Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La composizione delle crisi da sovraindebitamento.... (di Luciano M. Quattrocchio-Bianca M. Omegna)


Articoli Correlati: crisi da sovraindebitamento

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. I presupposti di ammissibilità - 3. Il contenuto dell’accordo - 4. Il deposito della proposta di accordo - 5. Il procedimento - 6. Il raggiungimento dell’accordo - 7. L’omologazione dell’accordo - 8. L’omologazione del piano del consumatore - 9. L’esecuzione dell’accordo - 10. L’impugnazione e la risoluzione dell’accordo - 11. La revoca e la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore - 12. L’organismo di composizione della crisi - 13. Conclusioni


1. Premessa

La procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento è stata introdotta dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3, intitolata “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, successivamente modificata dal d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221. Si tratta della legge spesso citata come “legge Centaro”, dal nome del senatore (un magistrato) unico firmatario della stessa, ma forse più nota ai non addetti ai lavori come legge “salva suicidi”. L’art. 6, comma 1, della l. n. 3/2012, intitolato “Finalità e definizioni” – individua con chiarezza la natura della procedura, precisando che si tratta di un “accordo con i creditori”, finalizzato a «porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali (diverse da quelle regolate dal presente capo)». In particolare, essa consente di pagare – in misura ridotta – i debiti, sulla base della capacità patrimoniale e reddituale, e di ottenere un fresh start che – nelle intenzioni del legislatore – consente di evitare il ricorso a forme di credito alternative (ad esempio, il prestito usurario). Le procedure di composizione della crisi sono tre: 1) l’accordo di ristrutturazione dei debiti; 2) il piano del consumatore; 3) la liquidazione del patrimonio del debitore. Il debitore consumatore ha la possibilità di accedere a tutte e tre le procedure, mentre le altre tipologie di debitori hanno a loro disposizione solo le procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti e di liquidazione del patrimonio. In particolare, oltre al “consumatore” Vi è una vasta platea di soggetti – titolari di situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle procedure concorsuali – che possono accedere alle procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti e di liquidazione del patrimonio: a) gli imprenditori commerciali sotto soglia, ossia gli imprenditori le cui dimensioni escludono la loro assoggettabilità al fallimento; b) gli imprenditori agricoli; c) le start-up innovative, ossia le imprese di nuova costituzione che hanno – come oggetto – progetti innovativi; d) i professionisti, gli artisti e gli altri lavoratori [continua ..]


2. I presupposti di ammissibilità

L’art. 7, comma 1, muovendo dalla definizione di cui all’art. 1, – e, cioè, lo stato di “sovraindebitamento” – conferma la natura negoziale della procedura, attraverso la previsione che il debitore «può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’art. 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’art. 9, comma 1, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano». In particolare, la qualificazione della procedura in termini di “accordo” sancisce – con assoluta chiarezza – il carattere negoziale della stessa, estesa – con le precisazioni di cui si dirà infra – a qualsiasi “debitore”; e, quindi, a qualsiasi soggetto in “stato di sovraindebitamento”, indipendentemente dalla sua qualificazione soggettiva. L’“accordo di ristrutturazione dei debiti” deve fondarsi su un piano che assicuri «il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 del codice di procedura civile e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali». Il piano deve, inoltre, prevedere «scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi» e indicare «le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni». Da tale precisazione si evince che il piano si caratterizza per una componente, soltanto eventuale, di natura liquidatoria – la norma parla di “eventuale liquidazione dei beni” – ed in via prevalente e necessaria di una componente non liquidatoria. In altri termini, il piano – che deve condurre a un riordino negoziale della crisi – può fondarsi sia sul riequilibrio della sua posizione debitoria attraverso un’adeguata correzione della dinamica dei cash flow sia, eventualmente, sulla liquidazione dei beni del debitore. Ancora, il piano può prevedere una suddivisione dei creditori in classi – senza distinzioni fra creditori chirografari e creditori privilegiati – e il rilascio di garanzie – sia reali sia personali, anche da parte di terzi – per l’a­dem­pimento dei debiti. Inoltre, è «possibile prevedere [continua ..]


3. Il contenuto dell’accordo

L’art. 8 disciplina il contenuto dell’accordo, stabilendo – in apertura – che la proposta deve prevedere «la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri». Il richiamo all’ampia nozione di “ristrutturazione” conduce a ritenere che l’accordo possa avere carattere remissorio, dilatorio o misto e attuarsi attraverso qualsiasi forma di pagamento, compresa la datio in solutum o la cessione di crediti futuri. Più in particolare, la proposta di accordo può prevedere: a) la dilazione del pagamento dei debiti (cd. accordo dilatorio o moratoria); b) la remissione (o esdebitazione) parziale dei debiti (cd. accordo remissorio o esdebitativo); c) la dilazione del debito ridotto per effetto della remissione parziale (moratoria con esdebitazione parziale). Vi sono, tuttavia, i seguenti limiti alla libertà di contenuto della proposta: 1) ai creditori titolari di crediti impignorabili non può essere proposta né la moratoria, né la parziale esdebitazione, in quanto essi vanno pagati alle scadenze pattuite e nella misura integrale; 2) ai creditori titolari di tributi costituenti risorse proprie dell’UE, allo Stato per l’IVA e le ritenute alla fonte non può essere proposta la remissione parziale del debito, ma solo la dilazione; 3) deve essere rispettato l’ordine delle cause legittime di prelazione, vale a dire il vincolo della graduazione dei crediti, per cui i creditori di grado inferiore possono essere pagati solo se quelli di grado superiore sono stati integralmente pagati. È, peraltro, stato affermato che anche nel sovraindebitamento «deve ritenersi applicabile la falcidia dell’IVA e degli altri tributi exart. 7 l. 3/12, in quanto la sentenza della Corte di Giustizia del 7.4.2016 esprime un principio di carattere generale, immediatamente applicabile a tutte le procedure che regolano l’uscita di un soggetto da una situazione di incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni» (Trib. Torino, 7 agosto 2017). In ogni caso, in ipotesi di risorse esterne (cd. surplus o nuova finanza), cioè quando le somme destinate al pagamento dei creditori non provengono dal patrimonio del debitore, bensì da quello di un soggetto terzo, non vi è alcun vincolo circa la [continua ..]


4. Il deposito della proposta di accordo

L’art. 9 caratterizza la natura giudiziale della procedura, individuando, in apertura, la competenza territoriale del tribunale, in base al luogo in cui il debitore ha la residenza ovvero la sede principale. Evidentemente, la “sede principale” rileva esclusivamente per il debitore che rivesta la qualità di imprenditore, ancorché non fallibile, o di professionista. La proposta, contestualmente al deposito presso il tribunale, e comunque non oltre tre giorni, «deve essere presentata, a cura dell’organismo di composizione della crisi, all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del proponente e contenere la ricostruzione della sua posizione fiscale e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti». Inoltre, come sancito dal comma 2, il debitore – unitamente alla proposta – deve depositare i documenti di seguito elencati: a) l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni; b) le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; c) l’attestazione sulla fattibilità del piano; d) l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia; e) l’indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia. Nel caso in cui il debitore svolga attività d’impresa, l’obbligo di deposito si estende anche alle scritture contabili degli ultimi tre esercizi, unitamente a una dichiarazione che ne attesti la conformità all’originale. Non è chiara la portata della previsione, giacché l’obbligo di tenuta e di conservazione delle scritture contabili, che civilisticamente incombe soltanto sugli imprenditori commerciali “ordinari” o “non piccoli” (non necessariamente fallibili), si estende – ma solo fiscalmente – anche agli altri imprenditori, fatte salve situazioni marginalissime (cd. imprenditori “minimi”). Nel solo caso del consumatore, alla proposta di piano deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi, contenente: a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza [continua ..]


5. Il procedimento

L’art. 10 disciplina la fase giudiziale della procedura, prevedendo in particolare che il giudice, dopo avere verificato i presupposti di ammissibilità e il deposito della proposta e dei documenti a corredo, deve fissare con decreto l’udienza, «disponendo la comunicazione almeno trenta giorni prima del termine di cui all’art. 11, comma 1, ai creditori presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto. Tra il giorno del deposito della documentazione di cui all’art. 9 e l’udienza non devono decorrere più di sessanta giorni». Pare ragionevole ritenere che la norma debba essere intesa in senso restrittivo e, cioè, che l’oggetto della comunicazione si limiti alla proposta, e non si estenda invece ai documenti a corredo; oltre ovviamente al decreto di fissazione dell’udienza. Il giudice, oltre a disporre che la proposta e il decreto stesso debbano essere portati a conoscenza dei creditori, attraverso una comunicazione ad personam, dispone che gli stessi documenti siano resi conoscibili attraverso idonea forma di pubblicità; «nonché, nel caso in cui il proponente svolga attività d’impresa, la pubblicazione degli stessi in apposita sezione del registro delle imprese». La scelta dello strumento pubblicitario è demandata al giudice, verosimilmente in ragione delle dimensioni e della portata della crisi, nonché della natura dei beni che compongono il patrimonio del debitore. Pare – tuttavia – ragionevole ritenere che la pubblicazione presso il registro delle imprese, nel caso di debitore che rivesta la qualità di imprenditore, non soddisfi sempre e pienamente l’esigenza di pubblicità. Idoneo strumento integrativo di pubblicità è – infatti – costituito dalla trascrizione del decreto, a cura dell’organismo di composizione della crisi, presso gli uffici competenti, «ove il piano preveda la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati». Il decreto di apertura della procedura produce gli effetti del pignoramento. Inoltre, l’apertura del procedimento, che forse potrebbe essere fatta coincidere con il deposito del decreto del giudice, non produce effetti solo immediati, [continua ..]


6. Il raggiungimento dell’accordo

L’art. 11 prevede che, aperta giudizialmente la procedura, intervenga l’or­ganismo di composizione della crisi, al quale i creditori devono far pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, la «dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come eventualmente modificata, almeno dieci giorni prima dell’udienza di cui all’art. 10, comma 1». In mancanza, «si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata». Si ritiene che la proposta di accordo possa essere modificata fino alla data in cui i creditori possono far pervenire il loro consenso o dissenso alla stessa: la legge – peraltro – prevede la possibilità di apportare modifiche alla proposta di accordo, senza però disporne le modalità. A differenza dell’accordo di ristrutturazione previsto dalla legge fallimentare, l’accordo dei creditori non deve costituire un’allegazione del ricorso, ma è rimesso a una determinazione successiva. Pertanto, l’attestazione (v. infra) riveste – in tale fase – carattere preliminare e provvisorio, al pari della “dichiarazione” di cui all’art. 182-bis, comma 6, l.f. In analogia con l’accordo di ristrutturazione di cui alla legge fallimentare, è prevista una maggioranza super-rafforzata: la legge prevede, infatti, che – ai fini dell’omologazione – «è necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori che rappresentano almeno il settanta per cento dei crediti». Laddove, nei casi di sovraindebitamento del consumatore, non è richiesta l’appro­va­zione; circostanza, quest’ultima, che pone in evidenza un chiaro favor legislativo nel caso di “debitore debole”. La valutazione della convenienza spetta – dunque – ai creditori, i quali sono chiamati ad esprimere il loro consenso o dissenso rispetto alla proposta del debitore. Evidentemente, i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento «non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione». Inoltre, [continua ..]


7. L’omologazione dell’accordo

L’art. 12 disciplina il perfezionamento dell’accordo e la sua omologazione, ponendo in evidenza la centralità dell’organismo di composizione della crisi, di cui si dirà meglio più oltre. In particolare, il comma 1 – che esalta la natura negoziale dell’accordo – pone a carico dell’organismo di composizione della crisi, in caso di esito positivo dell’accordo, l’onere di trasmettere ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale, allegando il testo dell’accordo stesso; con la precisazione che, nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione, i creditori possono sollevare contestazioni. La centralità e la funzione di governo dell’organismo di composizione della crisi è sancita dall’ulteriore previsione per cui, trascorso il termine dei dieci giorni, quest’ultimo deve trasmettere al giudice «la relazione, allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano». A questo punto interviene nuovamente il giudice che, verificato il raggiungimento dell’accordo con la percentuale di cui si è detto, appurata l’ido­neità ad assicurare il pagamento dei crediti pignorabili e risolta ogni altra contestazione, omologa l’accordo e ne dispone la pubblicazione utilizzando le stesse forme di cui si è detto più sopra. Tenuto conto del tenore della norma, si deve forse ritenere che il controllo del giudice non sia soltanto formale, ma sostanziale, atteso che la verifica si estende non soltanto alla completezza della documentazione ed alla sua astratta conformità alla legge, ma involve una valutazione dell’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento integrale dei crediti non pignorabili e dei crediti IVA, delle ritenute d’accon­to operate e non versate; nonché una valutazione della convenienza dell’ac­cordo, per l’even­tuale creditore dissenziente, escluso o terzo interessato, che la contesti. Peraltro, quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo, «il giudice lo omologa se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria [continua ..]


8. L’omologazione del piano del consumatore

Il piano del consumatore – che, al pari dell’accordo di ristrutturazione, deve prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, sulla base di un piano che, assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adem­pi­mento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni – presenta alcune peculiarità. Anzitutto, il decreto di fissazione dell’udienza di omologazione può qualificarsi come provvedimento di ammissione alla procedura, considerando superati i profili di ammissibilità, in quanto, a differenza della proposta di accordo, alcuni rilevanti effetti sono differiti al decreto di omologazione, che è equiparato al pignoramento. Inoltre, a differenza che nell’accordo, il decreto di ammissione non è pubblicizzato. In tale contesto, il giudice deve preliminarmente verificare le condizioni di ammissibilità e, dunque, la sussistenza dei presupposti oggettivo e soggettivo (sovraindebitamento e qualifica di soggetto non fallibile) e che il piano o la proposta dell’accordo non contengano violazioni di norme imperative. Tali controlli sono effettuati dal giudice in piena autonomia. Per contro, gli ulteriori profili sui quali interviene il controllo del giudice, meritevolezza, fattibilità e convenienza, sono sottoposti al controllo giurisdizionale, ma con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi. In secondo luogo, la proposta del consumatore non è sottoposta all’appro­vazione dei creditori. Alla volontà di questi ultimi è sostituita la valutazione discrezionale del giudice che esamina la fattibilità del piano, l’assenza degli atti in frode ai creditori e la meritevolezza del consumatore, nonché la convenienza della proposta in ipotesi di contestazioni al riguardo. La comunicazione della proposta del piano, pur se prevista dalla legge, non è – infatti – funzionale al voto, ma solo a un’eventuale contestazione relativa alla convenienza della proposta rispetto all’ipotesi di liquidazione de patrimonio. E, anche in ipotesi di contestazione da parte di uno o più [continua ..]


9. L’esecuzione dell’accordo

L’esecuzione dell’accordo è rimessa, a seconda dei casi, allo stesso debitore, ad un liquidatore “volontario” ovvero ad un liquidatore di nomina giudiziale. Quest’ultimo è nominato dal giudice se «per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall’accor­do»; in tale caso, egli dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate. Pare doversi ritenere che l’intervento di quest’ultimo, quando non pre­visto dall’accordo, si estenda soltanto alla liquidazione dei beni sottoposti a pi­gnoramento. In ogni caso, la funzione di vigilanza è svolta dall’organismo di composizione della crisi, cui è demandato il compito di risolvere «le difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo» e di vigilare «sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità». Il giudice conserva la funzione di decidere sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti e sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi. Quando l’attività liquidatoria riguardi beni sottoposti a pignoramento o a gravame, la norma prevede che il giudice, «sentito il liquidatore e verificata la conformità dell’atto dispositivo all’accordo o al piano del consumatore, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo, autorizza lo svincolo delle somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo, ivi compresa la trascrizione del decreto di cui agli articoli 10, comma 1 e 12-bis, comma 3, e la cessazione di ogni altra forma di pubblicità». In ogni caso il giudice può, con decreto motivato, «sospendere gli atti di esecuzione dell’ac­cordo qualora ricorrano gravi e giustificati motivi». La norma disciplina anche le conseguenze che derivano da pagamenti e atti dispositivi dei beni, posti in essere in violazione dell’accordo e del piano, prevedendo che gli stessi sono «inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui agli articoli 10, comma 2, e 12-bis, comma 3». Di [continua ..]


10. L’impugnazione e la risoluzione dell’accordo

L’art. 14 disciplina l’annullamento e la risoluzione dell’accordo, stabilendo in particolare che: a) l’accordo può essere annullato dal tribunale, su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, esclusivamente «quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti»; b) la risoluzione può essere richiesta da ciascun creditore, se il proponente «non adempie agli obblighi derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore». Il ricorso per l’annullamento deve essere proposto «nel termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto»; per contro, il ricorso per la risoluzione deve essere proposto a pena di decadenza «entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, «entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dall’accordo». In ogni caso, l’annullamento e la risoluzione dell’accordo non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede. Ancora una volta, si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c.; il tribunale provvede in composizione monocratica.


11. La revoca e la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore

Il tribunale, su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, può dichiarare la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano nelle seguenti ipotesi: a) quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’at­tivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti; b) se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano; c) se le garanzie promesse non vengono costituite; d) se l’esecuzione del piano diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore. Il ricorso per la dichiarazione di cui al comma 2, lett. a), deve essere proposto, a pena di decadenza, «entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto»; mentre, il ricorso per la dichiarazione di cui al comma 2, lett. b), deve essere proposto, a pena di decadenza, «entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo a­dempimento previsto dall’accordo». In ogni caso, la dichiarazione di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede.


12. L’organismo di composizione della crisi

L’art. 15 contiene la disciplina degli organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, prevedendo anzitutto che la costituzione sia demandata agli enti pubblici, nel rispetto di adeguate garanzie di indipendenza e professionalità. La norma prevede, peraltro, l’iscrizione di diritto – a semplice domanda – per: i) gli organismi di mediazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; ii) il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328; iii) gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai. Il decreto del Ministero della Giustizia 24 settembre 2014, n. 202, ha previsto i requisiti e le modalità di iscrizione nel registro tenuto presso il Ministero, la formazione dell’elenco degli iscritti e la sua revisione periodica, la sospensione e la cancellazione dal registro dei singoli organismi, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. Il registro è suddiviso in due sezioni: sezione A e sezione B. Nella Sezione A sono iscritti di diritto, su semplice domanda, gli organismi di composizione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’art. 22, comma 4, lett. a), della legge 8 novembre 2000, n. 328 e gli ordini professionali degli Avvocati, dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dei Notai sono iscritti anche quando associati tra loro. Nella sezione B sono iscritti a domanda, gli organismi costituiti dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dalle istituzioni universitarie pubbliche. Il d.m. n. 202/2014 ha, inoltre, previsto il registro dei gestori della crisi, ove il gestore della crisi è «la persona fisica che, individualmente o collegialmente, svolge la prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore». Possono essere iscritti nel registro dei gestori della crisi le persone fisiche che hanno i seguenti requisiti: a) laurea magistrale in materie economiche o giuridiche; b) specifica formazione [continua ..]


13. Conclusioni