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Con sentenza n. 25125 del 5 giugno 2018 (ud. 17 gennaio 2018), la Quarta Sezione della Suprema Corte, nel ribadire che il «il giudice di legittimità non è giudice del sapere scientifico, e non detiene proprie conoscenze privilegiate», ha sottolineato che il giudice di merito, «in virtù del principio del suo libero convincimento e dell’insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi prospettategli dai differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti». Dal che deriva l’insindacabilità, in sede di legittimità, delle valutazioni in tal modo effettuate, «poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile» in sede di legittimità, «se non entro i limiti del vizio motivazionale».