Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Infezione da SARS-CoV-2 contratta dal lavoratore e responsabilità civile del datore di lavoro (di Cecilia Benedetta Magliona, Dottore in giurisprudenza)


Il saggio analizza i riflessi della vigente disciplina sulla responsabilità civile del datore di lavoro, avuto riguardo ai casi di infezione da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro. In tale prospettiva di analisi, l’autore – dopo aver analizzato l’andamento epidemiologico – prende in rassegna la normativa emergenziale, con particolare riferimento alle disposizioni che hanno avuto ad oggetto il mondo del lavoro. Da ultimo, a partire dal dato legislativo, il saggio affronta gli eventuali profili di responsabilità del datore di lavoro, fornendo utili spunti conclusivi.

 

SARS-CoV-2 infection contracted by the worker and civil liability of the employer

The essay analyzes the effects of the current regulations on the employer’s civil liability, having regard to cases of SARS-CoV-2 infection at work. In this perspective of analysis, the author – after analyzing the epidemiological trend – illustrates the emergency legislation, with particular reference to the provisions concerning the world of work. Lastly, starting from the legislative framework, the essay addresses any employer responsibility profiles, providing useful conclusive insights.

Keywords: SARS-CoV-2 – civil liability – employer.

   

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SOMMARIO:

Extended abstract - 1. La pandemia Covid-19 in Italia - 2. La normativa emergenziale in tempi di pandemia Covid-19: aspetti giuslavoristici - 3. L’infezione da SARS-CoV-2 come infortunio sul lavoro ai sensi dell’art. 42, comma 2, del d.l. n. 18/2020 - 4. La responsabilità civile del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. - 5. Il concorso colposo del lavoratore - 6. Spunti conclusivi, alla luce dell’attuale quadro epidemiologico - NOTE


Extended abstract

Il presente lavoro muove da una breve analisi dell’andamento epidemiologico dell’infezione da SARS-CoV-2 nel nostro Paese per poi prendere in rassegna la normativa emergenziale che ha accompagnato lo sviluppo della pandemia, con particolare riferimento alle disposizioni che hanno avuto ad oggetto il mondo del lavoro. Tra queste, di particolare interesse risulta la previsione di cui all’art. 42, comma 2, del d.l. 18/2020, che equipara i «casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro» all’infortunio sul lavoro tutelato dall’INAIL. Vengono quindi analizzati i riflessi della vigente disciplina sulla responsabilità civile del datore di lavoro. Infatti, se è vero che con Nota del 15 maggio 2020 lo stesso Istituto ha precisato che «il riconoscimento della tutela infortunistica» non «rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso», è ragionevolmente prevedibile che il lavoratore o i suoi eredi possano agire nel confronti del datore di lavoro per ottenere il danno che esula ab origine dalla copertura assicurativa INAIL (c.d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo, come il biologico temporaneo, il biologico in franchigia (fino al 5%) il patrimoniale in franchigia (fino al 15%), il morale ed i pregiudizi esistenziali, il danno tanatologico o da morte iure proprio e iure successionis, la personalizzazione o le ricadute soggettive del danno biologico). In questo contesto, l’art. 29-bis della legge 5 giugno 2020, n. 40 (conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23), dispone come i datori di lavoro pubblici e privati adempiano all’obbligo di tutela della salute e sicurezza sul lavoro ex art. 2087 c.c. mediante l’applicazione, l’adozione e il mantenimento delle prescrizioni e delle misure contenute nel Protocollo condiviso dal Governo e le parti sociali il 24 aprile 2020 (e successive modifiche e integrazioni) e degli altri protocolli e linee guida di cui all’art. 1, comma 14, d.l. n. 33/2020, precisando inoltre che, qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali [continua ..]


1. La pandemia Covid-19 in Italia

La curva epidemica di Covid-19 (acronimo in lingua inglese di COrona VIrus Disease 19) in Italia, da febbraio 2020 a settembre 2021, è stata caratterizzata da tre successive “ondate”, per un totale (dati aggiornati al 13 settembre 2021) di oltre 4.600.000 casi, con quasi 130.000 decessi e – in alcune fasi – un livello di saturazione del sistema sanitario che ne ha messo a dura prova la tenuta e che ha in parte impedito l’erogazione di prestazioni sanitarie anche urgenti per patologie gravi. Dopo la segnalazione all’Organizzazione Mondiale della Sanità, in data 31 dicembre 2019, di un cluster di casi di polmonite ad eziologia ignota nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, e l’identificazione, in data 10 gennaio 2020, dell’agente eziologico (SARS-CoV-2), la “prima ondata” ha travolto l’Italia, primo Paese in Europa, nel marzo-aprile del 2020, facendo registrare un picco di circa 5.000 casi giornalieri, in particolare nelle regioni dell’Italia settentrionale. Si è quindi assistito ad un calo del numero di contagi durante l’estate del 2020, anche per effetto delle misure di lockdown adottate nei mesi precedenti, cui ha fatto seguito, dal settembre dello stesso anno, una “seconda ondata”, con un picco di oltre 30.000 casi giornalieri a fine ottobre. Dopo un periodo di sostanziale stabilizzazione del numero dei casi (circa 5.000 casi giornalieri), protrattosi fino a febbraio 2021, si è manifestata nel nostro Paese una “terza ondata”, caratterizzata da un progressivo aumento dei contagi (con un picco nel marzo 2021 di 30.000 casi giornalieri). Nei mesi successivi, anche grazie al progressivo incremento della campagna vaccinale, si è assistito ad un declino della curva epidemica, che ha condotto a 500-1.000 casi giornalieri alla fine di giugno. Nonostante la crescente copertura vaccinale di ampie fasce della popolazione, nel luglio 2021 si è avuto un nuovo incremento dei casi giornalieri, dovuto in particolare al diffondersi della c.d. variante delta (inizialmente denominata “indiana”), a causa, da un lato, della contagiosità nettamente maggiore di tale variante rispetto alla variante alfa (o “inglese”), in precedenza prevalente, e, dall’altro lato, della probabile minore efficacia dei vaccini attualmente in commercio nei confronti della nuova variante. [continua ..]


2. La normativa emergenziale in tempi di pandemia Covid-19: aspetti giuslavoristici

Il 31 gennaio 2020, visto il d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, e in particolare gli artt. 7, comma 1, lett. c), e 24, comma 1, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale connesso al rischio sanitario derivante dall’in­sorgere di patologie causate da agenti virali trasmissibili. Pressoché contemporaneamente, come è stato sottolineato in dottrina, «si è attivato un sistema di produzione di regole dai caratteri peculiari e destinato a incidere sull’intero ordinamento», che ha portato allo stratificarsi di una vera e propria normativa emergenziale, scandita dal susseguirsi di provvedimenti caratterizzati anche da implicazioni giuslavoristiche di significativo rilievo [1]. Si pensi, a mero titolo di esempio, all’art. 2, comma 1, lett. r), d.P.C.M. 8 marzo 2020, che ha attribuito ai datori di lavoro la facoltà di convertire, con un provvedimento unilaterale temporaneo, in parziale deroga alle disposizioni di cui alla legge n. 81/2017, la modalità ordinaria di esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile [2]; alla sospensione dei licenziamenti economici prevista dall’art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 [3], con contestuale concessione degli ammortizzatori sociali necessari ad evitare il fallimento delle imprese [4]; agli interventi, in un difficile equilibrio tra la «necessità di un intervento rapido ed efficace» e il rischio di una «deriva assistenziale» [5], sulla disciplina degli ammortizzatori sociali, da ultimo integrata dalla legge 23 luglio 2021, n. 106 recante la “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all’emergenza da Covid-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”; all’accelerazione nel senso della progressiva digitalizzazione dei processi di gestione delle controversie, a livello sia stragiudiziale sia giudiziale [6].


3. L’infezione da SARS-CoV-2 come infortunio sul lavoro ai sensi dell’art. 42, comma 2, del d.l. n. 18/2020

Di particolare interesse sotto il profilo giuslavoristico risulta, nel novero dei provvedimenti emergenziali che hanno scandito l’andamento dell’epide­mia, la previsione di cui all’art. 42, comma 2, del d.l. n. 18/2020 (convertito in legge n. 27/2020), che ha equiparato i «casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro» all’infortunio sul lavoro tutelato dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro. Tuttavia, l’equiparazione tra infezione da SARS-CoV-2 ed infortunio sul lavoro ha destato notevole apprensione nel mondo datoriale, anche per l’im­patto in termini numerici della fattispecie in oggetto [7], apprensione che i chiarimenti successivamente forniti dall’Istituto assicuratore con circolare n. 13 del 3 aprile 2020 non hanno certo valso a dissipare. Tale circolare, infatti, precisava come – nel contesto pandemico in cui era stato approvato il d.l. n. 18/2020 – l’ambito della tutela interessasse primariamente gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico, sussistendo di fatto per tale categoria di soggetti una presunzione semplice di origine professionale, considerata l’elevata probabilità che gli operatori sanitari potessero venire a contatto con il nuovo Coronavirus [8]. Peraltro, non solo riconduceva ad una condizione di elevato rischio di contagio tutte le attività lavorative connotate da un costante contatto con il pubblico/utenza, per le quali quindi vigeva – non diversamente dall’ambito sanitario – il principio della presunzione semplice, ma di fatto estendeva la «tutela assicurativa (…) anche alle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica», fermo restando che «ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si può comunque presumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro elemento che in tal senso deponga, l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale». A dissipare, almeno parzialmente, la preoccupazione [continua ..]


4. La responsabilità civile del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.

Nel nostro ordinamento il testo fondamentale in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è rappresentato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Tale disciplina speciale si coordina con la norma generale di cui all’art. 2087 c.c., rubricato “Tutela delle condizioni di lavoro”, che impone al datore di lavoro di «adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». L’art. 2087 è considerato “nor­ma di chiusura” del sistema prevenzionistico per un duplice ordine di ragioni: la capacità della norma di colmare le lacune della disciplina speciale e l’espli­cito riferimento del dovere posto in capo al datore di lavoro di adottare tutte le misure che in concreto si rendono necessarie per la tutela del lavoro in base all’esperienza e alla tecnica; come è stato sottolineato in dottrina, «non solo dunque regole d’esperienza e regole tecniche preesistenti e già collaudate, ma anche tutte quelle misure e cautele, c.d. innominate, che si rendano indispensabili in un determinato momento storico, in base alle conoscenze scientifiche e delle tecnologie disponibili» [13]. È pertanto dalla interazione tra disciplina speciale e norma generale che discende la configurazione dell’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro [14], in quanto la norma generale orienta le norme speciali verso la proiezione finalistica rappresentata dalla tutela della persona, mentre le norme speciali altro non sono che «la parcellizzazione del principio o dell’obbligo generale di sicurezza che si ricava dall’art. 2087 c.c.» [15]. Tuttavia, se da un lato è vero che l’art. 2087 c.c. pone in capo al datore di lavoro il dovere di «predisporre un ambiente e un’organizzazione di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute» anche attraverso «una continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica» in ragione del «complesso dei rischi e pericoli che caratterizzano la specifica attività lavorativa», dall’altro lato è del pari vero che la responsabilità del datore di lavoro non può [continua ..]


5. Il concorso colposo del lavoratore

Proprio in considerazione delle modalità di diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, le eventuali inadempienze del lavoratore nei confronti degli obblighi imposti dalla disciplina in materia di sicurezza rappresentano una questione di assoluto rilievo, alla quale è sottesa la «questione più generale del concorso del lavoratore nella causazione di un infortunio, che costituisce, probabilmente, l’ambito in cui si riscontrano le maggiori criticità in ordine alla delimitazione delle responsabilità datoriali» [25]. Secondo un consolidato orientamento, la condotta negligente del lavoratore o anche una sua colposa omissione non consente in ogni caso l’applicazione del concetto di “rischio elettivo” [26], che solo vale ad escludere la responsabilità datoriale, trovando applicazione – nel caso di comportamenti colposi del lavoratore – l’art. 1227, comma 1, c.c., fermo restando che «la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qualvolta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell’evento dannoso» [27]. Ciò che preme qui analizzare è, in particolare, la questione della vaccinazione [28] nei luoghi di lavoro ovvero se, all’interno di un «più generale contesto normativo emergenziale nel quale i diritti di libertà del singolo trovano una notevolissima compressione in un’ottica di tutela collettiva» [29], l’immunizza­zione del lavoratore si ponga «quale obbligo di sicurezza datoriale, che si esplica, a sua volta, nelle relative misure di prevenzione anti-contagio, nei relativi obblighi in prevenzione del lavoratore fino ad arrivare a toccare le norme civilistiche» [30]. Una parte della dottrina [31] ha affermato la sussistenza di un obbligo del datore di lavoro di richiedere la vaccinazione del lavoratore muovendo dal combinato disposto dell’art. 2087 c.c. con alcune disposizioni del d.lgs. n. 81/2008, facendo derivare l’obbligatorietà della vaccinazione dall’obbligo di sicurezza contemplato dall’art. 2087 c.c. e di fatto – quasi ribaltando i termini della questione – ponendo in rilievo non tanto il «versante dei confini [continua ..]


6. Spunti conclusivi, alla luce dell’attuale quadro epidemiologico

L’ampia copertura vaccinale ormai raggiunta in Italia [39], il prevedibile ulteriore aumento della percentuale di soggetti vaccinati in conseguenza dell’ap­proccio privilegiato da parte del Legislatore e che ha fatto dell’avvenuta vaccinazione, certificata tramite il cosiddetto green pass, un requisito necessario per legittimare lo svolgimento della prestazione lavorativa, l’orientamento delle Autorità regolatorie a favore di una terza dose di vaccino, rendono lecito presumere che in un futuro prossimo l’infezione da SARS-CoV-2 possa perdere la connotazione pandemica per assumere, auspicabilmente, quella endemica, anche se ogni previsione in questo senso – considerata la dimensione comunque globale del fenomeno e la possibile insorgenza di nuove e più virulente varianti – resta inevitabilmente connotata da grande incertezza. Allo stesso modo, e per le stesse ragioni, non è possibile prevedere quali delle misure che hanno scandito l’andamento della pandemia e che hanno investito anche il mondo del lavoro eventualmente potranno superare il limite temporale dell’emergenza sanitaria, che è ad oggi fissato al 31 dicembre 2021. Resta imprescindibile la necessità di contemperare la ripresa delle attività produttive con le istanze di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori, necessità che ovviamente il mutare del contesto epidemiologico non fa venir meno. Come l’analisi della fattispecie particolare rappresentata dall’infortunio sul lavoro per infezione da SARS-CoV-2 dimostra, l’esigenza – legittimamente avvertita da parte del mondo datoriale – di tracciare un perimetro quanto più possibile definito della responsabilità civile del datore di lavoro deve trovare un’armonizzazione con l’esigenza – altrettanto legittima – di tutela della salute del lavoratore, nella consapevolezza che non si può pretendere, nella fase in cui, abbandonata l’emergenza, si arriverà ad una “convivenza” con il virus, che «il luogo di lavoro sia totalmente estraneo e riparato» dal rischio di contagio, quasi a pretendere quel lavoro a “rischio zero” il cui onere, secondo la giurisprudenza di legittimità, non può essere accollato al datore di lavoro [40]. Il sistema di tutela della salute del lavoratore predisposto dal nostro [continua ..]


NOTE