il patrimonio netto, costituendo riserve di capitale; non devono prevedere obbligo di restituzione a favore del socio erogante, ma possono essere in una qualche misura restituiti mediante delibera di distribuzione delle riserve da parte dell’assemblea straordinaria. Giacché tale restituzione avviene in proporzione alla quota di capitale sottoscritta da ciascun socio, tendenzialmente anche i versamenti vengono effettuati da tutti i soci, proporzionalmente al­l’entità della rispettiva partecipazione, in modo che nessuno venga penalizzato all’atto dell’eventuale restituzione. Nulla osta, peraltro, che il versamento in conto capitale sia erogato da un solo socio, il quale peraltro non potrà aspirare ad ottenerne l’integrale restituzione, bensì solo di quella parte corrispondente alla sua quota di partecipazione societaria. Diversa è la categoria dei versamenti a copertura delle perdite, all’interno della quale, invece, vengono ricompresi sia i versamenti destinati a riserve a copertura di eventuali perdite future [1], sia quelli per coprire perdite già verificatesi (generalmente con l’obiettivo di non farle emergere nello stato patrimoniale), che dunque si «consumano» istantaneamente. Da ultimo, vi sono i finanziamenti dei soci in senso proprio, che costituiscono un [continua ..]


2. La postergazione del rimborso dei finanziamenti soci

2.1. La disciplina di cui all’art. 2467 c.c. Al fine di limitare il fenomeno della c.d. “sottocapitalizzazione nominale” [3], che si verifica allorché la società venga dotata dei mezzi necessari per lo svolgimento della propria attività (non mediante un’adeguata capitalizzazione, bensì) attraverso la concessione di finanziamenti da parte dei soci [4], l’art. 2467 c.c. – introdotto dal d.lgs. n. 6/2003 – prevede che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società in stato di tensione finanziaria sia postergato [5] rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, debba essere restituito [6]. La ratio della disposizione risiede nell’evitare il rischio che i soci finanziatori riversino il rischio di impresa – quantomeno parzialmente – sui creditori sociali, concorrendo con questi ultimi nella ripartizione dell’attivo rinveniente da eventuali procedure esecutive o concorsuali instaurate nei confronti della società [7]. Sino alla riforma operata con il d.lgs. n. 6/2003, peraltro, non esisteva alcuna norma che si occupasse di prevenire gli abusi al ricorso, da parte dei soci, dello strumento del finanziamento anziché del conferimento di mezzi propri in favore della società. Nel silenzio normativo, si era proposto, in dottrina e giurisprudenza, di riqualificare d’imperio i prestiti “sospetti” (perché sostitutivi del capitale di rischio) in versamenti in conto capitale, rendendo più rigida la disciplina della loro restituzione [8]. L’art. 2467 c.c., introdotto dal d.lgs. n. 6/2003, si pone in una prospettiva diversa rispetto a tale soluzione: i finanziamenti dei soci, in qualsiasi forma effettuati, permangono in ogni caso tali [9], ma viene mutata l’aspettativa di rimborso del socio finanziatore, il quale – qualora abbia erogato il prestito quando la società si trovava nelle condizioni previste dal comma 2 dell’art. 2467 c.c. stesso – verrà postergato agli altri creditori nel soddisfacimento del proprio credito [10]. La disposizione quindi precisa che per finanziamenti dei soci alla società si intendono quelli, in qualsiasi forma effettuati, che siano stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione [continua ..]


2.2. Le deroghe in ambito concorsuale

Nell’ambito della disciplina della crisi d’impresa, oggi contenuta nella Legge fallimentare, sino al momento dell’entrata in vigore del codice della crisi, sono disciplinate alcune figure di finanziamento soci, che – ai sensi dell’art. 111, comma 2, l. fall. – sono considerate prededucibili in quanto sorte in funzione o in esecuzione di una procedura concorsuale. Fra tali figure, a titolo esemplificativo, possono essere ricompresi i finanziamenti in esecuzione del concordato – o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti – e i c.d. finanziamenti-ponte di cui all’art. 182-quater, commi 1 e 2, l. fall.; i finanziamenti interinali e quelli urgenti di cui all’art. 182-quinquies, commi 1 e 3, l. fall.; i finanziamenti autorizzati dal tribunale nell’ambito di un procedimento di composizione negoziata della crisi, ai sensi dell’art. 10, comma 1, d.l. n. 118/2021; o, ancora, con riferimento al codice della crisi, i finanziamenti funzionali all’esercizio dell’attività aziendale fino all’omologa del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, oppure all’apertura e allo svolgimento di tali procedure, come disciplinati dall’art. 99, cod. crisi; i finanziamenti in esecuzione di un concordato o un accordo di ristrutturazione omologato, ai sensi dell’art. 101, cod. crisi. La ragione per la quale le precitate forme di finanziamento sono sottratte alla regola della postergazione, peraltro, è facilmente intuibile: si tratta, infatti, di prestiti che – lungi dallo scaricare sui creditori il rischio d’impresa – vengono concessi proprio nell’ottica di favorire il buon esito della procedura e, quindi, in definitiva, la soddisfazione dei creditori stessi [16]. E proprio in ragione di tale finalità, il legislatore – pur con alcuni limiti – ha voluto dettare una disciplina premiale che, non solo sottrae detti finanziamenti alla regola della postergazione, ma attribuisce loro il diritto di essere soddisfatti prima degli altri creditori, sovvertendo così completamente l’impostazione prevista dall’art. 2467 c.c.


3. Il divieto di assistenza finanziaria della società pubblica in crisi: profili civilistici

3.1. L’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 175/2016 s.m.i. (TUSP) Le società partecipate da enti pubblici, oltre all’art. 2467 c.c., peraltro, incontrano lo specifico limite ai finanziamenti del socio pubblico di cui all’art. 14, comma 5, TUSP, per il quale le amministrazioni «non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali». La norma vieta il c.d. «soccorso finanziario» alle società partecipate strutturalmente in perdita. La ratio del divieto è ridurre il rischio di una gestione della società a partecipazione pubblica in contrasto con i principi di economicità, efficacia ed efficienza derivanti dall’obbligo di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Obbligo che impone anche al socio pubblico di agire in aderenza alla vocazione lucrativa della società perché, se è pur vero che la partecipazione societaria deve essere funzionale al perseguimento degli scopi istituzionali dell’ente, è altrettanto vero che la stessa deve operare in un contesto di mercato e – tra l’altro – a contribuire con i propri dividendi all’equilibrio delle finanze pubbliche. Il che, evidentemente, impedisce che le finanze pubbliche vengano impiegate per sostenere imprese prive di concrete possibilità di sviluppo e redditività. Il divieto di soccorso finanziario riguarda le società che per tre esercizi consecutivi abbiano registrato perdite «di esercizio», le quali, dunque, devono essere evidenziate dal conto economico di cui all’art. 2425 c.c. [17]. Tali perdite, infatti, denotano la mancanza di capacità reddituale della società; e non assume alcun rilievo il fatto che esse non si siano tradotte in una riduzione di capitale, per la presenza di riserve in grado di assorbirle: anche la copertura delle perdite mediante riserve, infatti, è sufficiente per far operare il divieto di soccorso finanziario. La [continua ..]


3.2. Il divieto di «soccorso finanziario» e il rapporto con l’art. 21, commi 1 e 3-bis, TUSP

Il divieto di «soccorso finanziario» deve essere peraltro letto in parallelo con l’art. 21, commi 1 e 3-bis, TUSP, i quali, da un lato, impongono ai soci pubblici di società rientranti nel bilancio consolidato di Stato di accantonare nei rispettivi bilanci somme corrispondenti alle perdite cumulate da tali società, in misura proporzionale alla quota di partecipazione; dall’altro, consentono di impiegare tali somme per ripianare le perdite della società, nel rispetto dei principi e della legislazione europea in tema di aiuti di Stato: «nel caso in cui società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali comprese nell’elen­co di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, presentino un risultato di esercizio negativo, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti, che adottano la contabilità finanziaria, accantonano nell’anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione […]. Le pubbliche amministrazioni locali partecipanti possono procedere al ripiano delle perdite subite dalla società partecipata con le somme accantonate ai sensi del comma 1, nei limiti della loro quota di partecipazione e nel rispetto dei principi e della legislazione dell’Unione europea in tema di aiuti di Stato». Dunque, in tal caso sembrerebbe aversi una sorta di superamento, o comunque di completamento dell’art. 14, comma 5, TUSP, giacché sembrerebbe consentirsi una forma di assistenza finanziaria, quantomeno nei limiti dei fondi accantonati dalle amministrazioni socie delle società che rientrano nel bilancio consolidato di Stato.


3.3. Eccezioni al divieto di «soccorso finanziario»: a) ricapitalizzazione che impedisce lo scioglimento della società

Oltre a quella prevista per i contributi diretti a banche e società quotate, il divieto di «soccorso finanziario» incontra tre importanti eccezioni. Innanzitutto, la legge consente la partecipazione ad operazioni di aumento di capitale ove si ricada nelle fattispecie di cui agli artt. 2447 e 2482-ter c.c., vale a dire perdita del capitale oltre un terzo o sua riduzione al di sotto del minimo legale [18]. Va peraltro rilevato come in tal caso il socio pubblico possa, ma non sia in alcun modo obbligato a sottoscrivere l’aumento [19], anche perché, per certi versi, l’obbligo si porrebbe in contraddizione con il divieto di soccorso finanziario, che preclude al socio l’intervento per fattispecie certamente meno gravi rispetto a quelle che presuppongono l’obbligo di ricapitalizzazione della società che pertanto si può ragionevolmente ritenere vada effettuato solo nel caso in cui il socio pubblico ritenga che, grazie all’aumento, la società sia in grado di recuperare la propria redditività. Diversamente, sebbene autorizzato dalla legge, l’intervento potrebbe comunque sembrare elusivo del divieto generale di soccorso finanziario dell’impresa in stato di perdita strutturale. In altri termini, considerato che la ratio dell’art. 14, comma 5, TUSP è di evitare la dispersione di risorse pubbliche, l’eccezione potrà operare alle seguenti condizioni: i) sia funzionale a salvaguardare il valore della partecipazione, che verrebbe compromesso dalla liquidazione; ii) il socio pubblico abbia ricevuto dagli amministratori un’illustrazione sulle prospettive societarie, tale da consentirgli ogni valutazione in merito alle finalità di salvaguardia della ricapitalizzazione; iii) l’operazione sia sorretta da un business plan adeguato, ai sensi dell’art. 14, commi 2 e 4, TUSP [20], da cui risulti che il valore della partecipazione in caso di continuità aziendale sia superiore a quello ricavabile in caso di liquidazione della società [21]. Nella eventuale sottoscrizione del capitale si dovrà altresì tenere conto del comportamento degli altri soci: infatti, laddove un socio pubblico – mediante versamenti spontanei – coprisse anche le perdite di altri soci, vi sarebbe un illegittimo trasferimento di risorse pubbliche a favore di terzi. Tuttavia, in caso di indisponibilità [continua ..]


3.4. Segue. b) Società che svolgono servizi pubblici o realizzano investimenti

La seconda eccezione al divieto di soccorso finanziario riguarda «i trasferimenti straordinari», a favore di società in stato di perdita strutturale da almeno tre esercizi, «a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei Conti con le modalità di cui all’articolo 5, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni». Non è chiaro se la convenzione o il contratto debba preesistere oppure possa essere stipulata ex novo successivamente al sorgere della crisi della società e in funzione del suo superamento. Rientrano nell’eccezione eventuali modifiche in senso meno gravoso di contratti o convenzioni preesistenti, onde consentire il risanamento della società. Consentendo «trasferimenti straordinari» il legislatore ha inteso autorizzare qualsiasi forma di sostegno, sia di carattere patrimoniale (aumenti di capitale, versamenti in conto capitale, ecc.), sia di carattere finanziario, che non costituisca un adempimento di precedente obbligo. Perché l’eccezione operi è necessario che gli amministratori predispongano un piano di risanamento che preveda il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni: si tratta, in altri termini, di un piano di azioni coordinate che consentano alla società di raggiungere un normale esercizio dell’impresa. Il piano deve essere approvato dall’autorità di regolazione di settore (ove esistente) e deve essere comunicato alla Corte dei Conti, con le modalità di cui all’art. 5 TUSP [23]. Devono essere stati stipulati una convenzione o un contratto di servizio o di programma relativi allo svolgimento dei servizi di pubblico interesse o alla realizzazione di investimenti.


3.5. Segue. c) Interventi straordinari in caso di rischio di interruzione di pubblici servizi

Da ultimo, il «soccorso finanziario» è consentito «al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità». In tal caso l’intervento può prescindere dalla valutazione di economicità (richiesta per l’operare delle altre eccezioni) perché sono superiori gli interessi da preservare. Affinché operi l’eccezione, tuttavia, l’amministrazione socia deve chiedere l’autorizzazione ad intervenire al Presidente del Consiglio dei ministri, che decide con decreto adottato su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti, soggetto a registrazione della Corte dei Conti. Si è peraltro osservato che la richiesta di un procedimento così articolato, connessa alle note lungaggini procedurali, potrebbe vanificare la tempestività dell’intervento del socio.


4. Il finanziamento pubblico della società partecipata in bonis

Tanto premesso in ordine ai limiti che contraddistinguono i limiti all’inter­vento dei soci pubblici in società in difficoltà è possibile esaminare se ricorrano limitazioni anche alle possibilità di finanziare o effettuare versamenti a fondo perduto a favore di società in stato di regolare funzionamento. Senza soffermarsi sui principi ricavabili dagli artt. 12, l. n. 241/1990 (per il quale la concessione di vantaggi economici a favore di soggetti pubblici e privati è subordinata alla predeterminazione dei criteri e delle modalità a cui le amministrazioni si debbono attenere), nonché dall’art. 194, d.lgs. n. 267/2000 (per il quale sono legittimi i debiti fuori bilancio contratti dagli enti locali per: copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio ed il disavanzo derivi da fatti di gestione; ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali), dalla giurisprudenza contabile è possibile ricavare alcuni principi. Il primo è che il socio pubblico deve poter esercitare finalità istituzionali dell’ente per il tramite della società, non rilevando perciò le società in cui il soggetto pubblico detenga solo una quota di minoranza e non sia in grado di influire – neppure in forza di vincoli parasociali – sulle scelte gestorie della società [24]; dunque, affinché il finanziamento sia consentito, al socio pubblico devono essere consentite forme di gestione (o co-gestione) e controllo della società. In secondo luogo, si è precisato che l’ente pubblico può utilizzare lo strumento dell’indebitamento nell’ambito della propria attività amministrativa, purché esso sia finalizzato a coprire spese da cui derivi un aumento di valore del patrimonio immobiliare e mobiliare [25], e quindi anche per il finanziamento di società di cui sia azionista [26]. Dal che deriva che l’eventuale prestito dovrà essere sotteso a far conseguire maggior valore alla società a favore del quale sia stato erogato, non potendosi risolvere in una mera [continua ..]


NOTE