Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Notazioni critiche sulla rappresentazione dell'alea nei piani di superamento della crisi d'impresa e sul professionista attestatore (di Daniele Gasbarro, Cultore di “Ristrutturazione delle imprese” – Università La Sapienza. Cultore di “Analisi finanziaria” – Università di Tor Vergata. Dottore Commercialista in Roma – Revisore legale)


Il saggio offre un’approfondita trattazione dei piani di superamento della crisi d’impresa e del ruolo del professionista attestatore. In tale prospettiva di analisi, preliminarmente, l’autore illustra la fattibilità di tali piani da una prospettiva sia giuridica, sia economico aziendale, per poi soffermarsi sulla rappresentazione dell’alea e su un possibile modello applicativo. Da ultimo, alla luce degli strumenti illustrati, l’autore fornisce alcune riflessioni, avuto particolare riguardo al professionista attestatore.

Critical considerations on the representation of the hazard in the plans to overcome the business crisis and on the professional attester

The essay offers an in-depth discussion of the plans for overcoming the business crisis and the role of the professional attester. In this perspective of analysis, first, the author illustrates the feasibility of these plans from both a legal and business economic perspective, and then focuses on the representation of the risk and on a possible application model. At the end, in the light of the tools illustrated, the author provides some reflections, with particular regard to the attesting professional.

Keywords: business crisis – professional attester – risk

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La fattibilità dei piani da una prospettiva giuridica - 3. La fattibilità dei piani da una prospettiva economico aziendale e un possibile modello applicativo per la rappresentazione dell’alea - 4. Brevi riflessioni sul professionista attestatore - 5. Conclusioni - Nota bibliografica - NOTE


1. Introduzione

I percorsi di risanamento della crisi aziendale rappresentano tentativi o strumenti d’elezione nell’attuale contesto normativo. È noto, infatti, che il perimetro della liquidazione è stato costantemente eroso dalle riforme della disciplina della regolazione della crisi. Questa sorta di fenomeno carsico che ha investito il capostipite fallimentare era ed è chiaramente rintracciabile già nella legge fallimentare. Ma ha beneficiato di un’ulteriore accelerazione nella novellata disciplina del Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII). Vi è stata una chiara scelta di politica legislativa di ordine sovranazionale, quale elemento armonizzatore delle discipline domestiche. Ma è ragionevole ipotizzare che i tentativi risanamento aziendale conosceranno una fase di sviluppo nel prossimo futuro, a causa della avversa contingenza internazionale dovuta alla pandemia che imperversa da quasi due anni. I tentativi di risanamento o, più precisamente, di sistemazione della crisi, si estrinsecano, sotto il profilo operativo, nella c.d. pianificazione. Questa consiste, già a livello ermeneutico, nella formulazione di un piano che si estende su un certo periodo di tempo. È necessario premettere, sin dall’esordio di questo scritto, che la summenzionata pianificazione è tipica delle procedure conservative dell’impresa, nelle quali trova la sua più fulgida manifestazione. Ma ha cittadinanza anche nella liquidazione fallimentare e concordataria: si pensi, rispettivamente, al programma di liquidazione e al piano sotteso a un concordato preventivo liquidatorio [1]. La pianificazione della crisi, secondo un’ampia accezione data la sua natura multiforme, ha goduto della spinta di due motori propulsivi di natura esogena rappresentati, per l’appunto, dalle scelte di politica legislativa e dalla congiuntura internazionale. Queste premesse dovrebbero legittimare l’opportunità di un breve intervento sul giudizio di fattibilità economica e, più precisamente, sulla rappresentazione dell’alea insita in ogni strumento di pianificazione della crisi aziendale. Tema che appare quanto mai di stretta attualità, e che verrà affrontato da una prospettiva giuridica con evidenti angolazioni economico-aziendali. La valvola di sfogo di questo scritto dovrebbe essere l’evidenziazione della necessaria centralità [continua ..]


2. La fattibilità dei piani da una prospettiva giuridica

I piani sottesi ai vari istituti di superamento della crisi, tanto di natura giudiziale quanto stragiudiziale, postulano, come è noto, la formulazione di un giudizio, da parte del professionista attestatore, sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità economica dei piani medesimi [2]. L’oggetto di questo paragrafo verterà proprio su quest’ultimo aspetto, senza entrare nel nutrito dibattito sull’ampiezza perimetrale del giudizio di fattibilità. S’impongono, tuttavia, preliminari osservazioni di natura teleologica o finalistica relative, per l’appunto, al concetto di fattibilità economica e al ruolo dell’attestatore. Il primo consta nella valutazione della capacità del piano di adempiere le funzioni previste dalla legge per l’istituto cui il piano stesso è sotteso. La fattibilità economica, pertanto, consisterebbe nella compatibilità tra il piano proposto dal debitore e l’istituto normativo all’interno del quale si innesta il piano stesso. Ne deriverebbe l’esistenza di un nesso inscindibile tra la fattibilità economica del piano e causa concreta della proposta innestata in un certo istituto. Va da sé che la fattibilità economica dovrebbe essere osservata e valutata da un’angolatura funzionale [3]. Il ruolo del professionista attestatore, con riferimento al secondo aspetto, si palesa, sin dal debutto di questo paragrafo, di particolare delicatezza. Egli deve valutare criticamente, sia consentito l’anglicismo, secondo un approccio top down, la strategia formulata nel piano di sistemazione della crisi e gli interventi operativi che ne dispongono l’attuazione concreta [4]. Le conclusioni del professionista devono essere coerenti con le ipotesi formulate nel piano e devono essere basate su un robusto processo argomentativo. Ciò che appare più rilevante è proprio il dispiegamento di un adeguato percorso di argomentazione, chiaro e lineare, tale da consentire poi ai creditori la consapevole valutazione della fattibilità economica della proposta. È proprio questo uno degli aspetti più rilevanti della nota Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, che rappresenta una sorta di portolano per tutti gli operatori del settore. Il condensato di queste osservazioni finalistiche consta, pertanto, nella valutazione critica e [continua ..]


3. La fattibilità dei piani da una prospettiva economico aziendale e un possibile modello applicativo per la rappresentazione dell’alea

La valutazione della robustezza e della stabilità delle assunzioni del piano devono essere necessariamente sottoposte a valutazioni dinamiche, per indentificare gli scenari che potrebbero verificarsi nel corso dell’attuazione del percorso di risanamento. A tal proposito il professionista attestatore deve simulare la variazione delle fonti dell’attivo, sì da poter formulare, per l’appunto, diversi scenari costituenti il ventaglio informativo a disposizione dei creditori. Bisogna distinguere, pertanto, le analisi di sensitività dalle prove di resistenza a cui sono sottoposti i piani di superamento (rectius, di sistemazione) della crisi aziendale [13]. Se le prime hanno un intervallo di variazione più ampio, perché contemplano ipotesi migliorative e peggiorative, le seconde hanno lo scopo di saggiare la persistenza delle ipotesi originarie, contenute nel piano, al verificarsi di sole ipotesi negative. I c.d. stress test rappresentano una sorta di elemento, per così dire, provocativo del modello proposto o, che dir si voglia, una prova di resistenza per verificare fin dove è possibile rispettare le condizioni prospettate originariamente ai creditori [14]. È un metodo di indagine ampiamente diffuso anche in altri ambiti, molto distanti dalla scienza economico-aziendale. È possibile, pertanto, sostenere che le prove di resistenza sono una derivazione delle analisi di sensitività, in una sorta di rapporto di contenuto a contenitore. È chiaro che tanto maggiore è la capacità di tenuta (o margine di sicurezza) del piano, tanto più elevata è la fattibilità economica. Si può immaginare un intervallo i cui estremi sono rappresentati l’uno dalla condizione originaria o di base offerta ai creditori (c.d. valutazione as is) e l’altro dal limite massimo di sopportazione delle condizioni peggiorative, ossia dal punto in cui ulteriori variazioni negative non consentirebbero più di adempiere la proposta formulata ai creditori. La fattibilità economica si collocherebbe proprio in questo intervallo, che rappresenterebbe il campo di esi­stenza della funzione. Questo, pertanto, oscilla in uno spazio che corrisponde all’ampiezza delle variazioni (negative) ammesse per adempiere la proposta offerta ai creditori. Da queste premesse è possibile fornire una lettura tecnico-operativa del [continua ..]


4. Brevi riflessioni sul professionista attestatore

La ridefinizione dei rapporti di forza tra l’estinzione e il risanamento dell’impresa affonda le proprie radici già nel lontano 2005, allorquando l’ordi­namento della crisi è stato attraversato longitudinalmente dall’innesto di istituti finalizzati alla conservazione dell’impresa. Non è questa, evidentemente, la sede idonea a sviluppare un ragionamento sulle ragioni ispiratrici di quello che, illo tempore, appariva un cambio di paradigma nella gestione delle crisi aziendali. Questa scelta di politica legislativa, di matrice sovranazionale, ha avuto effetti bidirezionali: da un canto ha impresso un’accelerazione decisiva allo sviluppo dei piani di superamento delle crisi; dall’altro ha cagionato l’ar­retramento dei pubblici poteri, cui ha fatto da contraltare l’emersione del c.d. professionista attestatore. Questo è, evidentemente, il fulcro attorno al quale ruota la gestione della crisi in ottica conservativa, tanto in ambito concorsuale (es. concordato preventivo), quanto in ambito (para)concorsuale (accordi di ristrutturazione dei debiti) e privatistico (piani attestati di risanamento) [24]. Il professionista, alla luce di quanto precede, fungerebbe da elemento equilibratore dell’asse privatistico che attraversa longitudinalmente l’ordinamento della crisi d’impresa. E gli estremi di tale asse sarebbero gli istituti del concordato preventivo (in cui è ancora rilevante il ruolo dell’Autorità giudiziaria) e del piano attestato di risanamento (che esalta l’autonomia privata); in una posizione intermedia si collocherebbero gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. e le relative varianti [25]. La relazione rilasciata dal professionista attestatore, come è noto, consta nella verifica della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano. Il legislatore ha tentato di erigere un argine contro il rilascio di attestazioni caratterizzate da informazioni false ovvero dall’omissione di informazioni rilevanti, con l’innesto del delitto di falso in attestazione ex art. 236-bis l. fall. Tale delitto contro la pubblica fede, si badi, sussisterebbe non solo con riguardo alla veridicità dei dati aziendali, ma anche con riferimento alla fattibilità del piano sebbene in tale giudizio sia insita un’alea insopprimibile [26]. Ma questa, [continua ..]


5. Conclusioni

È noto che il legislatore, già nelle riforme del 2005-2007 e del 2012, aveva impresso una forte accelerazione alla salvaguardia della continuità aziendale in luogo della sua rimozione. E di conseguenza la pianificazione ampliava il suo spazio perimetrale a scapito della liquidazione, tipica del capostipite fallimentare, ridisegnando la cartografia della regolazione della crisi. Questa scelta di politica legislativa, tra gli altri effetti, ha fatto emergere la figura del professionista attestatore, che rappresenta il fulcro attorno al quale ruota la gestione conservativa dell’impresa. La tutela della continuità aziendale, talvolta esasperata, non dovrebbe far perdere di vista il fine verticistico del diritto della regolazione della crisi che, com’è noto, consta nella tutela dei creditori. E questa deve restare, nel solco della tradizione civilistica e concorsuale domestica, la rotta da seguire nel­l’ambito di qualsiasi intervento riformatore della disciplina. In questa rinnovata geografia della crisi sarebbe opportuno fissare dei punti cardinali, di cui il più rilevante resta sempre la tutela dei creditori. Su questi è stato evidentemente traslato il rischio di insuccesso dei piani di superamento della crisi. Sul punto si sono levate autorevoli voci preoccupate dal riposizionamento degli obiettivi delle riforme ormai intervenute a ritmi incessanti. E ne avevano ben donde, secondo l’umile parere di chi scrive. V’è da dire, però, che anche il debitore è stato gravato da stringenti controlli sulla gestione dell’impresa. Questa sorta di parossismo normativo – che nel CCII avrebbe trovato il suo fulgore – rischia di smorzare il principio della responsabilità patrimoniale del debitore e, specularmente, di affievolire la forza normativa del diritto di credito. Il rischio insito in ogni tentativo di risanamento, o comunque alternativo alla liquidazione, sarebbe stato traslato precipuamente sui creditori [33]. L’ordi­namento avrebbe necessitato, pertanto, di interventi coordinati e armonici, per così dire a raggiera, sì da poter tenere conto di tutti gli effetti derivanti da un cambio di paradigma normativo. Su questo terreno concettuale potrebbe essere innestata la proposta di rivisitazione della figura dell’attestatore, proprio in un’ottica di rafforzamento del principio cardine di tutela del [continua ..]


Nota bibliografica

Aiello M., Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti bancari vs concordato preventivo, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, Bologna, 2017. Amatore R., Il programma di liquidazione nel fallimento, Milano, 2012. Ambrosini S., Il nuovo concordato preventivo: “finalità”, “presupposti” e controllo sulla fattibilità del piano (con qualche considerazione di carattere generale), in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 25 febbraio 2019. Ambrosini S., Nota a Cass. 18.01.2018 n. 1182, in osservatoriooci.org. Ambrosini S., Brevi note sul soddisfacimento minimo dei creditori nel concordato preventivo, fra “causa concreta” e giudizio di convenienza (considerazioni de jure condito et condendo), in Crisi d’impresa e Insolvenza, 14 febbraio 2019. Ambrosini S., Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza, in Fall., 2011. Ambrosini S.-Aiello M., I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 11 giugno 2014. Balestra L., Brevi riflessioni sulla fattibilità del piano concordatario: sulla pertinenza del richiamo da parte delle sezioni unite alla causa in concreto, in Corr. giur., 2013. Bianchi I., Il piano attestato di risanamento previsto dall’art. 67, comma 3, lett. d) della legge fallimentare, in Nuovo dir. soc., 5/2015. Burigo F., Il piano attestato di risanamento: uno strumento di risoluzione della crisi finanziaria d’impresa tuttora efficace, in Ricerche giuridiche, 2/2016. Capozzi C., La verifica sulla fattibilità del piano nel concordato preventivo. valutazione sistematica delle caratteristiche, dei costi e dei possibili risultati, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 23 giugno 2021. Ciervo G., Il giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo nella recente giurisprudenza della Suprema Corte, in Nuovo dir. soc., 3/2015. Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dalla Fondazione Nazionale Commercialisti, Principi di attestazione dei piani di risanamento, 2020. Costa C., Il controllo di fattibilità del concordato preventivo tra vecchia disciplina e nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Riv. dir. fall., 2/2020. De Sensi V., Orientamenti comunitari ed evoluzione della disciplina italiana della crisi d’impresa, in Dir. [continua ..]


NOTE