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La Prima Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza del 3 aprile 2018 (ud. 9 marzo 2018), n. 14783, annulla con rinvio la pronuncia della Corte d’appello di Milano con la quale gli amministratori di una s.p.a. fallita erano stati condannati ex art. 223, co. 2, n. 2, L.F., per aver cagionato il dissesto della società per effetto di operazioni dolose; in particolare, gli imputati avevano commesso una truffa ai danni di un soggetto terzo, privato, che aveva determinato un incremento del patrimonio sociale nel breve termine, ma un depauperamento nel medio-lungo termine, culminato poi nel dissesto dell’ente. La Suprema Corte precisa che in casi come quello citato (non comportanti un immediato depauperamento ma, al contrario, un iniziale beneficio patrimoniale per la società) l’onere probatorio della pubblica accusa non può ritenersi esaurito nella dimostrazione della natura dolosa delle operazioni contestate e nell’astratta prevedibilità del dissesto – peculiare ipotesi di preterintenzione, così come prospettato, ex multis, in Cass. pen., sez. V, 38728/2014) –, dovendo, invece, investire anche «la concreta previsione dell’accertamento delle pregresse attività illecite da parte del soggetto immediatamente danneggiato da tale attività». Pertanto, la Corte annulla e rinvia per nuovo giudizio ad una diversa sezione della Corte d’appello di Milano.