Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Pianificazione, controllo, modelli di governance e modelli organizzativi nella prospettiva della crisi d´impresa (di Stefano A. Cerrato, Professore Ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università degli Studi di Torino – Avvocato in Torino)


Il saggio analizza i nuovi strumenti di rilevazione precoce della crisi, gli assetti e i doveri di controllo nell’ambito della crisi d’impresa. Il tema di questo scritto si inserisce, quindi, in un panorama innovativo, cd. new deal concorsuale. In tale prospettiva di analisi, l’autore approfondisce le persistenze e le novità nel Codice della crisi, il diritto concorsuale e il concetto di crisi d’impresa.

Planning, control, governance models and organizational models in the perspective of the business crisis

The essay analyzes the new early crisis tools, structures and control duties within the context of the business crisis. Therefore, the theme of this essay is part of an innovative panorama, so-called new insolvency deal. In this perspective of analysis, the author explores the persistence and news in the Crisis Code, insolvency law and the concept of business crisis.

Keywords: business crisis – new insolvency deal – Crisis Code

SOMMARIO:

1. Persistenze e novità nel Codice della crisi - 2. La “piramide rovesciata” del diritto concorsuale - 3. Quale “crisi”? - 4. Gli assetti organizzativi - 5. Il perimetro soggettivo del dovere di cui all’art. 2086 c.c. - 6. Il concetto di assetti e la loro costruzione sartoriale - 7. Assetti e allerta: un dialogo asimmetrico - 8. La competenza ad adottare gli assetti - 9. Assetti e business judgement rule - 10. Le prospettive - Nota bibliografica


1. Persistenze e novità nel Codice della crisi

Il tema di questo scritto si inserisce in un panorama innovativo – un “new deal” concorsuale – in cui il legislatore vorrebbe farci iniziare a operare. Questo cambio di paradigma epocale spinge a passare da un sistema di regole pensate per intervenire quando la situazione è già compromessa e non è più recuperabile, cioè quando si è già in situazione di insolvenza, verso un meccanismo che punta a intercettare anticipatamente lo squilibrio all’interno dell’im­presa. Bisogna però preliminarmente precisare che, nel valutare la portata veramente innovativa di questo Codice e di tutte le prescrizioni collegate, non ci si deve far ingannare dalla circostanza che una buona parte delle disposizioni del Codice sono riproduttive, anche testualmente, di disposizioni della legge fallimentare. Avevo fatto un’indagine statistica sul testo del Codice: più o meno il sessanta per cento delle norme del Codice riproduce norme della legge fallimentare. Non bisogna però credere che sia soltanto una riproposizione della vigente normativa ammantata da qualche concetto nuovo; a mio avviso c’è una filosofia di fondo che ci spinge verso un sistema che potremmo forse definire in termini di «approccio anticipatorio con finalità di ristrutturazione», che viene perseguita attraverso interventi a invasività crescente. Ci troviamo di fronte a un meccanismo che opera, cioè, per stadi successivi. I nuovi strumenti di rilevazione precoce della crisi, gli assetti e i doveri di controllo artt. 12 e 14 CCII) attivano un set di meccanismi di reazione che hanno prima carattere interno – art. 14, comma 1, CCII – poi esterni – art. 14, comma 1 e comma 2, CCII – che sono diretti alla composizione mediante il recupero della continuità. Se questo obiettivo non viene raggiunto, perché sono scattati tardi questi meccanismi oppure la situazione è comunque particolarmente compromessa, allora al debitore si prospetta un catalogo di soluzioni per la regolazione della crisi (artt. 56 ss. CCII), organizzati secondo un criterio di gradualità, sia di obiettivi – puntiamo a superare la crisi oppure puntiamo a una procedura di natura liquidatoria? – sia di eterointegrazione – prima ci sono gli accordi di natura stragiudiziale, quelli solo attestati oppure anche omologati, poi il [continua ..]


2. La “piramide rovesciata” del diritto concorsuale

Si potrebbe dire che questo sistema costruito dal Codice sia strutturato come una piramide rovesciata che si regge su un vertice sottilissimo di cristallo, costituito dai sistemi di allerta la cui efficacia ed efficienza è garanzia della permanenza in equilibrio di questa architettura giuridica; un’inefficiente performance degli assetti o un negligente adempimento dei doveri imposti agli organi sociali può far accumulare un ritardo irrecuperabile per la percezione della situazione di squilibrio e la conseguente attivazione dei meccanismi di contrasto. La solidità delle fondamenta è assicurata anche dall’esistenza di questi ulteriori e nuovi doveri che si pongono in capo agli organi di amministrazione e che sono compendiati nella previsione dell’art. 2086 c.c., quindi nell’obbligo di adeguati assetti, deputati a consentire di erigere determinati avamposti a protezione dell’impresa e, naturalmente, a far suonare anche determinati allarmi non appena ci siano all’orizzonte avvisaglie di una crisi. L’art. 2086 c.c. ha naturalmente conseguenze molto rilevanti anche su altri profili di diritto societario generale: la circostanza che si affidi in via esclusiva la predisposizione degli assetti agli amministratori secondo la nuova formula del decreto correttivo, ma si mantenga nel contempo l’indicazione che la gestione spetti in esclusiva agli amministratori (art. 2380-bis c.c.), rafforza la sensazione che vi sia una netta differenza fra il concetto di “gestione” intesa come conduzione dell’impresa e quello di “organizzazione dell’attività di impresa”, entro cui si collocano gli assetti che pone quindi sul tavolo, forse con termini rinnovati, la nota questione dell’esistenza di competenze decisorie dei soci per operazioni che vadano a modificare i connotati dell’attività di impresa (tesi come è noto sostenuta da Giuseppe B. Portale e di recente rilanciata da un provvedimento del tribunale capitolino pubblicato in Banca borsa titoli di credito).


3. Quale “crisi”?

Una seconda riflessione generale è collegata al concetto di crisi. Ci troviamo oggi al cospetto della definizione scolpita nell’art. 2, lettera a), CCII ma in senso aziendale la crisi è qualcosa di diverso e anticipato, è considerata come uno stato patologico di alterazione più o meno accentuata della normale operatività del complesso aziendale o di una parte di essa, dal quale possono scaturire una serie di conseguenze. Solitamente gli studiosi di scienze aziendali identificano cinque differenti livelli di gravità della crisi: dalla mera inefficienza gestionale e produttiva (prima fase) alle difficoltà finanziarie, il peggioramento dei risultati economici, riduzione dei mezzi propri (seconda fase) a una crisi conclamata che si manifesta con squilibri finanziari e difficoltà di flussi di cassa, quindi difficoltà a far fronte alle obbligazioni (terza fase) fino a una situazione che, se non viene tamponata, porta all’insolvenza tecnica, però ancora reversibile (quarta fase) e poi appunto (ultima fase) quella dell’in­solvenza effettivamente irreversibile. Ma quando il codice ci parla di crisi e pone, in capo agli organi di amministrazione e controllo, una serie di doveri relativi alla predisposizione di assetti per identificare e prevenire la crisi e di obblighi di intervento quando la crisi viene rilevata, a quale stadio di quella che è nel fenomeno economico-aziendale la “crisi” sta facendo riferimento? La definizione dell’art. 2 CCII corrisponde a mio avviso non alla prima fase, cioè al primo stadio della situazione di crisi, né alla seconda, ma alla terza fase della crisi in senso economico. Quindi il legislatore ha identificato uno stadio già avanzato ed è doveroso chiedersi se sia troppo avanzato oppure sia il momento adeguato nel quale – mi si scusi il pessimo neologismo – “giuridicizzare” la crisi e far scattare determinati obblighi. Sarebbe forse stato opportuno anticipare ulteriormente la percezione della crisi e quindi il momento di intervento, sul presupposto peraltro che la crisi nei primi due stadi è sicuramente percepibile e senza dubbio gli assetti sono tanto più adeguati quanto più sono in grado di rilevare non solo e soltanto la crisi al terzo stadio, quando effettivamente è già piuttosto rilevante, ma già anticipatamente la [continua ..]


4. Gli assetti organizzativi

Venendo alle regole sugli assetti, l’art. 2086 c.c. e le relative disposizioni ove è richiamato non sembrano a prima vista disposizioni particolarmente innovative; in effetti, anche molti fra i primi commentatori della riforma hanno evidenziato che l’obbligo di dotare la società di assetti era in buona sostanza già imposto dall’art. 2380-bis c.c. dal 2003, norma che si riteneva comunque applicabile quantomeno alle s.r.l., e – avevo già sostenuto anche io in tempi passati – in generale a tutte le imprese, anche quelle individuali, perché comunque l’organizzazione dell’attività di impresa fa parte di quegli obblighi di comportamento che caratterizzano l’essere imprenditore, che ha il dovere di agire con diligenza professionale e correttezza. Una buona organizzazione è indubbiamente dimostrazione di una condotta che rispetta questi canoni di corretta amministrazione e di comportamento diligente, patrimonio dei doveri di ogni imprenditore a prescindere dalla forma giuridica. In effetti, non ci si può nascondere che a prima vista queste non paiono essere tanto novità significative quanto esplicazioni di un concetto già presente. A me sembra tuttavia che anche qui si debba guardare con più attenzione alla disposizione dell’art. 2086 c.c. Innanzitutto, per chiedersi se questa definizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili abbia la stessa estensione – quindi lo stesso perimetro concettuale – di quella dell’art. 2381 c.c., che impone all’organo amministrativo di predisporre gli assetti e curarne l’adegua­tezza nell’articolazione interna tra deleganti e delegato, ovvero se sia un concetto che dietro la medesima formulazione testuale in realtà nasconde qualcosa di diverso, e mi sembra che questo sia un punto su cui soffermarsi. In effetti, nella disposizione dell’art. 2381 c.c., l’espressione “assetti organizzativi, amministrativi e contabili” è riferito al profilo organizzativo della gestione dell’attività di impresa, quindi nel suo senso sicuramente molto ampio di predisposizione di procedure, protocolli e quant’altro occorra per poter assicurare, fra l’altro, che ci sia una percezione costante dell’esercizio dell’attività di impresa; nell’art. 2086 c.c., nel momento in cui si ricollega [continua ..]


5. Il perimetro soggettivo del dovere di cui all’art. 2086 c.c.

Un secondo elemento che deve essere evidenziato è quello del perimetro soggettivo dell’estensione: l’art. 2086 c.c. è inserito nelle norme generali sull’impresa, ma nella sua formulazione letterale fa riferimento solo agli imprenditori che operino in forma societaria o collettiva, quindi includendo sia tutte le forme societarie, sia quelle forme organizzative non societarie che esercitano attività di impresa (penso alle fondazioni). Relativamente all’esten­sione soggettiva, è difficile mettere in dubbio che questa norma non si applichi anche agli imprenditori individuali: ci sono una serie di elementi che a livello sistematico dovrebbero indurre a una ricostruzione in questi termini. In particolare, faccio riferimento all’art. 3 CCII che, mentre nel comma 2, riprendendo la formulazione dell’art. 2086 c.c., impone all’imprenditore collettivo di dotarsi di assetti adeguati, nel comma 1 riproduce la medesima formulazione riferendola questa volta all’imprenditore individuale, utilizzando l’espres­sione, invece che di assetti adeguati, di «misure idonee». Forse siamo al cospetto di un sinonimo, forse si sottende che l’impresa individuale non può essere dotata di assetti in quanto non vi sono uffici (ma è punto questionabile). Quale che sia la risposta, senza dubbio anche sull’imprenditore individuale gravano obblighi organizzativi che non vanno trascurati. Il concetto di adeguatezza e il concetto di assetto vanno costruiti in ragione delle dimensioni, della natura, della caratteristica della singola impresa che abbiamo di fronte: le misure idonee sono una forma di assetto organizzativo di caratterizzazione più circoscritta. A supporto di questa lettura mi sembra si possa invocare la legge delega, che è comunque sempre una chiave di interpretazione a cui occorre rifarsi quantomeno nei primi periodi di vigenza (o come nel nostro caso di attesa di vigenza), finché la norma, come insegnava Giovanni Tarello, non acquisti una sua obiettività. La legge delega affidava al Governo il compito di prevedere il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione della crisi, usando una formula che non mi pare possa considerarsi un’endiadi bensì espressiva di una volontà di inclusione di tutti i fenomeni d’impresa. La [continua ..]


6. Il concetto di assetti e la loro costruzione sartoriale

Resta ovviamente sullo sfondo un quesito a cui da tempo si tenta di dare risposte, dimenticando che noi giuristi in questo siamo tributari degli amici aziendalisti e dal loro magistero non possiamo prescindere, cioè cosa sono gli assetti e come facciamo a misurarne l’adeguatezza e, prima ancora, come si costruiscono gli assetti. Gli assetti sono una componente organizzativa dell’impresa che va predisposta in modo sartoriale, sulla base delle esigenze della singola realtà imprenditoriale. Va però osservato che esistono una serie di indizi all’interno del nostro sistema normativo nel suo complesso che non si limitano ad imporre un dovere generale di costruzione di assetti (come nell’art. 2086 c.c.), ma che specificano in terreni e settori circoscritti come in concreto debbano essere costruiti gli assetti. Pensiamo alla disciplina del d.lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro, alla disciplina del GDPR, alle regole sull’informazione non finanziaria e altre ancora: tutte queste disposizioni non si limitano a stabilire in via generale che l’imprenditore costruisca o introduca procedure o dei protocolli adeguati, ma dettano disposizioni molto più specifiche. Per esempio, dal d.lgs. n. 81/ 2008 possiamo ricavare che c’è un obbligo di valutazione preventiva dei rischi in relazione all’attività lavorativa, di valutazione di quale può essere l’impatto del rischio sui beni tutelati, quindi sulla salute e sull’integrità personale; un obbligo di adottare le procedure idonee a percepire, a contrastare o impedire questi rischi; tenuto conto che il “rischio zero” non esiste, è evidente che l’esercizio di un’attività di impresa implichi il verificarsi di rischi. Inoltre, si ricava da queste disposizioni anche un dovere di revisione costante e soprattutto di valutazione di queste strutture qualora il danno si verifichi, perché se il rischio si concretizza significa probabilmente che tutta la struttura che abbiamo costruito non è efficiente. Tutto questo è un’esplicitazione e concretizzazione del principio generale che obbliga a costruire assetti adeguati, che dunque funge da disposizione «ombrello». Da tutte queste norme settoriali che ho altrove esaminato partitamente, è consentito all’operatore ricavare una serie di prescrizioni che permettono di elaborare [continua ..]


7. Assetti e allerta: un dialogo asimmetrico

Da ultimo, osservo che mi sembra essenziale bene intendere il legame tra gli assetti e i sistemi di allerta: non c’è in effetti una corrispondenza biunivoca; gli assetti sono uno degli strumenti di allerta (art. 12 CCII), ma l’allerta non è l’unica strada che l’imprenditore può intraprendere quando rileva una crisi, e soprattutto in molti casi non è neanche percorribile, perché prevede un’ampia serie di attività o di tipologie di impresa che sono esonerate dall’ap­plicazione delle procedure di allerta, a cui però l’obbligo di assetti organizzativi si applica. Quindi è corretto instaurare un legame profondo tra questi due elementi, ma non in modo esclusivo. Sono dunque strumenti che vanno fra loro coordinati per il miglior esercizio delle prerogative e per il più efficace adempimento degli obblighi dell’imprenditore.


8. La competenza ad adottare gli assetti

Un’altra considerazione meritevole di sviluppo attiene alla competenza ad adottare gli assetti. Fermo che nelle società l’organo competente è l’organo amministrativo, viene naturale domandarsi se sia una competenza delegabile e credo che la risposta debba essere positiva nel rispetto dell’art. 2381 c.c. ove si prevede che è possibile affidare all’amministratore delegato il compito di costruire gli assetti rimanendo l’organo delegante in una posizione di sovraordinazione dovendo valutare l’adeguatezza. Ci sono però aspetti nuovi fin qui largamente trascurati. Per esempio, nelle società di persone, se vi è l’ammi­nistrazione disgiuntiva, siamo al cospetto di una competenza che deve ritenersi in qualche misura di natura congiuntiva, cioè in deroga al disposto dell’art. 2257? Io credo di no, non essendoci un’indicazione in senso esplicito diverso, e dunque propendo a ritenere che si tratti di competenza che grava su ciascuno degli amministratori in regime disgiuntivo, essendo peraltro la costruzione degli assetti sicuramente un’operazione di natura non straordinaria. Meno problemi naturalmente si pongono nel sistema congiuntivo dove la decisione spetta di default a tutti gli amministratori e quindi, anche in tal caso, a loro spetterà complessivamente l’adozione degli assetti e la loro «manutenzione».


9. Assetti e business judgement rule

Un ultimo profilo è quello legato al tema della responsabilità, in quanto si pone la questione se la mancata adozione o l’inadeguata adozione degli assetti implichi una responsabilità degli amministratori che beneficia o meno della protezione della business judgement rule; in dottrina e nella prima giurisprudenza si fronteggiano opinioni che spaziano da chi ritiene che la risposta debba essere positiva, in quanto esistono spazi di discrezionalità che consentono di ritenere che anche l’adozione degli assetti organizzativi sia una decisione imprenditoriale, a chi ritiene che la costruzione degli assetti non sia coperta dalla business judgement rule perché si tratterebbe di attività strumentale alla gestione dell’impresa e perché sulla loro «adeguatezza» vi è un dovere di vigilanza dell’organo di controllo che non c’è sulla gestione; sicché si dovrebbe affermare che una cosa è la gestione dell’impresa su cui i sindaci non hanno controllo di merito, altra cosa è la vigilanza sugli assetti che invece non sarebbe da sottoporre al medesimo criterio. C’è però un elemento ulteriore da considerare: la costruzione degli assetti è organizzazione dell’attività d’impresa e sappiamo che nei nostri fondamenti del diritto commerciale l’attività di organizzazione di un’attività di impresa è già considerata, per dottrina maggioritaria e anche giurisprudenza, essa stessa attività d’impresa, nel senso che l’attività d’impresa s’inizia nel momento in cui inizia l’attività organizzativa di essa.


10. Le prospettive

Un’ultima riflessione sulle prospettive considerato che noi professionisti dobbiamo saper avere il polso della situazione delle imprese e del mondo imprenditoriale. Da uno studio condotto da Fabrizio Bava, pubblicato a fine 2020, risulta che c’è ancora una significativa percentuale di piccole e medie imprese che non ha cognizione del concetto di assetti o comunque non li ha adottati. Su questo punto è davvero molto importante che siano i professionisti in primis a farsi parte attiva nel sensibilizzare le imprese sull’importanza di adottare gli assetti organizzativi e sulla loro essenzialità, anche nell’ottica delle responsabilità che ad essi conseguono. Certo, non va sottaciuto che in imprese individuali e società di persone c’è già responsabilità illimitata e profili di responsabilità penalistica, sicché potrebbe apparire più «spuntata» l’arma delle responsabilità per carenza di assetti. Credo che tuttavia si debba sempre rammentare che la responsabilità illimitata è funzione delle obbligazioni sociali, non della gestione sicché dal punto di vista del socio quale amministratore (o dell’imprenditore individuale) l’imposizione dell’obbligo di costruzione di assetti adeguati diventa un elemento essenziale ai fini della (esenzione dalla) responsabilità che su esso grava per i danni conseguenti all’aver tardato a rilevare la crisi per difetto degli elementi per rilevarli, ovverosia perché non adottando assetti effettivamente adeguati non si è posto in condizione di poter condurre le attività di impresa in modo efficace ed efficiente, e se ha procurato un pregiudizio all’attività di impresa naturalmente ne è responsabile. Io ho l’impressione – come già taluni arresti giurisprudenziali fanno presagire – che questo elemento nell’adeguatezza degli assetti diventerà un parametro di riferimento importantissimo per i giudici, che si troveranno a trattare tematiche di responsabilità degli amministratori per atti di mala gestio, perché la legge li pone come presupposto essenziale dell’esercizio di attività di impresa.


Nota bibliografica