Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il contratto di leasing. Natura, legislazione e giurisprudenza (di Silvia Vitrò, Presidente del Tribunale delle Imprese di Torino.)


Nell’approfondimento, l’autore analizza la nozione, l’evoluzione e la disciplina del contratto di leasing. Vengono, dapprima, esaminate le linee generali della disciplina, con evidenziazione delle novità rispetto alla previgente normativa. Viene, successivamente, illustrata la principale giurisprudenza in materia, avuto riguardo ad alcune questioni quali – a titolo di esempio – la verifica ai fini usura, l’estinzione anticipata e gli aspetti fiscali. Da ultimo, la trattazione analizza i modelli per contabilizzare il leasing nel bilancio di esercizio.

The leasing agreement. Nature, legislation and jurisprudence

In the paper, the author analyzes the notion, evolution and discipline of the leasing contract. Firstly, the general lines of the discipline are examined, highlighting the changes with respect to the previous legislation. The main jurisprudence on the subject is then illustrated, having regard to some issues such as – by way of example – verification for usury purposes, early repayment and tax aspects. Lastly, the discussion analyzes the models for accounting the leasing operation in the annual financial statements.

SOMMARIO:

1. Nozione, evoluzione, disciplina - 1.2. La nuova disciplina del leasing nel concordato preventivo – 2015 - 1.3. Il leasing viene “tipizzato” dalla Legge Concorrenza – 2017 - 1.3.1. La definizione - 1.3.2. Le parti - 1.3.3. Finanziarietà del contratto ed allocazione del rischio - 1.3.4. Risoluzione per inadempimento - 1.3.5. Osservazioni in tema di risoluzione - 1.3.6. Altre norme applicabili - 1.3.7. Considerazioni di sintesi - 2. In merito alla verifica ai fini usura - 3. In merito all’anatocismo - 4. In merito alla risoluzione ed alla estinzione anticipata - 5. In merito alle componenti derivative - 6. In merito al riscatto - 7. In merito ai tassi di interesse - 8. In merito agli aspetti fiscali - 9. Varie - 10. Leasing: metodo finanziario e metodo patrimoniale - 10.1. Registrazione del leasing con il metodo finanziario - 10.2. Registrazione del leasing con il metodo patrimoniale


1. Nozione, evoluzione, disciplina

1.1. Il contratto di leasing: nozione e evoluzione Il termine leasing deriva dall’inglese to lease che significa affittare. È un contratto appartenente alla categoria dei “nuovi contratti” e risulta dalla combinazione degli schemi della vendita con patto di riservato dominio (ex art. 1523 c.c.) e del contratto di locazione di cui all’art. 1571 del Codice Civile. Con il contratto di leasing, che può essere leasing finanziario o leasing operativo, un soggetto chiamato locatore o concedente, concede a un altro soggetto chiamato utilizzatore, il diritto di utilizzare un determinato bene dietro il pagamento di un canone periodico. Alla scadenza del contratto è prevista per l’utilizzatore la facoltà di acquistare il bene stesso, previo l’esercizio dell’opzione di acquisto, comunemente chiamato riscatto, con il pagamento di un prezzo che nel linguaggio comune prende il nome di prezzo di riscatto. Il primo canone corrisposto dall’utilizzatore è sempre più frequentemente di entità maggiore rispetto ai successivi e per questo viene chiamato maxi-canone iniziale e il suo scopo è quello di ridurre i rischi di perdita del concedente in caso di insolvenza dell’utilizzatore; per questo, nel caso nel quale in un determinato momento l’utilizzatore dovesse smettere di pagare i canoni, il locatore si riapproprierebbe del bene il cui valore di mercato sommato al maxi-canone e ai canoni già corrisposti si presume superiore ai costi sostenuti dal locatore. Per l’utilizzatore il contratto di leasing rientra nell’amministrazione straordi­naria ed è una forma di locazione che si può manifestare in tre modalità: leasing finanziario, leasing operativo e lease-back. Per il locatore è molto importante valutare il rischio bene dell’operazione, considerando la congruità di prezzo del bene, le sue caratteristiche di utilizzo e di profitto produttivo, la sua recuperabilità, la sua ricollocabilità sul mercato, il suo valore in caso di rientro anticipato dovuto a insolvenza dell’utilizzatore e la sua rispondenza alle normative antinfortunistiche. La valutazione di un’azienda nella scelta del leasing deve tenere conto di due ulteriori aspetti: il costo del bene è soggetto a i.v.a. (anche nel caso di immobili); il bene rimane di proprietà della società di [continua ..]


1.2. La nuova disciplina del leasing nel concordato preventivo – 2015

La riforma dell’art 169-bis l. fall, con il d.l. n. 83/2015, ha posto fine ad un acceso dibattito in tema di scioglimento dei contratti di locazione finanziaria nel concordato preventivo. I rapporti tra leasing e procedure concorsuali sono sempre stati travagliati e caratterizzati da netti cambi di direzione: l’introduzione dell’art. 72-quater l. fall. da parte del d.lgs. n. 5/2006 ne è un chiaro esempio. La norma ha stabilito le sorti del contratto di leasing pendente alla data del fallimento, ponendosi in netto contrasto con l’impostazione interpretativa fino a quel momento predominante. Fino ad allora, infatti, giurisprudenza di merito e di legittimità, quando chia­mate a pronunciarsi circa gli effetti della risoluzione dei contratti di leasing per inadempimento dell’utilizzatore, applicavano, sulla scia della distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento operata dalla Corte di Cassazione, il principio generale che regola gli effetti della risoluzione nei contratti di durata (art. 1458 c.c.), con conseguente consolidamento in capo al concedente dei canoni percepiti, nelle ipotesi di risoluzione di leasing di godimento; nei casi, invece, di risoluzione di leasing traslativo, trovava applicazione la disciplina prevista per la risoluzione dei contratti di vendita con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.), ai sensi della quale il concedente aveva il diritto di percepire un equo compenso per la fruizione della cosa e per il deprezzamento del bene, ma era tenuto a restituire i canoni riscossi. Di fatto, l’applicazione dell’art. 1526 c.c. al leasing traslativo rappresentava il “nervo scoperto” delle società di leasing; ed è proprio questo il punto a partire dal quale il legislatore del 2006 ha deciso di cambiar rotta. Il nuovo art. 72-quater l.fall. ha previsto infatti che, nel caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per fallimento dell’utilizzatore, il concedente abbia diritto alla restituzione del bene e sia tenuto a versare alla curatela l’even­tuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra colloca­zione del bene stesso (il d.lgs. n. 169/2007 ha poi precisato che la vendita o collocazione del bene devono avvenire a valore di mercato) rispetto al credito residuo in linea capitale e ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e [continua ..]


1.3. Il leasing viene “tipizzato” dalla Legge Concorrenza – 2017

La legge sulla Concorrenza appronta una disciplina tipica ed approfondita del contratto di locazione finanziaria (legge 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, commi da 136-140), trasformando il leasing in contratto tipico.


1.3.1. La definizione

In base alla nuova norma (comma 136), un contratto di locazione finanziaria è quello per cui «la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio, l’obbligo di restituirlo». La norma sembra identificare esclusivamente quella fattispecie nota, in dottrina ed in giurisprudenza, come “leasing finanziario”, mentre non sembrano riconducibili alla definizione i casi, pure noti alla prassi, di “leasing operativo” che, secondo un orientamento, consistono nella messa a disposizione di un bene da parte dello stesso produttore, secondo uno schema negoziale bilaterale e non trilatero (in tal senso, ad es., v. Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1983, n. 6390, Trib. Milano 19 maggio 1980). Nonostante quanto precede, in prima analisi il leasing operativo sembrerebbe comunque ammissibile nel nostro ordinamento (come lo è stato sino ad oggi nella sua veste di contratto atipico, veicolato nel nostro ordinamento per il tramite dell’art. 1322 c.c.). Maggiori implicazioni potrebbero però evidenziarsi in relazione ad un’altra suddivisione affermatasi in giurisprudenza (e piuttosto discussa), cioè quella tra leasing c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo”, in particolare circa le regole applicabili in caso di risoluzione. Infine, niente si dice con riguardo alla fattispecie complessa nota come “sale and lease back”, in cui generalmente un bene di proprietà di un soggetto viene ceduto ad un acquirente e successivamente concesso in locazione finanziaria allo stesso cedente originario, e che pure entro certi limiti è ritenuta ammissibile nel nostro ordinamento.


1.3.2. Le parti

Il contratto di leasing è un contratto la cui stipula è riservata, da un lato, ad una categoria definita di operatori qualificati: il leasing c.d. finanziario, infatti, in linea con l’indicazione della giurisprudenza, ha funzione di finanziamento (cfr. ad es., Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1988, n. 5623), ed il ruolo di concedente (lessor) è quindi riservato agli operatori professionali del credito (i.e., banche ed intermediari iscritti al registro ex art. 106 t.u.b.). Alla stessa conclusione deve arrivarsi anche con riguardo a quelle ipotesi (per la verità più discutibili e, probabilmente, di minore rilievo pratico) relative alla gamma di intermediari non bancari e non finanziari abilitati alla concessione di finanziamenti (tra cui compagnie assicurative, veicoli di cartolarizzazione, fondi di credito): in tutti questi casi, l’espressa abilitazione concessa dalla legge ad erogare “finanziamenti” dovrà ritenersi interpretabile in un senso più restrittivo (e certamente non ricomprendere l’attività di concessione di leasing).


1.3.3. Finanziarietà del contratto ed allocazione del rischio

Il nuovo leasing viene rappresentato come un contratto avente natura finan­ziaria e, conseguentemente, gravano sull’utilizzatore tutti i rischi derivanti dall’e­secuzione, (e.g., l’evizione, il rischio di perimento del bene, i danni arrecati a terzi in costanza di esecuzione del contratto) in linea peraltro con l’indicazione carat­teristica della prassi e di quanto contenuto nella generalità dei formulari corrente­mente utilizzati. La definizione del leasing prevede poi, invariabilmente, l’esistenza di un’op­zione in capo all’utilizzatore, opzione che per la verità caratterizzava la fattispecie anche nella sua precedente vita di contratto innominato. Al termine della vita del contratto, quindi, l’utilizzatore ha la facoltà di riscattare il bene ad un prezzo determinato ovvero restituirlo.


1.3.4. Risoluzione per inadempimento

Molto interessante è la previsione introdotta dal Legislatore di “inadempimen­to qualificato” che determina la risoluzione del contratto (con conseguente resti­tuzione del bene secondo le modalità descritte dalla Legge – comma 137). La soluzione normativa qualifica come “grave”: nel caso di contratti di leasing immobiliare, il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o di due canoni trimestrali, anche non consecutivi, o un importo equivalente; nel caso di contratti di locazione finanziaria diversi da quelli immobiliari (e.g., beni strumentali), l’inadempimento relativo a quattro canoni mensili, anche non consecutivi, o un importo equivalente. Al verificarsi dell’inadempimento qualificato, il concedente può chiedere la risoluzione del contratto (sembra plausibile che l’inadempimento individuato dalla legge possa costituirne clausola risolutiva espressa), ha diritto alla restitu­zione del bene ma al contempo, secondo una disciplina che in parte ricalca le norme fallimentari, deve procedere alla vendita del bene oggetto di leasing. Il concedente può infatti vendere il bene originariamente concesso in leasing ma deve anche restituire all’utilizzatore un valore pari al ricavato di tale opera­zione, dedotti: i canoni scaduti e non pagati sino alla data della risoluzione; i canoni a scadere per la sola sorte capitale (e, comprensibilmente, non quindi gli interessi non ancora maturati); il prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione; e le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la conservazione per il tempo necessario alla vendita. Ove il valore della vendita sia inferiore alla somma dovuta ai sensi di quanto precede, il concedente mantiene il diritto di credito verso l’utilizzatore per l’eccedenza (comma 138). Data la natura dei beni generalmente oggetto di leasing (e.g., immobili, autovetture, etc.) il Legislatore prevede espressamente che il concedente venda il bene sulla base di valori di mercato, ottenuti sulla base di soggetti specializzati (e.g., le rilevazioni dei valori delle autovetture usate da parte di riviste di settore) (comma 139). Il dossier di accompagnamento redatto dagli Uffici Studi delle Camere chiarisce che la vendita debba avvenire sulla base “di criteri di celerità, trasparenza e pubblicità” (che, per la verità, non si rinvengono nella lettera della [continua ..]


1.3.5. Osservazioni in tema di risoluzione

La nuova disciplina della risoluzione costituisce un’innovazione molto importante nel settore del leasing, che fino al 2017 aveva vissuto un dualismo, di invenzione giurisprudenziale e pure contestato in dottrina, tra leasing “di godimento” e leasing “traslativo”. In estrema sintesi, secondo un’impostazione più volte confermata dalla Suprema Corte, nel leasing c.d. “di godimento” il canone dovuto rappresentava un corrispettivo del finanziamento a scopo di godimento del bene per una durata prestabilita, mentre nel leasing c.d. “traslativo”, il canone aveva natura di corrispettivo del futuro trasferimento ed aveva quindi la funzione di scontare una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto; di conseguenza, alla scadenza del periodo fissato, il bene avrebbe conservato un valore residuo particolarmente apprezzabile, notevolmente superiore al prezzo di opzione (in questi termini v. Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2015, n. 19532). La differenza sopra esposta assumeva un rilevo cruciale poiché solo al leasing traslativo si riteneva applicabile l’art. 1526 c.c. in materia di vendita con riservato dominio, il quale prevede la restituzione dei canoni riscossi, salvo il diritto per il concedente ad ottenere “un equo compenso” per l’utilizzo del bene oltre al risarcimento del danno. Il leasing di godimento si riteneva invece regolato dalla previsione generale di cui all’articolo 1458, comma 1, c.c. (dunque con irripe­tibilità dei canoni sino a quel momento versati). Una volta operata questa distinzione, restava poi da determinare l’ammontare dell’“equo compenso” e del risarcimento del danno, in misura tale da bilanciare le reciproche posizioni delle parti. In tal senso, si poteva sino ad oggi sostenere che tale importo fosse pari, complessivamente, a quanto il concedente avrebbe rica­vato in caso di esatta esecuzione delle intese originarie (così, ad es., Cass. civ. sez. III, 17 gennaio 2014, n. 888; Trib. Milano, 26 gennaio 2016). La riforma, oltre a chiarire il presupposto della “gravità” dell’inadempimento, aderisce, nei fatti, alla ricostruzione affermatasi in giurisprudenza, con l’obiettivo di operare un bilanciamento tra l’aspettativa del concedente alla sua remunera­zione e l’interesse del conduttore a non vedere svilito l’impegno economico [continua ..]


1.3.6. Altre norme applicabili

Le norme esistenti in materia di leasing non sono state modificate alla luce della nuova riforma. Restano quindi in vigore, tra le altre, le regole già dettate in settori specifici quali, ad es. quello fallimentare (cfr. artt. 72-quater, 169-bis l. fall.), del credito ai consumatori (art. 121 ss. t.u.b.) e fiscale, elaborate in prece­denza, allo scopo di approntare regole che tenessero conto delle peculiarità del fenomeno (comma 140).


1.3.7. Considerazioni di sintesi

Residuano alcuni dubbi interpretativi: da un punto di vista tassonomico, resta da valutare la sorte delle categorie di leasing “operativo” e “finanziario”, e soprattutto, di leasing “di godimento” e “traslativo” (queste due categorie già ricomprese nella definizione di leasing finanziario e quindi oggi sostanzialmente relative ad una fattispecie già normata), secondo quanto già rappresentato sopra; la disciplina transitoria dei numerosi contratti già in essere al momento dell’entrata in vigore della norma non è testualmente chiarita. In assenza di una specifica indicazione (e.g., fissazione di un periodo di adeguamento per i contratti, inserimento ex lege di clausole), si deve ritenere applicabile la regola generale (art. 11 Preleggi) che prevede l’irretroattività delle nuove nome rispetto alla data della loro entrata in vigore (i.e. 29 agosto 2017). Tale affermazione, tuttavia, non sembra risolutiva, nella misura in cui ad essere regolato è il fenomeno dell’inadempimento e della conseguente risoluzione dei contratti, eventi che per la verità si potrebbero verificare in momento successivo all’entrata in vigore della norma, ma in relazione a contratti stipulati in precedenza.


2. In merito alla verifica ai fini usura

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, in materia di verifica del rispetto del tasso soglia usura. Il Tribunale Milano, con Sentenza del 1° marzo 2019, n. 2066, ha stabilito che è erroneo il presupposto della cumulabilità tra tasso di mora e tasso corrispettivo, ai fini della determinazione del costo effettivo del leasing e del superamento del tasso soglia. I due tipi di interesse, infatti, sono dovuti in via alternativa tra loro, rilevando il primo durante il regolare corso del rapporto, l’altro nel momento patologico dello stesso: la sommatoria dei relativi tassi porterebbe infatti ad un tasso mai applicato né concretamente applicabile al debitore. Altro profilo di usurierà dedotto sembre­rebbe riguardare gli interessi di mora di per sé considerati, sommati a commissio­ni e remunerazioni a qualunque titolo convenuti le quali, tuttavia, risultano com­ponenti meramente eventuali del saldo dovuto, e non preventivabili al momento della conclusione del contratto. L’incompatibilità sul piano funzionale tra interessi corrispettivi ed interessi moratori induce a sostenere, invero, l’irrilevanza ai fini della verifica dell’usura­rietà degli interessi di mora, come risulterebbe ulteriormente confermato dalla dizione dell’art. 644 c.p. laddove la norma richiama espressamente il concetto di interessi dati o promessi in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità. Nell’ipotesi di pattuizione di interessi di mora “sproporzionati” sarebbe piuttosto applicabile la tutela di cui all’art. 1384 c.c., vale a dire la riduzione ad equità della penale manifestamente eccessiva, che tuttavia non può trovare applicazione del caso di specie, considerato che non risultano versati interessi di mora dall’utilizzatore. Si tratta di una posizione ormai superata. A ciò si aggiunga che il contratto per cui è causa prevede all’art. 11 delle condizioni generali la c.d. clausola di salvaguardia stabilendo: “qualora alla data di stipulazione del presente contratto il risultato di tale calcolo risultasse maggiore del cosiddetto tasso soglia vigente con riferimento alla classe di importo alla quale è riconducibile il presente contratto di locazione finanziaria, il tasso per il calcolo degli interessi convenzionali di mora resterà [continua ..]


3. In merito all’anatocismo

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, in materia di anatocismo. Il Tribunale Pordenone, con sent. 24 aprile 2020, n. 222, ha stabilito che non può sostenersi che si sia in presenza di un interesse “composto” per il solo rilievo fattuale che il metodo di ammortamento alla francese determina un maggior onere di interessi rispetto al piano di ammortamento all’italiana che si fonda sulle rate a capitale costante. Nella fattispecie in esame, va pertanto escluso, sulla base dei dati documentali in atti, che l’applicazione del piano di ammortamento cosiddetto “alla francese” abbia generato alcun anatocismo ex art. 1283 c.c., risultando all’evidenza il calcolo degli interessi, qualsiasi sia la durata complessiva del piano e la cadenza periodica dei pagamenti, sempre effettuato sul debito residuo, ovvero sul capitale che rimane da restituire al mutuante. A partire poi dall’interesse si determina per differenza la quota capitale del pagamento, la cui restituzione viene portata a riduzione del debito. In tal modo, l’interesse non ha mai prodotto altro interesse, non venendo accumulato al capitale ma, tramite pagamenti periodici, viene scisso dal capitale, quest’ultimo solo, per sua natura, produttivo di interessi. Una volta che l’interesse (insieme naturalmente alla quota capitale) è stato corrisposto, il capitale torna ad evolvere depurato da qualsiasi accumulazione anatocistica, nonché ridotto per effetto della restituzione di una parte dello stesso tramite la quota capitale. Con questo meccanismo, la generazione d’interessi su interessi, e quindi l’anatocismo, è preclusa nel caso in esame. Il Tribunale Brescia, con sent. 27 marzo 2020, n. 682, ha stabilito che è infondata l’affermazione di principio della illiceità dal piano di ammortamento costante (c.d. alla francese), vuoi in quanto contrario al divieto di anatocismo vuoi in quanto causa di surrettizia maggiore onerosità e indeterminatezza del tasso di interesse effettivo. Pure a voler pienamente assimilare al mutuo il leasing (nel quale assume rilievo essenziale il godimento del bene oltre alla mera retribuzione del finanziamento), il piano di ammortamento a rate costanti non importa indeterminatezza del tasso ne’ automatica e surrettizia capitalizzazione di interessi e non è perciò tout court in contrasto con [continua ..]


4. In merito alla risoluzione ed alla estinzione anticipata

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, in materia di risoluzione ed estinzione anticipata del rapporto. Al proposito, come è noto, l’art. 1526 c.c. prevede che «se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta». Il Tribunale di Brescia, con sent. 27 marzo 2020, n. 682 è intervenuto in materia, precisando quanto segue. Nel caso di specie, con decreto ingiuntivo il Tribunale di Brescia ha ingiunto ad una società e ai fideiussori in solido di pagare alla banca i canoni insoluti per il periodo compreso fra agosto 2015 e aprile 2016, interessi moratori e spese, dovuti in forza di contratto di locazione finanziaria di bene immobile stipulato il 7 luglio 2010. Con atto di citazione in opposizione gli ingiunti hanno chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e hanno introdotto inoltre domanda riconvenzionale di condan­na della società di leasing, in applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., alla restituzione di tutti i canoni già corrisposti o, previo accertamento della illegitti­mità della clausola di indicizzazione e del piano di ammortamento alla francese, alla restituzione degli interessi ultralegali percepiti per indeterminatezza della relativa pattuizione; in subordine, ove fosse ritenuta la validità della clausola penale prevista dai contratti di leasing, gli opponenti hanno chiesto la riduzione ad equità a norma dell’art. 1384 c.c.. Gli opponenti deducono che, qualificato il rapporto negoziale come leasing traslativo, debba in via analogica trovare applicazione l’art. 1526 c.c., con la conseguenza che, risolto il contratto per inadempimento dell’utilizzatore, questi è tenuto al rilascio del bene ma ha diritto alla restituzione delle rate pagate salvo il diritto della controparte ad un equo compenso per l’uso del bene; affermano dunque che, nulla perché vessatoria e non oggetto di specifica e separata sotto­scrizione la clausola contrattuale n. 19 (secondo cui in caso di risoluzione le rate scadute restano [continua ..]


5. In merito alle componenti derivative

Può accadere che nel contratto di mutuo a tasso variabile venga inserita una clausola floor la quale può essere definita come quella clausola che prevede un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti alla banca non possono scendere. Con l’inserimento di una clausola floor (pavimento) in un contratto di finanziamento bancario, si pattuisce una soglia percentuale al di sotto della quale gli interessi corrispettivi, dovuti dal finanziato alla banca, non possano scendere. Se nel contratto sia stabilito un tasso di interesse variabile, parametrato ad esempio all’indice Euribor, e tale tasso nel corso del rapporto scendesse al di sotto della soglia percentuale prefissata nella clausola floor – ad esempio il 3,5% – in tale ipotesi alla banca sarebbe comunque dovuto un tasso di interesse pari al 3,5%. Alla clausola floor può essere o meno associata una clausola c.d. cap (tetto) in favore del cliente, che in contrapposizione alla clausola floor determina il tetto massimo degli interessi corrispettivi dovuti dal cliente. La clausola floor è una previsione pattizia sicuramente legittima e funzionale al soddisfacimento di una giustificata necessità dell’intermediario finanziario di ricavare, con la concessione del finanziamento, un lucro minimo predeterminato, in un periodo storico connotato dall’abbassamento dei tassi. Si noti inoltre che la previsione di una clausola floor comporta dei vantaggi anche per il cliente, in quanto all’inserimento di una clausola floor in contratto, si accompagna normalmente, quale contropartita per il finanziato, uno spread inferiore rispetto a quelli offerti nei contratti di finanziamento che contemplano meccanismi di indicizzazione puri, senza alcuna clausola floor (così: ABF Collegio di Napoli, Decisione n. 305/2012 4; ABF Collegio di Napoli, Decisione n. 4191/2015). In particolare, tra le contestazioni più diffuse a cui il cliente sostiene consegua l’invalidità della clausola, vi sarebbe la sua presunta natura vessatoria, nonché la sostenuta qualificazione della medesima quale derivato finanziario implicito, con la conseguente richiesta di applicazione delle disposizioni del Testo Unico Finanziario – e della ulteriore normativa di settore – al contratto di finanziamento (al che, non avendo la banca considerato la normativa finanziaria, conseguireb­bero a cascata una lunga serie di [continua ..]


6. In merito al riscatto

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, in materia di riscatto del bene oggetto di locazione. Il Tribunale Bergamo, con Sentenza del 24 gennaio 2020, n. 233, ha stabilito che l’omessa indicazione delle modalità di consegna del bene alla scadenza non fa venir meno l’obbligo di restituzione. All’intervenuta scadenza del contratto di leasing senza esercizio del diritto di riscatto da parte dell’utilizzatore, consegue una detenzione sine titulo del bene medesimo da parte dell’utilizzatore medesimo; la mancata indicazione delle modalità di consegna non può dunque far venire l’obbligo restitutorio, gravante ex lege sull’utilizzatore. La Corte di Cassazione, con sent. 24 agosto 2018, n. 21058, è intervenuta in tema di cessione anticipata del contratto di leasing e di diritti in capo al ces­sionario, stabilendo quanto segue. Nell’ipotesi di cessione anticipata del contratto di leasing, in capo al cessio­nario sorge sia il diritto di utilizzare il bene, sia quello di esercitare il diritto di riscatto, sicché il corrispettivo è assoggettato ad un diverso regime fiscale, in quanto la parte che riguarda il diritto di godere del bene si correla ai canoni futuri e va ripartita con la tecnica dei risconti sulla durata residua del negozio, mentre quella afferente l’opzione di acquisto può essere ammortizzata solo nel caso di eventuale esercizio del diritto di riscatto, con l’ulteriore conseguenza che il cessionario, ai fini della determinazione delle quote imputabili a ciascun eser­cizio, deve fare riferimento alla differenza tra il costo sostenuto e la sopravve­nienza attiva tassabile, ovvero al valore “normale” netto del bene ai sensi degli artt. 9, comma 3, e 88, ultimo comma, TUIR. La Suprema Corte, con sent. n. 13956/2019, ha chiarito che la clausola che pone a carico dell’utilizzatore l’intero rischio di perdita del bene non è vessatoria. In altri termini, non aggrava gli obblighi che sarebbero stati a carico del lessee ove il contratto avesse avuto normale esecuzione.


7. In merito ai tassi di interesse

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, in materia di tassi di interesse. Il Tribunale Milano, con sent. 1° marzo 2019, n. 2066, ha stabilito che non risulta ravvisabile alcuna nullità, per violazione della normativa antitrust, rispetto al riferimento all’Euribor nella determinazione del tasso di interesse, non essen­dovi prova dell’esistenza di accordi di cartello fra le banche diretti ad influenzare la determinazione di tale tasso. Il Tribunale di Torino, con sent. 7 gennaio 2019, n. 29, è intervenuto in ma­teria di contratti di finanziamento, stabilendo che il tasso moratorio e il tasso corrispettivo non possono essere applicati congiuntamente nel medesimo lasso temporale. In altri termini, in materia di contratto di finanziamento, quale il contratto di leasing, il tasso moratorio e quello corrispettivo non possono essere applicati congiuntamente nel medesimo lasso temporale, poiché gli interessi corrispettivi si applicano soltanto sul capitale a scadere, mentre quelli moratori si applicano sul debito scaduto. Dunque, il tasso moratorio sostituisce quello corrispettivo, ma non può sommarsi ad esso. Il Tribunale Milano, con sent. 7 luglio 2020, n. 3959, ha stabilito che, con la stipula del contratto di leasing, l’utilizzatore assume l’obbligazione principale di pagare in favore della concedente degli importi a titolo di canone periodico, nel quale non vi è evidenza di distinzione tra quota interessi e quota capitale, proprio perché esso costituisce il corrispettivo per il godimento del bene, non una rata di ammortamento del capitale (come avviene nel contratto di mutuo); da ciò deriva che il contratto di leasing richiede l’indicazione dell’ammontare del canone, ma non l’indicazione di un tasso di interesse che, in quanto tale, non costituisce un elemento del contratto. Il Tribunale Torino, con sent. 30 gennaio 2020, n. 563, ha chiarito che i provvedimenti della Banca d’Italia che prevedono l’esplicitazione dell’ISC non sono riferibili al contratto di leasing. In particolare, i provvedimenti emessi dalla Banca d’Italia, con riferimento alla Circolare 21 aprile 1999, n. 229, al 9° aggiornamento del 25 luglio 2003 e al provvedimento del 29 luglio 2009, non sono riferibili al contratto di leasing in quanto prevedono l’esplicitazione dell’I.S.C. (indicatore sintetico di [continua ..]


8. In merito agli aspetti fiscali

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, in materia di aspetti fiscali. Il Tribunale Pordenone, con sent. 24 aprile 2020, n. 222, ha aderito ai principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza dell’8 marzo 2019, n. 6882), principi invero enunciati con riferimento ad un contratto di locazione ma applicabili anche ad un contratto di mutuo, non ostandovi alcun elemento – rilevante – di differenziazione. Secondo la citata pronuncia: è legittima nel contratto di locazione ad uso diverso da abitazione la clausola secondo cui il conduttore deve farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo “manlevato” il locatore, dovendosi ritenere che detta pattuizione non determini la traslazione in capo al conduttore dei tributi gravanti sull’immobile a carico del proprieta­rio/locatore, ma la mera integrazione del canone di locazione. Le SS.UU. hanno affermato, altresì, che tale clausola non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, né in particolare per violazione del precetto costituzionale dettato dall’art. 53 della Costituzione, qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente. Nel caso in esame la clausola di traslazione fiscale svolge la precisa funzione di integrare il corrispettivo del finanziamento e, dunque, non altera i termini costituzionali del sistema impositivo. La Corte di Cassazione, con sent. 16 ottobre 2015, n. 20951, è intervenuta in materia di imposta sul valore aggiunto, stabilendo quanto segue. Ai sensi dell’art. 30, comma 3, alinea e, lett. c), d.P.R. n. 633/1972, l’utilizzatore ha diritto al rimborso dell’eccedenza detraibile dell’i.v.a. di importo superiore ad euro 2.582,28, assolta relativamente a beni ammortizzabili detenuti in virtù di contratto di leasing, in quanto tale operazione di leasing deve essere equiparata, per detto utilizzatore, all’acquisto di un bene di investimento e, quindi, si verifica a suo favore, anche prima dell’esercizio del diritto di riscatto, l’ipotesi di acquisto di un bene ammortizzabile prevista dalla norma citata. Quanto all’IMU, nel leasing, soggetto passivo è il locatario per tutta la durata del [continua ..]


9. Varie

Si riportano di seguito le principali pronunce, di merito e di legittimità, relative a vari argomenti in tema di leasing. La Corte di Cassazione, con ord. 14 settembre 2017, n. 2510, depositata il 1° febbraio 2018, ha precisato che il contratto di leasing è soggetto alla disciplina della trasparenza bancaria, rientrando quindi nella disciplina dell’art. 117 ss. t.u.b. In particolare, la Suprema Corte ha sottolineato che tale contratto – rientrando nell’ambito della prestazione di servizi bancari e finanziari –, deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità. Alla luce di quanto stabilito, ai fini dell’am­missione al passivo fallimentare, la banca dovrà necessariamente produrre il contratto in forma scritta. Il Tribunale di Milano, con Ordinanza del 15 novembre 2018, ha precisato che, nei contenziosi relativi ai contratti di leasing, è l’utilizzatore che deve dimostrare il pagamento dei canoni, mentre il concedente può allegare il semplice inadempi­mento e la risoluzione del contratto per effetto della clausola risolutiva espressa. In particolare, nell’ordinanza in oggetto è stato specificato che anche nei contratti di leasing l’onere della prova ricalca i principi generali della responsabilità contrattale. Il Tribunale di Milano, respingendo le eccezioni formulate dall’utiliz­zatore, ha chiaramente evidenziato che grava sulla parte onerata «la prova dell’e­satto adempimento dell’obbligazione e che, pertanto, a fronte della contestazione dell’inadempimento, la convenuta avrebbe dovuto dimostrare i pagamenti dei ratei del contratto di leasing». La Corte di Cassazione, con sent. 12 giugno 2018, n. 15200, ha affermato quanto segue in tema di mediazione: «In tema di condizione di procedibilità relativa all’esperimento della mediazione ex art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, il riferimento della norma ai contratti ‘bancari e finanziari’ contiene un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB (d.lgs. n. 385 del 1993), nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (d.lgs. n. 58 del 1998), sicché non è estensibile alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di [continua ..]


10. Leasing: metodo finanziario e metodo patrimoniale

Da ultimo, si analizza di seguito i metodi per rilevare in contabilità il contratto di leasing finanziario. Il d.lgs. n. 139/2015 ha introdotto in bilancio il principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica. I principi con­tabili nazionali sanciscono l’esposizione del leasing finanziario in bilancio con il metodo patrimoniale ma l’introduzione all’art. 2423-bis del punto 1-bis lascia spazio a dubbi interpretativi, recentemente l’Organismo italiano di contabilità ha aggiornato sia l’OIC 12– Composizione e schema del bilancio di esercizio, sia l’OIC 11– Finalità e postulati del bilancio di esercizio.


10.1. Registrazione del leasing con il metodo finanziario

Per il leasing finanziario il principio IFRS 16 (adottato con Regolamento UE 2017/1986) introduce il right use approach secondo cui tutti i leasing generano sia attività che passività che debbono essere rilevate da entrambi i contraenti. Il leasing, pertanto, viene definito come un contratto che attribuisce il diritto di controllare l’utilizzo di una risorsa identificata o sottostante per un periodo di tempo in cambio di un corrispettivo. In questa ipotesi il leasing è trattato come una vendita: il locatore elimina dal proprio bilancio il bene dato in leasing e iscrive un credito pari all’importo dei canoni che andrà a incassare; il locatario rileverà il cespite (al costo sostenuto dal concedente) e il debito verso il locatore, che andrà via via a diminuire con lo storno al pagamento dei canoni; il locatario rileverà l’ammortamento al pari delle altre immobilizzazioni pos­sedute.


10.2. Registrazione del leasing con il metodo patrimoniale