Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

14/11/2019 - Frodi “carosello” e ripartizione dell’onere probatorio tra contribuente e ufficio

argomento: News del mese - Diritto Tributario

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La Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, con la sentenza n. 20857/19 del 31 luglio 2019, ha respinto il ricorso di una Società contribuente che dichiarava di essere estranea alla frode IVA commessa da una Cartiera. Gli Ermellini hanno respinto il ricorso ritenendo che gli elementi probatori vagliati dalla CTR erano idonei a dimostrare la consapevolezza della cocietà di partecipare a una frode “Carosello”. Il Giudice di legittimità ha rilevato che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria deve provare due elementi costituitivi della pretesa erariale, vale a dire: l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, cioè che il soggetto formale non è quello reale; la conoscenza o, quantomeno, la conoscibilità della partecipazione a una frode “Carosello”, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente cessionario era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. La sussistenza del primo elemento costitutivo della pretesa erariale può essere provata anche mediante presunzioni (art.54, comma 2, D.P.R. n.633/1972 e art.39, comma 1, lett. d), D.P.R. n.600/1973). Il Collegio ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, «la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’IVA non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione, in quanto è configurabile una esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo»; a quest’ultimo non può essere negato il diritto di detrazione se «non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA» (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 6 luglio 2006,cause C-439/04e C-440/04, Kittel). Secondo la Suprema Corte, a carico del cessionario sussiste «un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo».