Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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I rapporti di lavoro nel Terzo Settore (di Fiorella Lunardon, Professore Ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Torino.)


L’intervento mira a fornire un’analisi approfondita dell’attività lavorative nell’ambito del terzo settore, tenuto conto del d.lgs. n. 117/2017. L’autore affronta la materia illustrando il lavoro nel mercato e focalizzando l’attenzione sulle retribuzioni e il trattamento dei dipendenti. Da ultimo, la trattazione analizza il caso del volontariato.

Labor relationship in the Third Sector

The paper aims to provide an in-depth analysis of the labor activity within the context of the third sector, taking into account the Legislative Decree n. 117/2017. The author addresses the subject by illustrating the labor activities in the market and focusing on the salaries and treatment of employees. At the end, the paper analyzes the case of volunteering.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il lavoro nel mercato: a) il tetto massimo alle retribuzioni - 3. Segue: b) Il trattamento economico e normativo dei dipendenti dell’ETS - 4. Segue: c) Il limite alle differenze retributive - 5. Il volontariato - NOTE


1. Premessa

Il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. Codice del Terzo Settore) [1] contiene di­sposizioni che si occupano sia del “lavoro nel mercato” (vale a dire, classica­mente, il lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato, ovvero di collaborazio­ne coordinata continuativa), sia del “lavoro fuori mercato”, ovvero quelle presta­zioni che presuppongono l’inesistenza di un qualsiasi rapporto di lavoro con l’en­te o l’associazione di appartenenza. Nel primo caso, il contesto entro il quale viene svolta l’attività lavorativa (or­ganizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, impresa sociale e/o cooperativa sociale) non è determinante, atteso che per il diritto del lavoro, ovunque si sia, se si è in presenza di una prestazione di lavoro subordinato si applica inderogabilmente la disciplina tipica protettiva. Nel secondo caso acquistano invece rilievo le disposizioni del Codice che si occupano delle prestazioni di lavoro dei volontari e che sostituiscono, abrogan­dola, la precedente disciplina contenuta nella legge quadro n. 266/1991.


2. Il lavoro nel mercato: a) il tetto massimo alle retribuzioni

Le disposizioni che il decreto legislativo dedica al “lavoro nel mercato” sono essenzialmente due: l’art. 8, comma 3, e l’art. 16. La prima è volta ad evitare che retribuzioni eccessive nascondano una im­plicita ripartizione di utili, in un settore in cui, essendo l’ETS (Ente del Terzo Settore) strutturalmente caratterizzato dall’assenza di lucro, vige l’obbligo di de­stinazione esclusiva delle risorse finanziarie al perseguimento degli scopi istitu­zionali [2]. Strumentale a tale obbligo è il divieto, di cui al comma 2 del citato art. 8, di distribuzione sia diretta che indiretta di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve, comunque denominati, a “fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo”. Ed infatti il comma 3 considera distribuzione indiretta di utili “la correspon­sione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015…”. Resta il problema di capire come effettuare il calcolo della anzidetta percentuale e soprattutto come individuare la base di quel calcolo (il minimo, la retribuzione c.d. fissa, o anche la retribuzione variabile?). Secondo la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 27 febbraio 2020 i “valori retributivi da prendere in considerazione ai fini del rispetto del rapporto percentuale di cui all’articolo in esame” sono costituiti dalle cor­responsioni previste dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 (vale a dire stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappre­sentative, v. infra), ai diversi livelli. “In particolare – continua la circolare – stante il generico richiamo al concetto di retribuzione, si ritiene che debba essere presa a riferimento a tal fine anche la parte variabile della retribuzione stessa, purché prevista dai contratti collettivi” di cui sopra. Nel computo dunque sarebbero da considerare anche le eventuali somme aggiuntive previste dalla contrattazione territoriale o aziendale. Per di più siffatti importi – tutti – dovrebbero [continua ..]


3. Segue: b) Il trattamento economico e normativo dei dipendenti dell’ETS

Con il disposto di cui all’art. 16 del Codice il legislatore persegue la ratio (da certo punto di vista opposta a quella perseguita con il divieto di superamento del tetto retributivo del 40% sopra descritta) di evitare che il lavoratore dell’ETS sia destinatario di un trattamento deteriore rispetto ai dipendenti degli altri settori. La norma stabilisce che “i lavoratori del terzo settore hanno diritto ad un trat­tamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81” (art. 16, comma 1) [4]. Tali sono i contratti collettivi “stipulati da associazioni sindacali comparati­vamente più rappresentative sul piano nazionale” e i “contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. Come ho già avuto occasione di osservare [5] la disposizione, al di là della sua immediata valenza protettiva, acquista un più preciso significato se viene confron­tata con l’art. 14 della precedente legge sull’impresa sociale (la legge n. 155/2006 oggi sostituita dal d.lgs. n. 112/2017), alla cui stregua ai lavoratori di tale forma di impresa non poteva essere corrisposto “un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili”. Il mero termine “applicabili” non offriva garanzia alcuna sulla qualità del contratto collet­tivo prescelto dal datore di lavoro. Per evitare il c.d. dumping contrattuale e contrastare il fenomeno dei c.d. “contratti pirata” [6] il legislatore della riforma del Terzo Settore ha dunque optato per l’adozione di quello che ormai è un criterio comune, vale a dire per la selezione del contratto collettivo più “affidabile” attraverso la valutazione della qualità (misurata in termini di rappresentatività comparata) dei soggetti sindacali che lo hanno stipulato [7]. Il filtro del “sindacato comparativamente più rappresentativo” consente infatti di individuare, in un determinato settore, il soggetto sindacale più forte ovvero il più rappresentativo all’esito del “confronto con” le altre sigle sindacali [8]. Solo il contratto collettivo stipulato dal sindacato [continua ..]


4. Segue: c) Il limite alle differenze retributive

L’art. 16 del d.lgs. n. 117/2017 introduce anche un ulteriore, peculiare criterio (ma sarebbe meglio dire limite) in materia retributiva, disponendo che: “in ogni caso, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda”. La ratio è chiaramente quella di evitare politiche interne sperequative, incom­patibili con le finalità di giustizia sociale perseguite dagli Enti del terzo Settore [9]. In proposito la circolare del 27 febbraio 2020 puntualizza che “ai fini del rispetto del rapporto proporzionale indicato nella disposizione, il trattamento eco­nomico andrà commisurato alla retribuzione più bassa già in essere presso l’ETS, in sintonia con la ratio legis di contenere entro un limite definito il divario con le retribuzioni applicate ai titolari delle posizioni di responsabilità dell’ente”. Gli Enti del terzo Settore devono dare conto del rispetto del suddetto para­metro nel proprio bilancio sociale (art. 16 cit., ultimo periodo). Preme sottolineare che sia l’art. 8, sia l’art. 16 del Codice “non essendo dispo­sizioni legate da un nesso di diretta riconducibilità all’istituzione ed all’operatività del RUNTS (Registro unico nazionale del Terzo Settore) o all’adozione di atti di normazione secondaria … devono ritenersi immediatamente applicabili a decor­rere dalla data di entrata in vigore del Codice stesso (3 agosto 2017)”. In ossequio tuttavia al principio generale di irretroattività della legge (art. 11 preleggi) sia l’uno che l’altro disposto risultano applicabili solo ai rapporti di lavoro costituiti a partire dall’entrata in vigore del Codice. V’è da chiedersi se tale precisazione sull’efficacia temporale riguardi solo i limiti previsti dalle due norme (il tetto del 40% e il contenimento del divario retributivo nel proporzione da uno ad otto) o anche la selezione del trattamento minimo applicabile in base al criterio della maggiore rappresentatività comparata.


5. Il volontariato

L’art. 17, comma 2, d.lgs. n. 117/2017 definisce il volontario come “una per­sona che per sua libera scelta svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spon­taneo e gratuito, senza fine di lucro, neanche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà”. Nella definizione si ritrovano i tratti essenziali che già ricorrevano nella fattispecie prevista dalla legge n. 266/1991 (legge quadro sul volontariato): la spontaneità (“libera scelta”) [10], la personalità della prestazione [11], la gratuità della stessa [12], il fine di solidarietà. La differenza più cospicua rispetto alla definizione precedente sta nel fatto che nel vigore della legge n. 266 il volontario poteva svolgere la sua attività solo tramite l’organizzazione di cui faceva parte [13], mentre ora la disposizione recita “anche per il tramite di un ente del terzo settore”, con ciò intendendo ricompren­dere nella fattispecie anche il cosiddetto volontariato individuale [14], che agisce ed opera senza il filtro di una istituzione. Ulteriore distinzione è quella tra prestazione occasionale e non occasionale, vale a dire dotata di continuità. Il Codice introduce l’obbligo per gli ETS di iscrivere in un apposito registro tutti i volontari non occasionali così accentuando la differenza tra il volontariato non occasionale (continuativo), in forza del quale un soggetto pone a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per il tramite di un Ente o un’organiz­zazione e il volontariato libero/occasionale, ora preso in considerazione dalla definizione legale. Sorge pertanto il dubbio che le disposizioni legislative si applichino solo al volontario che svolge la sua attività attraverso una struttura. A tale riguardo la legge ribadisce l’incompatibilità della prestazione del volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato, autonomo ecc. e ogni altro rapporto di lavoro retribuito (art. 17, comma 5, d.lgs. n. 117/2017). Trattasi di una clausola di salvaguardia, tesa ad evitare le ben note tentazioni [continua ..]


NOTE