Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La responsabilità degli amministratori alla prova del Codice della Crisi dell'impresa e dell'insolvenza (di Francesco Rizzo, Professore a contratto di diritto commerciale, Avvocato.)


Il saggio illustra le novità introdotte dal legislatore in materia di crisi dell’impresa e di insolvenza, avuto particolare riguardo alla responsabilità degli amministratori. In tale prospettiva di analisi, l’autore, dopo aver approfondito il quadro normativo di riferimento, analizza i doveri in capo agli amministratori e la conseguente responsabilità. Il saggio termina con interessanti riflessioni di sintesi.

The responsibility of the administrators within the context of the Code of the Crisis of the company and insolvency

The essay illustrates the innovations introduced by the legislator within the context of corporare crisis and insolvency, with particular regard to the responsability of directors. In this perspective of analysis, the author, after having deepened the regulatory framework, analyzes the duties of the directors and the consequent responsibility. The essay ends with interesting concise reflections.

Keywords: corporare crisis – insolvency – directors

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Prevenzione della crisi e assetti organizzativi - 3. L’attuazione della riforma - 4. La responsabilità degli amministratori nel Codice della crisi e dell’insolvenza - 5. La responsabilità degli amministratori per l’inadeguatezza degli assetti organizzativi - 6. Business judgement rule e scelte organizzative - 7. I membri non esecutivi del Consiglio di amministrazione - 8. La denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. - 9. Liquidazione del danno - 10. Conclusioni


1. Introduzione

Il Codice della Crisi dell’impresa e dell’insolvenza (d’ora in avanti CCII) è stato approvato in via definitiva con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 2019 e le norme relative agli assetti organizzativi dell’impresa sono entrate in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione, così come previsto dall’art. 389, comma 2 del D.Lgs. n. 14/2019. La materia è stata successivamente interessata da importanti modifiche ad opera del D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 novembre 2020, (d’ora in avanti “decreto correttivo”). La legge delega, con l’art. 14, comma 1, lett. b), ha inciso anche sul codice civile introducendo in capo all’imprenditore e agli organi sociali il dovere di istituire assetti organizzativi adeguati per l’emersione tempestiva della crisi e il conseguente dovere dell’imprenditore di attivarsi per la ristrutturazione del debito e dell’impresa. Una delle novità più importanti, se non la principale, si colloca, quindi, al di fuori del CCII e riguarda la modifica dell’art. 2086 c.c. che era precedentemente rubricato “Direzione e gerarchia nell’impresa” e che oggi si intitola “Gestione dell’impresa”. In particolare, all’iniziale disposizione, a mente della quale l’imprenditore è il capo dell’impresa e titolare di un potere gerarchico nei confronti dei propri collaboratori, è stata aggiunto un secondo comma in virtù del quale si stabilisce in capo al medesimo di prevedere un assetto organizzativo, amministrativo e contabile che sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Tale previsione è in sintonia con la ratio della riforma che persegue l’obiet­tivo di far emergere tempestivamente la crisi dell’impresa e la perdita della continuità aziendale. Ed invero, dal primo dovere, quello di stabilire un assetto adeguato, ne discende un secondo: quello di attivarsi tempestivamente per l’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Come ha rilevato attenta dottrina [1], tali doveri hanno come destinatario l’imprenditore e non l’imprenditore in quanto debitore. In particolare, essi costituiscono un “debito [continua ..]


2. Prevenzione della crisi e assetti organizzativi

La prevenzione della crisi dell’impresa attraverso la predisposizione di assetti organizzativi adeguati alla rilevazione tempestiva dello stato di difficoltà nel quale essa versi, costituisce, probabilmente, una delle novità più rilevanti del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Del resto, la rinnovata attenzione del legislatore italiano per gli aspetti organizzativi dell’impresa è frutto della consapevolezza secondo cui l’efficacia degli strumenti di allerta e di composizione assistita della crisi dipende ed è legata a doppio filo dalla capacità degli amministratori e degli organi di controllo di anticipare l’emersione della crisi per poterli fronteggiare in tempo [1]. Pertanto, soltanto a fronte di un’adeguata organizzazione amministrativa e contabile dell’impresa è possibile, per i soggetti che ne hanno la gestione o il controllo, avere un quadro chiaro e aggiornato della situazione economica e finanziaria nonché della sussistenza delle prospettive di continuità aziendale. Ed invero, agire tempestivamente è fondamentale per poter porre in essere le strategie di risanamento e di superamento della crisi per evitare i costi, economici e sociali, che una procedura meramente liquidatoria reca con sé laddove si versi in una situazione irreversibile di insolvenza. La più recente evoluzione del diritto societario ha dimostrato, quindi, tutta la centralità della questione della salvaguardia dell’impresa che si è tradotta in regole e principi in tema di organizzazione dell’attività [2]. In particolare, l’art. 2381, comma 5, c.c. prevede che nelle società per azioni gli organi delegati abbiano il compito di assicurare assetti organizzativi, amministrativi e contabili “adeguati alla natura e alle dimensioni dell’im­presa”. Con la conseguenza che la loro mancata adozione e l’ignoranza degli indicatori della crisi che siano emersi proprio grazie al corretto operare di tali assetti, fonda la responsabilità risarcitoria di amministratori e sindaci [3]. Pertanto, come è stato efficacemente sostenuto: “alla contestazione di aver provocato la crisi, secondo la prospettiva tradizionale, si aggiunge quella di non aver reagito adeguatamente a essa” [4]. L’art. 3, comma 1, CCII) prescrive in capo [continua ..]


3. L’attuazione della riforma

Il testo del decreto legislativo delegato licenziato dalla Commissione Rordorf in attuazione della Legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 in origine aveva previsto l’inserimento nel nuovo testo dell’art. 2086 c.c. una norma del seguente tenore “L’imprenditore, che operi in forma individuale, societaria o in qualunque altra veste, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozio­ne e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” [1]. Rispetto a tale elaborazione, il testo finale del decreto, con il quale è stato approvato il CCII, all’art. 2086 dopo il primo comma introduce un ulteriore comma a mente del quale “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile”, mentre il resto della disposizione è rimasto invariato (art. 375, comma 2, D.Lgs. n. 14/2019). Trattandosi di una disposizione di carattere generale ha stupito l’esclusione dal testo del secondo comma dell’imprenditore individuale e che il dovere di adeguatezza degli assetti organizzativi sia stato affermato soltanto con riferimento all’imprenditore operante in forma societaria o collettiva [2]. Del resto, è evidente come anche l’imprenditore individuale non possa prescindere da porre in essere tali misure e farsi carico dell’aspetto gestionale. Attenta dottrina [3] si è interrogata su quale fosse la diversità tra “misure idonee” e “assetto organizzativo adeguato” ritenendolo un tema non meritevole di ulteriori attenzioni se non per una “struttura maggiormente semplificata delle prime”. Stesso discorso per la differenza di ratio tra le “iniziative necessarie” e le “idonee iniziative”. Altro elemento critico, soprattutto per quello che si dirà in seguito in tema di responsabilità, concerne l’opportunità di estendere, anche alle imprese diverse da quelle azionarie, il dovere di istituire adeguati assetti organizzativi [continua ..]


4. La responsabilità degli amministratori nel Codice della crisi e dell’insolvenza

Il dovere prioritario degli amministratori è quello di adoperarsi in modo diligente al fine di conseguire l’oggetto sociale. Questa formula, ampia e omnicomprensiva, è stata precisata nel corso del tempo dal legislatore e dalla giurisprudenza focalizzando l’attenzione sul compimento degli atti attraverso i quali si esercita l’impresa [1]. Di conseguenza, anche i profili di responsabilità degli amministratori sono stati individuati nel compimento o nel mancato compimento degli atti medesimi. Le più recenti evoluzioni del diritto societario hanno visto uno spostamento dell’attenzione dall’attività degli amministratori per la realizzazione dell’og­getto sociale, e dal come esso viene perseguito, alle modalità attraverso le quali viene realizzato e, in particolare, all’adeguatezza degli assetti organizzativi dell’impresa in vista di tale obiettivo. Se in un primo momento tale aspetto era riservato allo studio delle scienze aziendalistiche, ha assunto sempre di più uno specifico rilievo giuridico a partire dalle società di diritto speciale [2] operanti in settori particolarmente sensibili quali la tutela del risparmio. Tali società sono, infatti, soggette al controllo dell’autorità pubblica di vigilanza che è chiamata a verificare l’adeguatezza dei loro assetti organizzativi finalizzati a garantire la trasparenza operativa e la stabilità nei confronti dei risparmiatori [3]. Inoltre, le stesse disposizioni del D.Lgs. n. 231/2001, che ha introdotto la responsabilità amministrativa in capo alle persone giuridiche derivante da reato, hanno configurato la previsione di appositi modelli organizzativi e gestionali, e di organismi di vigilanza deputati a vigilare sui medesimi, per prevenire la realizzazione di determinate categorie di illeciti penali commessi dalla persona fisica nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Tale percorso ha poi visto, nella riforma del diritto societario del 2003, un importante traguardo laddove il legislatore ha introdotto numerose disposizioni nel codice civile con il precipuo scopo di disciplinare l’amministrazione e il controllo delle società per azioni, nonché di perimetrare la nozione di “adeguatezza” degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Sul punto, si è ritenuto che, nonostante si trattasse [continua ..]


5. La responsabilità degli amministratori per l’inadeguatezza degli assetti organizzativi

Gli amministratori, come è noto, rispondono della violazione dei doveri loro imposti dalla legge, dallo statuto o dall’atto costitutivo della società. Pertanto, poiché la previsione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili rappresenta un dovere istituito espressamente da disposizioni di legge, è evidente come dalla sua violazione derivi una responsabilità in capo agli amministratori tanto nei confronti della società, quanto dei creditori sociali laddove ne sia derivata la compromissione del patrimonio sociale che costituisce la garanzia generica per i creditori medesimi. Fino all’introduzione dei nuovi doveri societari all’interno del Codice della crisi e dell’insolvenza, l’attenzione dei giudici era principalmente rivolta alle condotte esteriori di esercizio degli amministratori, meno alle scelte poste in essere, o omesse, nella predisposizione delle strutture organizzative interne al­l’impresa. D’ora in avanti, invece, è ragionevole attendersi che la valutazione dell’a­deguatezza organizzativa diventi uno degli aspetti maggiormente considerati al fine di valutare la responsabilità degli amministratori, così come è probabile che tali questioni vengano in rilievo soprattutto in contesti di crisi aziendale poi sfociate in insolvenza [1]. Con riferimento a tali situazioni, ovviamente, sarà necessario accertare, in una prospettiva ex ante, se l’evento negativo sia correlato alla mancata o errata predisposizione di un assetto organizzativo inadeguato alla rilevazione tempestiva idoneo a cogliere i primi sintomi del manifestarsi di una crisi. Del resto, è altresì necessario distinguere tra il profilo di responsabilità per la mancata istituzione di adeguati assetti organizzativi laddove tale omissione abbia impedito di percepire la manifestazione e l’aggravamento della crisi, dalla responsabilità per la mancata tempestiva reazione [2]. In particolare, tale ultima forma di responsabilità potrebbe venire in luce anche nel caso in cui l’amministratore, pur avendo predisposto un idoneo apparato organizzativo, abbia poi omesso di avvalersene o abbia, con colpa, trascurato o sottovalutato le risultanze del sistema di monitoraggio a sua disposizione. In questa direzione si segnalano l’art. 13 CCII che individua gli indicatori in presenza dei [continua ..]


6. Business judgement rule e scelte organizzative

Un aspetto fondamentale della presente analisi concerne, infatti, il tema della riconducibilità della violazione degli obblighi di cui all’art. 2086 c.c. all’interno del “safe harbour” della business judgement rule. In particolare, la business judgement rule prevede che il giudice non possa operare, in sede di valutazione della responsabilità degli amministratori, un sindacato di merito valutando “la convenienza, l’opportunità, la profittabilità e la remuneratività” delle scelte gestorie, ma sia soltanto chiamato ad accertare il corretto svolgimento del processo decisionale seguito dagli amministratori [1]. Ed invero, “l’obbligo di amministrare diligentemente l’impresa sociale incide sul procedimento di elaborazione della scelta gestionale piuttosto che sulla scelta dell’atto gestorio in sé” [2]. Pertanto, nel caso in cui gli amministratori abbiano seguito tale percorso decisorio non risponderanno, quindi, delle proprie scelte gestorie, neppure laddove queste siano state errate, inopportune e abbiano arrecato pregiudizio alla società [3]. In altri termini, ai fini dell’applicabilità della BJR le scelte gestionali devono possedere determinate caratteristiche: non devono riguardare alcun interesse diretto o indiretto degli amministratori; devono essere deliberate nella consapevolezza di tutte le informazioni disponibili e a seguito di una prudente considerazione delle alternative; devono essere deliberate in buona fede; devono rappresentare l’attuazione razionale dello scopo sociale. Sul punto, la Corte di Cassazione [4], fissa il limite di tale principio individuandolo nella valutazione di ragionevolezza delle scelte gestionali, da valutarsi sia ex ante, secondo i parametri di diligenza del mandatario, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive. La necessità di perimetrare l’area del sindacato giurisdizionale delle decisioni degli amministratori escludendone il merito oltre a derivare da un deficit di competenza dei Tribunali [5] che spesso non dispongono degli strumenti tecnici in grado di poter sindacare il merito delle scelte gestorie [6], risponde alla volontà (rectius necessità) di non disincentivare l’assunzione dei rischi necessari a valorizzare il patrimonio sociale [7] [continua ..]


7. I membri non esecutivi del Consiglio di amministrazione

Un ulteriore aspetto che merita di essere considerato riguarda l’impatto delle norme contenute nel CCII sul perimetro dei poteri di controllo, di informazione e di ispezione attribuiti ai membri non esecutivi del Consiglio di amministrazione delle società per azioni e delle società a responsabilità limitata. Sul punto, occorre subito segnalare come secondo l’opinione prevalente – nonostante il dibattito sia articolato – [1] l’accesso alle informazioni e l’acqui­sizione dei documenti da parte dei consiglieri privi di particolari cariche possa avvenire soltanto attraverso il contatto e l’interlocuzione dirette con i membri delegati all’interno del consiglio di amministrazione [2]. Si segnala, inoltre, la posizione di quella parte della dottrina secondo la quale già nel vigore della riforma del diritto societario del 2003, laddove si riconosceva un diritto di accesso illimitato ai documenti e alle informazioni sociali da parte del singolo socio, estraneo all’amministrazione, ai sensi dell’art. 2476 c.c. per le S.r.l., riteneva che “quantomeno si dovessero allineare i poteri di informazione e di ispezione tra amministratori non esecutivi e membri del collegio sindacale” [3]. La stessa dottrina ha autorevolmente sostenuto come l’art. 14 CCII, attribuendo un potere di segnalazione in capo agli organi e ai soggetti incaricati del controllo interno, avrebbe riequilibrato i poteri di informazione e di ispezione tra amministratori non esecutivi e componenti del collegio sindacale [4]. Nella stessa direzione si colloca anche quella giurisprudenza secondo la quale, in tema di sanzioni irrogabili ai membri del consiglio di amministrazione, compresi i componenti non esecutivi, sussiste il dovere, anche per quest’ultimi, di non essere “passivi destinatari” delle informazioni rese sua sponte dal membro delegato, ma di assumere, viceversa, l’iniziativa di richiedere informazioni in presenza di “segnali di pericolo” o di “sintomi di patologia”. Questo in forza del paradigma operativo che richiede a ciascun amministratore di “agire informato” [5]. Altri Autori [6], invece, non condividono la ricostruzione proposta, almeno per le S.p.a., ritenendo che un’interpretazione estensiva e integrativa dell’art. 2381 c.c., che ampli le competenze e i poteri dei membri [continua ..]


8. La denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.

Un altro aspetto che merita attenzione concerne la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. che viene reintrodotto dall’art. 379 CCII con riferimento alle S.r.l. In particolare, ci si è chiesti [1] se si tratti di uno strumento di controllo riservato in via speciale soltanto alle società di capitali, oppure possa ormai essere suscettibile di un’applicazione generalizzata rivolta alle imprese organizzate in forma collettiva comprese, quindi, le società di persone e gli enti che non assumono la veste societaria. Inoltre, occorre chiarire se le “gravi irregolarità” oggetto di denuncia debbano necessariamente essere in immediata e diretta connessione con gli indici segnalatori della crisi, rilevati i quali gli amministratori non assumano iniziative o restino inerti. Con riferimento al primo interrogativo, si è ritenuto che il Codice della crisi abbia inteso circoscrivere il perimetro applicativo dell’art. 2409 c.c. alle sole società di capitali. In questa direzione, infatti, opererebbe la disciplina delle società a partecipazione pubblica di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 175/2016 a mente della quale il controllo giudiziario sull’amministrazione della società a controllo pubblico trova applicazione anche alle società a responsabilità limitata [2]. Dall’altro lato, la norma in parola nelle S.p.a. e S.r.l. si limita ad abbassare le soglie di partecipazione sociale necessarie ai fini della legittimazione attiva per la denuncia. Inoltre, l’art. 29 del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del terzo settore), nonostante preveda l’estensione dell’art. 2409 c.c. agli enti del terzo settore, è interpretato quale conferma di come l’estensione dell’istituto anche agli enti che non siano società di capitali richieda necessariamente un’espressa previsione legislativa, trattandosi di una disposizione di natura eccezionale non applicabile estensivamente in via analogica. Per quanto concerne, invece, la natura delle “gravi irregolarità” alle quali si è fatto cenno sopra, e che potrebbero essere oggetto di intervento dell’au­torità giudiziaria, sempre la disciplina delle società a partecipazione pubblica richiamata prevede che, laddove emergano uno o più indici di crisi aziendale, l’organo amministrativo della società a controllo [continua ..]


9. Liquidazione del danno

Il legislatore del CCII [1] ha novellato l’art. 2486 c.c. inserendovi un nuovo terzo comma stabilendo che, laddove sia stata accertata la responsabilità degli amministratori per il compimento di atti non funzionali – a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento della società – alla conservazione dell’inte­grità del patrimonio sociale, l’ammontare del danno risarcibile, salva la prova contraria di un diverso ammontare, si presume corrispondente alla differenza tra il patrimonio netto al momento in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui l’amministratore abbia avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza e il patrimonio netto al momento in cui l’amministratore responsabile è cessato dalla carica [2], oppure, in mancanza, alla data successiva in cui è aperta la procedura concorsuale, dedotti i costi sostenuti e quelli che sarebbero stati, in via ordinaria, egualmente sostenuti dopo la verificazione della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione [3]. Si impongono alcune preliminari riflessioni. Innanzitutto, la norma fa riferimento all’ipotesi in cui sia “accertata la responsabilità degli amministratori” per violazione dell’art. 2486 c.c. con la conseguenza che la sua applicazione presuppone che siano stati allegati in giudizio e, quindi, accertati, tutti gli elementi costitutivi: non solo l’inadem­pimento doloso o colposo al dovere di cui all’art. 2486, comma 1, c.c., ma anche il pregiudizio che sia derivato al patrimonio sociale in conseguenza di tale condotta, la cui deduzione resta assoggettata alle regole ordinarie [4]. Resta, quindi, minoritaria la tesi secondo la quale la norma in parola consentirebbe di presumere l’esistenza del danno quale conseguenza dell’accer-tata inadempienza degli amministratori [5]. Per quanto concerne la presunzione in ordine all’ammontare del danno risarcibile si segnala come la prova contraria possa essere fornita sia dal curatore, sia dal convenuto. La norma, infatti, ha introdotto un meccanismo presuntivo che ha comportato un inversione dell’onere probatorio: non sarà il curatore a dover dimostrare in concreto il pregiudizio arrecato dall’amministratore al patrimonio netto della società, dei soci, dei creditori sociali o dei terzi, come accade secondo le ordinarie regole del [continua ..]


10. Conclusioni