Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Ne bis in idem. Inquadramento del tema e cenni ai reati tributari (di Gianni Reynaud)


Articoli Correlati: ne bis in idem - reati tributari

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il ne bis in idem inteso in senso sostanziale: la codificazione del principio di specialità ed i suoi limiti - 3. Il ne bis in idem in senso processuale: le fonti sovranazionali - 4. I concetti di “sanzione penale” e di “idem factum” nella giurisprudenza delle Corti europee - 5. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU: dalla sentenza Grande Stevens alla sentenza A e B contro Norvegia ed all’affer­mazione della regola della sufficiently close connection in substance and time - 6. La recente giurisprudenza della Corte di Giustizia: la compatibilità del doppio binario sanzionatorio in tema di omesso versamento del­l’IVA nella sentenza Menci - 7. La metamorfosi del principio del ne bis in idem nei più recenti approdi della giurisprudenza sovranazionale: dal piano processuale a quello sostanziale con valutazione da compiersi in concreto - 8. La giurisprudenza nazionale in materia di reati tributari: le prime pronunce e gli scenari futuri - NOTE


1. Premessa

Grazie Presidente. Buon pomeriggio a tutti e grazie per l’invito, che mi dà l’occasione, da un lato, di tornare a Torino, di incontrare nuovamente amici e professionisti conosciuti nei molti anni trascorsi negli uffici giudiziari subalpini e, d’altro lato, di soffermarmi a riflettere su questioni di diritto in una prospettiva di un po’ più di ampio respiro rispetto a ciò che il lavoro ordinario consente di fare. Il tema, come già ha detto il presidente, è estremamente interessante e co­involgente, propone problemi che negli ultimi anni hanno mostrato delle sfaccettature diverse e hanno assunto delle pieghe molto differenti anche in un arco temporale estremamente breve, a seguito di pronunce delle corti sovranazionali con cui i giudici nazionali e gli operatori del diritto interni debbono confrontarsi. Mi è stato chiesto di delineare un inquadramento generale del tema, ciò che posso provare a fare con i limiti che ha chi da tempo si occupa soltanto di diritto penale, e – visto che così ci siamo accordati con Alessandra Rossi – affronterò poi il tema del ne bis in idem nei reati tributari, che sono quelli che vengono trattati nella terza sezione penale della Corte di cassazione, di cui faccio parte. Rispetto al problema generale mi limiterò a qualche spunto, dicendo cose che probabilmente tutti conosciamo, ma che mi servono per dare una certa linea ai contenuti ed agli approfondimenti che poi gli altri relatori faranno nei temi a ciascuno assegnati.


2. Il ne bis in idem inteso in senso sostanziale: la codificazione del principio di specialità ed i suoi limiti

Noi siamo abituati a parlare di ne bis in idem in un’accezione sostanziale e processuale. Sul piano sostanziale, per i penalisti la questione si incentra soprattutto sull’art. 15 c.p., la disposizione che codifica il principio di specialità e mira ad evitare che qualcuno possa essere punito due volte allo stesso titolo. Si tratta di una norma che si presterebbe ad approfondimenti sui quali in questa sede non posso ovviamente soffermarmi, e mi limito quindi a ricordare che essa codifica uno dei principi che possono servire, ed in concreto servono, per verificare se ci si trova di fronte a un concorso apparente di norme oppure ad un concorso di reati. Sappiamo poi che dottrina e giurisprudenza hanno individuato allo stesso fine altri principi, in particolare quello di sussidiarietà ed il principio di consunzione o assorbimento. Ma il tema più interessante di cui credo tutti quest’oggi parleremo è quello che riguarda non tanto il bis in idem all’interno di un ordinamento o di un settore – quale potrebbe essere considerato il penale dell’economia, oppure il tributario o l’amministrativo – quanto la sua applicazione in senso trasversale, interdisciplinare. E allora anche qui, sul piano sostanziale, una norma esiste ed è l’art. 9 della legge n. 689/1981, che nell’ambito dei principi generali sull’illecito amministrativo si pone il problema del concorso apparente tra reato ed illecito amministrativo e, sempreché si tratti di fonti normative statali, lo risolve, al primo comma, richiamando essa pure il principio di specialità. Quindi, quando un determinato fatto è suscettibile di essere ricondotto sia a un illecito penale sia un illecito amministrativo non è che si applichi il reato perché la sanzione è più grave, ma si applica la norma speciale. Questo principio, tuttavia, da un lato è previsto da una fonte di legge ordinaria, sicché potrebbe essere derogato da altra norma di legge, come ricorda una sentenza recente della Cassazione [1]; d’altro lato, nonostante la sua portata generale, esso viene ripetuto in altre discipline settoriali, come ad esempio accade per i reati tributari nell’art. 19 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, un tipico settore in cui concorrono fattispecie penali e amministrative e nel quale la richiamata disposizione afferma che si applicano le [continua ..]


3. Il ne bis in idem in senso processuale: le fonti sovranazionali

Ecco perché, allora, al fine di evitare problemi di “doppia punibilità”, si è cercato di coltivare – con il richiamo a fonti sovranazionali ed alla giurisprudenza delle corti europee – una prospettiva diversa, che è quella del ne bis in idem inteso in senso processuale, vale a dire il divieto di sottoporre a procedimento un soggetto che già sia stato giudicato per lo stesso fatto. Le norme le conosciamo tutti. Viene in primo luogo in rilievo l’art. 4 del protocollo numero 7 alla CEDU, quindi un protocollo successivo alla Convenzione, approvato nel 1984, ratificato dall’Italia nel 1991 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1992, il cui com­ma 1 sancisce che «nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato». Una disposizione sostanzialmente a­na­loga si ritrova all’art. 50 nella Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), fatta a Strasburgo nel 2007 e che vincola tutti gli Stati dell’Unione («nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge»). Benché la Carta di Nizza (art. 52, § 3) preveda che laddove la stessa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU il loro significato e la loro estensione sono uguali a quelli della Convenzione, la prospettiva del diritto dell’Unione potrebbe apparire maggiormente utile a chi voglia invocare il divieto del bis in idem. Da un lato, di fatti, la citata disposizione prevede che esso possa concedere una protezione più estesa; d’altro lato, soprattutto, a differenza dei principi convenzionali, il diritto dell’U­nione è immediatamente applicabile negli Stati membri. È noto, infatti, che mentre le norme contenute nella CEDU possono trovare applicazione nel­l’ordi­namento interno soltanto se siano state recepite – e salva la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale della legge nazionale con le stesse contrastante per violazione [continua ..]


4. I concetti di “sanzione penale” e di “idem factum” nella giurisprudenza delle Corti europee

La giurisprudenza di questi anni, che ha delineato nuovi scenari nell’appli­cazione del principio del ne bis in idem, ha preso le mosse davanti alle Corti europee, la Corte di Strasburgo quanto al sistema convenzionale e la Corte di Giustizia di Lussemburgo quanto all’ordinamento dell’Unione europea. In quelle sedi giudiziarie sono state affrontate questioni che miravano proprio a limitare la possibilità di perseguire una seconda volta un soggetto che per lo stesso fatto avesse già subito l’irrogazione di una sanzione. Posto che le disposizioni sovranazionali che prima ho citato parlano di “sanzione penale”, bisogna fare però due precisazioni, che da tempo sono assolutamente pacifiche nella giurisprudenza sia di Strasburgo sia di Lussemburgo. In primo luogo, quando in queste disposizioni si parla di sanzioni penali, ci si riferisce ad un concetto di tipo sostanziale, delineato, ai fini dell’applica­zione dei principi sul giusto processo di cui all’art. 6 e sulla pena di cui all’art. 7 della CEDU, in base ai cosiddetti Engel criteria, fissati per la prima volta nella sent. Corte EDU 8 giugno 1976 nella causa Engel e aa. c. Paesi Bassi. In applicazione di questi criteri, in particolare, si ritiene che la sanzione abbia natura penale – quand’anche l’illecito che la origina, nell’ordinamento dello Stato, non sia definito come tale, e sia magari individuato, come spesso accade, quale illecito amministrativo – se abbia delle caratteristiche sostanzialmente penali, soprattutto quanto alla severità della sanzione, e la conclusione vale ai fini dell’applicazione di tutte le norme convenzionali, compresa la disposizione dell’articolo 4 del settimo protocollo che prima ho citato. Il secondo aspetto concerne l’interpretazione del concetto di idem factum: ci si trova di fronte a sanzioni applicate per lo stesso fatto quando in entrambi i procedimenti sia stata considerata la medesima condotta materiale, indipendentemente dalla qualificazione giuridica che è stata data. Come dicevo, sono principi assolutamente consolidati e ad essi ha fatto riferimento la Corte di Strasburgo e in una sentenza di cui sicuramente ci parlerà la professoressa Rossi e che io mi limito a ricordare, di cui certamente tutti abbiamo memoria: la sentenza Grande Stevens contro Italia [6], che in un caso di manipolazione del [continua ..]


5. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU: dalla sentenza Grande Stevens alla sentenza A e B contro Norvegia ed all’affer­mazione della regola della sufficiently close connection in substance and time

Ora, come dicevo in apertura, su questi temi la giurisprudenza sovranazionale si è mossa molto rapidamente e – ferma restando l’interpretazione dei concetti di sanzione penale e idem factum – l’applicazione pratica del ne bis in idem ha subito sostanziali modifiche. In particolare, soltanto due anni dopo la sentenza Grande Stevens, a Strasburgo “la musica è completamente cambiata” con la sentenza A e B (iniziali di fantasia per coprire i nomi dei due ricorrenti) contro Norvegia, resa non più nel settore della manipolazione del mercato, ma in quello dei reati tributari [7]. Con questa decisione si è affermato che la contemporanea – e anche, in qualche modo, successiva, se effettuata in un lasso di tempo contenuto – celebrazione dei procedimenti davanti ad autorità distinte per il medesimo fatto, punito sia con sanzioni amministrative afflittive (e quindi penali ai fini della CEDU) sia con sanzioni penali, non viola il principio di cui art. 4, Prot. n. 7, laddove sia possibile riscontrare tra gli stessi una connessione sufficientemente stretta dal punto di vista sostanziale e dal punto di vista cronologico. È possibile, cioè, che si proceda in due sedi giurisdizionali per scrutinare lo stesso fatto e che si arrivi ad una applicazione cumulativa di sanzioni senza violare il principio convenzionale del divieto di bis in idem. D’altronde, l’applicazione di diverse sanzioni, magari con riguardo ad a­spetti differenti della medesima situazione, per tutelare un determinato bene giuridico che può presentare plurimi aspetti di illegalità, è una prospettiva a livello normativo diffusa in molti stati del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea. Laddove per la tutela del medesimo bene giuridico siano previsti due distinti sistemi sanzionatori – negli Stati nazionali solitamente qualificati come penale e amministrativo – se le due forme di accertamento si muovono parallelamente (il c.d. doppio binario) e utilizzano gli stessi elementi di prova non si viola la garanzia processuale del ne bis in idem, perché essa mira ad evitare che il cittadino sia per lungo tempo, e da diversi organi inquirenti, sottoposto ad indagine per lo stesso fatto. Quindi – si ricava dalla più recente giurisprudenza di Strasburgo – il principio è violato se ci sono [continua ..]


6. La recente giurisprudenza della Corte di Giustizia: la compatibilità del doppio binario sanzionatorio in tema di omesso versamento del­l’IVA nella sentenza Menci

Sulle stesse questioni – sempre con riguardo ai settori della manipolazione del mercato e dei reati tributari, che sono quelli che maggiormente hanno stimolato la riflessione su questi temi – sono state sollevate dal giudice nazionale italiano tre questioni pregiudiziali sull’interpretazione del concetto di ne bis in idem nel diritto dell’Unione europea, questioni che la Corte di Giustizia ha deciso nel 2018 con tre sentenze del 20 marzo, una sui reati tributari e altre di cui probabilmente parlerà la professoressa Rossi. Mi soffermo sul procedimento relativo ai reati tributari, deciso con la sent. Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, C-524/15, Menci. Il caso pendeva avanti al tribunale di Bergamo e si trattava di una classica vicenda in tema di omesso versamento dell’IVA. Si procedeva per il reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 a carico di una persona a cui nel procedimento tributario già era stata inflitta, in via definitiva, una sanzione pecuniaria qualificata come amministrativa (ma da ritenersi sostanzialmente penale) ex art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, relativa al medesimo importo IVA non pagato. Il Tribunale aveva sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: se la previsione dell’art. 50 della Carta di Nizza, interpretato alla luce dell’art. 4, protocollo n. 7, CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale a­vente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile. Apro solo una parentesi per segnalare un aspetto che nella pratica non sempre viene considerato. L’applicazione del principio sul divieto di bis in idem sancito nell’art. 50 della c.d. Carta di Nizza può essere invocato davanti ai giudici nazionali soltanto se l’atto normativo che viene in considerazione rispetto al fatto illecito ed alle conseguenti sanzioni sia un atto normativo del­l’Unione europea o di fonte nazionale ma che si ricolleghi a competenze che rientrano nella sfera dell’Unione. Per questo, ad esempio, alcune questioni pregiudiziali sollevate dai giudici italiani in relazione al reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000 – che punisce l’omesso versamento delle ritenute da parte del [continua ..]


7. La metamorfosi del principio del ne bis in idem nei più recenti approdi della giurisprudenza sovranazionale: dal piano processuale a quello sostanziale con valutazione da compiersi in concreto

Il richiamato riferimento che la sentenza Menci fa all’art. 49, § 3, della Carta di Nizza rafforza l’osservazione che, già sulla base della decisione A e B contro Norvegia, la Corte costituzionale aveva fatto nella citata sent. n. 43/2018 circa la mutata prospettiva che in sede europea si è registrata rispetto all’interpre­tazione del divieto di bis in idem, esaminato non più soltanto sul piano squisitamente processuale (o formale) che guarda alla mera reiterazione dei procedimenti, ma su un piano sostanziale rivolto invece alla salvaguardia delle garanzie in concreto e, più in generale, al rispetto di un più ampio principio di proporzionalità concernente anche il rapporto tra fatto e complessiva sanzione [9]. Queste decisioni delle Corti di Lussemburgo e Strasburgo ci dicono che pur quando i procedimenti siano avviati davanti autorità differenti nei confronti dello stesso soggetto il principio del ne bis in idem non è violato se sono soddisfatti i requisiti di identità del materiale probatorio, concentrazione dei tempi, complessiva proporzionalità della sanzione. Si tratta, tuttavia, di una valutazione che va operata in relazione al singolo caso concreto e che può avere esiti difformi. Si consideri, ad es., che ad un anno dalla sentenza A e B contro Norvegia, sempre in un caso analogo in materia di reati tributari, la Corte di Straburgo ha accertato la violazione del principio convenzionale per mancato rispetto di una sufficiently close connection in substance and time, perché il processo penale, con indagini di polizia indipendenti rispetto alle verifiche fiscali, era proseguito per cinque anni dopo il definitivo accertamento in sede amministrativa tributaria della sanzione [10].


8. La giurisprudenza nazionale in materia di reati tributari: le prime pronunce e gli scenari futuri

Utilizzerò questi pochi minuti che mi rimangono per segnalare che cosa è successo, e che cosa potrebbe nel prossimo futuro accadere, sempre con particolare riguardo ai reati tributari, a livello di giurisprudenza nazionale. È successo innanzitutto che la Corte di cassazione, dopo A e B contro Norvegia, ha in un caso riconosciuto che non v’era stata violazione del principio di cui art. 4, Prot. n. 7, CEDU in un processo relativo al reato di omesso versamento IVA ancora in corso dopo che la sanzione del 30%, irrogata dalla amministrazione finanziaria, era stata applicata senza che vi fosse stata contestazione ed era dunque divenuta definitiva [11]. Il caso si segnala peraltro per la celerità processuale, debbo dire inconsueta rispetto ai tempi a cui purtroppo siamo abituati: era successo che l’amministrazione aveva applicato la sanzione pecuniaria del 30% nel luglio del 2014, che la sentenza penale di condanna in primo grado era intervenuta a dicembre del 2014 e che a maggio del 2015 vi era stata la conferma in grado d’appello. Agevole, pertanto, il giudizio della Cassazione sulla stretta connessione temporale dei due procedimenti. Quanto alla connessione sostanziale, chiunque abbia esperienza di reati tributari sa che i relativi procedimenti nascono praticamente sempre dagli accertamenti del­l’Agenzia delle entrate e che gli stessi elementi acquisiti nella verifica fiscale vengono utilizzati dall’amministrazione stessa per l’irrogazione di sanzioni amministrative e dall’autorità giudiziaria penale per l’accertamento del reato, ciò che puntualmente si era verificato nel caso di specie. In altra precedente sentenza di legittimità si era affermato lo stesso principio analizzando il cumulo tra sanzione penale propriamente intesa e confisca per equivalente del profitto del reato, escludendo quindi la violazione del divieto del ne bis in idem [12]. Non entro nei temi di diritto tributario che tratteranno i relatori che mi seguiranno, limitandomi ad osservare che – a mio modo di vedere – spiragli per poter ritenere che, in concreto, possa ravvisarsi una violazione del ne bis in idem esistono, ma sono molto, molto, ridotti. Aggiungo soltanto che, a seguito della sentenza Menci, nel caso più sopra descritto, il Tribunale di Bergamo che aveva fatto il rinvio pregiudiziale ha sollevato questione di legittimità [continua ..]


NOTE