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Con sentenza n. 40931 del 24 settembre 2018 (ud. 7 giugno 2018), la Quarta Sezione penale della Suprema Corte, analizzando i profili di responsabilità dei fabbricanti e dei fornitori (art. 23, T.U. 81/2008), ha sancito che «chi assume la decisione di “fornire” un’apparecchiatura deve assicurarne la rispondenza alle normative sulla sicurezza sul lavoro», sottolineando che «si tratta di una forma di responsabilità direttamente connessa con l’atto negoziale, indipendente dagli obblighi riguardanti l’eventuale precedente utilizzazione, con cui viene assicurata, in modo anticipato, la tutela antinfortunistica rispetto all’utilizzatore che acquista il bene o a cui viene ceduto in qualsiasi forma, ancorché gratuitamente». Sul punto, ha precisato che la «l’unica ipotesi in cui il divieto di vendita di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute e sicurezza sul lavoro non opera” è quello in cui “detta vendita sia effettuata per un esclusivo fine riparatorio in vista di una successiva utilizzazione degli stessi, una volta ripristinati e messi a norma». Dal che, discende che «colui che cura l’aspetto commerciale della cessione debba verificare, quando non ne abbia le competenze tecniche, la conformità delle apparecchiature alla normativa, assicurandosi di trasferire un macchinario in piena efficienza e sicuro, affidando l’incarico di un simile controllo a chi quelle competenze le possiede professionalmente, non essendo sufficiente né che la strumentazione fosse in uso presso un proprio stabilimento sotto la responsabilità di un delegato per la sicurezza, né la mera formale certificazione della conformità alle prescritte misure di sicurezza»».