Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Criptovalute e NFT. Introduzione (di Luca Piovano, Dottore commercialista in Torino)


Nell’ambito di criptovalute e NFT, l’autore – dopo aver introdotto l’argomento e fornito il glossario di base – si sofferma sull’analisi del Registro Operatori Criptovalute e sui profili fiscali della materia oggetto d’intervento.

Parole chiave: Registro Operatori Criptovalute – profili fiscali – glossario.

Cryptocurrencies and NFT. Introduction

In the field of cryptocurrencies and NFT, the author – after introducing the topic and providing the basic glossary – focuses on the analysis of the Cryptocurrency Operators Register and on the tax profiles of the paper subject.

Keywords: Cryptocurrency Operators Register – tax profiles – glossary.

SOMMARIO:

1. Introduzione e glossario - 1.1. Termini essenziali - 1.2. Gli exchange - 1.3. Le ICO - 1.4. L’importanza del wallet - 1.5. I proventi derivanti dalle criptovalute - 1.6. I token - 1.7. Le nuove frontiere: NFT e metaverso - 2. OAM – Registro Operatori Criptovalute - 3. I profili fiscali - 3.1. La risoluzione n. 72 del 2 settembre 2016 - 3.2. La risposta ad interpello di marzo/aprile 2018 - 3.3. La risposta ad interpello n. 14 del 28 settembre 2018 - 3.4. La risposta ad interpello n. 110 del 20 aprile 2020 - 3.5. Come definire le criptovalute - 3.6. La risposta ad interpello n. 437 del 26 agosto 2022 - 3.7. Il trattamento degli NFT


1. Introduzione e glossario

Sempre più spesso, ormai anche sui quotidiani e periodici generalisti, si discute di bitcoin, criptovalute e blockchain. Capite inoltre con sempre maggior frequenza che nostri clienti ci pongano le più varie domande su questo strano mondo. Molti professionisti sono digiuni dell’argomento o hanno semplicemente letto qualcosa, senza aver avuto il tempo di approfondire e comprendere meglio le numerosissime sfaccettature del variegato mondo delle criptovalute. In apertura cercheremo quindi di fornirvi le prime semplici istruzioni per iniziare a comprendere di cosa si tratta. Ecco, quindi, un sintetico e assolutamente non esaustivo glossario, suddiviso per macro-argomenti.


1.1. Termini essenziali

Iniziamo a definire i termini essenziali: ·      Bitcoin: i bitcoin sono rappresentazioni digitali di valore, che possono essere scambiate elettronicamente. Non esistono in forma fisica. Anziché una singola autorità o istituzione, è una rete di computer che provvede a creare bitcoin e a tenerne traccia utilizzando formule matematiche complesse (definizione della Banca Centrale Europea). ·      Alt-coin: Esistono centinaia di altre monete alternativa al Bitcoin (e in continuo aumento), si usa questo termine per riferirsi a questo folto gruppo alternativo. ·      Blockchain: La blockchain, o catena di blocchi, è il libro contabile in cui sono registrate tutte le transazioni fatte – nel caso del Bitcoin – dal 2009 ad oggi. Si tratta di un database distribuito, ovvero non presente su un solo server o computer, ma condiviso da tutti i pc che supportano il progetto (nodi). ·      Blocco: un insieme di transazioni criptate che, in sequenza con altri, blocchi, costituisce una blockchain. ·      Wallet: portamonete virtuale per ricevere, custodire e spendere criptovalute e tokens. È costituito da un indirizzo, una chiave pubblica e una chiave privata. ·      Chiave pubblica: le chiavi pubbliche funzionano in modo simile al numero di conto corrente. La chiave pubblica è un codice crittografico che identifica un wallet sulla blockchain. ·      Chiave privata: è un codice crittografico che dà accesso al wallet. La chiave privata non deve essere rivelata ad altri in quanto permette di utilizzare i fondi del wallet.


1.2. Gli exchange

La porta di ingresso per chi intende avvicinarsi alle criptovalute è rappresentata dall’exchange. L’exchange è sostanzialmente il mercato dove è possibile acquistare e vendere sia Bitcoin che le altre criptovalute, come un in mercato azionario. L’exchange è solito trattenere una parte degli scambi come fee (tassa di transazione). È importante, qualora di intenda acquistare criptovalute o effettuare operazioni più complesse, scegliere un exchange affidabile considerato che avrà in giacenza i nostri fondi. I due principali exchange italiani sono Young Platform e The Rock Trading. Binance, Coinbase, Huobi, Bybit, Kraken, FTX sono alcuni degli exchange più famosi. Ultimamente si sono sviluppati i cosiddetti DEX, i Decentralized Exchange (Exchange Decentralizzati). Un DEX è un mercato per criptovalute totalmente open source. Nessuno ha il controllo su un DEX, e compratori e venditori trattano reciprocamente su base uno a uno tramite applicazioni di trading peer-peer (P2P). E, sempre in tema di decentralizzazione, si sta assistendo ad un notevole incremento dei progetti di Finanza decentralizzata, la cosiddetta DeFi. La DeFi è un sistema di applicazioni e protocolli finanziari costruiti mediante l’organizzazione di servizi, simili a quelli bancari, costruiti su infrastrutture che presuppongono l’assenza di gerarchie, come la blockchain, o comunque meno centralizzati rispetto al sistema bancario. Una delle caratteristiche rilevanti di questo tipo di progetti è rappresentato dagli automatismi che permettono di eseguire le transazioni senza interventi esterni, spesso basandosi su smart contract. Gli smart contracts sono “protocolli informatici che facilitano, verificano o fanno rispettare la negoziazione o l’esecuzione di un contratto. Lo smart contract funziona con logiche “se A allora B” (A implica B), ciò significa che il protocollo verifica in automatico l’avverarsi delle condizioni di esecuzione del contratto e si auto-esegue se e solo se tutte le condizioni sono verificate, applicando in automatico le clausole concordate dalle parti. Questo automatismo permette di stipulare ed eseguire contratti in modo sicuro ed economico, in quanto non è necessaria la fiducia tra le parti contraenti, né l’intervento di terze parti neutrali (intermediari). È il protocollo che funge da intermediario [continua ..]


1.3. Le ICO

Un altro modo per avvicinarsi al mondo delle criptovalute è quello di partecipare ad una ICO. ICO è l’abbreviazione di Initial Coin Offering. Analogamente a quanto accade durante una IPO (Initial Public Offer) per le società che si quotano in Borsa, la ICO è il momento in cui per la prima volta vengono offerte agli investitori unità di nuove criptovalute o crypto-tokens. Gli investitori normalmente possono acquistare i nuovi tokens utilizzando altre criptovalute (Bitcoin, Ethereum o altre) oppure possono conferire valute fiat. Le ICO possono essere considerate una sorta di crowdfunding, infatti ormai da anni sono utilizzate dalle “cripto startup” per finanziare lo sviluppo e l’im-plementazione di nuovi progetti in ambito blockchain e relative applicazioni. Per pubblicizzare la ICO e per far conoscere il progetto a quanti più investitori possibili, i promotori redigono il cosiddetto white paper, una sorta di documento di “trasparenza” in cui sono descritte una serie di informazioni di dettaglio, tra cui le finalità del progetto, i suoi utilizzi, l’ammontare di token che verranno allocati, l’obiettivo minimo di raccolta di fondi, le tempistiche della ICO e così via. Al termine del periodo di durata (prefissato) della ICO, se sarà stato raggiunto l’obiettivo della raccolta, il token diverrà disponibile per lo scambio su uno o più exchange. Se il progetto sottostante avrà successo, verosimilmente si verificherà un aumento del valore di mercato del token, permettendo ai primi investitori (ovvero coloro che hanno partecipato al­l’ICO), di avere i maggiori rendimenti. Qualora invece il progetto non avesse i successi sperati (o peggio, se la ICO si rivelasse uno scam), gli investitori potrebbero perdere quanto conferito, ritrovandosi a possedere token inutili. È anche possibile che l’ICO non raccolga sufficienti adesioni, in tal caso normalmente il white paper prevede la restituzione dei conferimenti ricevuti.


1.4. L’importanza del wallet

Fatto l’acquisto di criptovalute, tramite exchange o tramite partecipazione a ICO, è importante comprenderne il meccanismo di conservazione. Come accennato nel precedente paragrafo relativo ai termini essenziali, le criptovalute vengono conservate nei wallet, i portafogli digitali. Come visto, la chiave di accesso al wallet è rappresentata dalla chiave privata. Appare quindi evidente come è opportuno, per non dire necessario, che le criptovalute vengano conservate in un wallet di cui si conosce la chiave privata. Potrebbe sembrare ovvio, ma così non è. Quando iniziamo ad operare con un exchange, facciamo un bonifico di valuta cosiddetta FIAT (dollari o euro) su un IBAN intestato all’exchange prescelto. Nella causale del bonifico dovremo indicare un codice che ci identifica. Il bonifico ricevuto dall’exchange viene quindi “assegnato”, grazie a questo codice identificativo, al nostro wallet che l’exchange ci ha creato. La valuta FIAT ora presente sul nostro wallet viene utilizzata per acquistare criptovalute, che vengono a propria volta conservate su tale wallet. Ma di tale wallet noi abbiamo soltanto la chiave pubblica; la chiave privata è nella disponibilità dell’exchange. Se l’exchange è affidabile, non dobbiamo preoccuparci più di tanto, se non di eventuali attacchi di hacker all’exchange stesso. Per ridurre i rischi di perdere le proprie criptovalute appena acquistate, è comunque opportuno al più presto prelevarle, inviandole in un wallet di cui abbiamo le chiavi private. Esistono wallet online, wallet rappresentati da app su cellulari o tablet ma esistono anche hardware wallet. La versione più sicura è probabilmente rappresentata ad un hadware wallet; sostanzialmente una sorta di “chiavetta usb” all’interno della quale sono conservate le nostre chiavi pubbliche e private e senza la quale quindi non è possibile disporre delle criptovalute.


1.5. I proventi derivanti dalle criptovalute

Ma come possiamo generare proventi tramite le criptovalute. Vi sono numerose possibilità di far fruttare il proprio investimento, così come vi sono altrettante possibilità – se non di più – di vederlo completamente svanire. Le criptovalute si possono prima di tutto “holdare”. Si possono cioè acquistare e semplicemente conservare nella speranza che salgano di valore. Si possono poi “tradare”. Si possono cioè continuare a scambiare con classiche operazioni di trading, più o meno numerose e più o meno automatizza. Altre possibilità di generare proventi sono rappresentate dal mining e dallo staking. Per comprendere la differenza fra il mining e lo staking è necessario preventivamente comprendere la differenza fra Proof of Work (PoW) e Proof of Stake (PoS). Il termine Proof-of-Work (PoW) indica l’algoritmo di consenso alla base di una rete blockchain. Questo algoritmo viene utilizzato per confermare le transazioni e produrre i nuovi blocchi della catena; PoW incentiva i miner a competere tra loro nell’elaborazione degli scambi, ricevendo in cambio una ricompensa. I miner competono per risolvere un complesso enigma matematico, e il primo a riuscirci ottiene il diritto di aggiungere il prossimo blocco alla blockchain. Per mining si intende quindi il processo che fa eseguire all’hardware del computer calcoli matematici al fine di confermare le transazioni, aumentare la sicurezza della blockchain e generare nuove criptovalute. Come ricompensa per il loro servizio, i miner (minatori) possono incassare delle commissioni sulle transazioni che confermano insieme alle nuove criptovalute generate tramite il processo stesso di mining. Bitcoin è minabile tramite il meccanismo del PoW. Il proof of work è oggi molto criticato. Per svolgere i calcoli sono necessari computer (o altre tipologie di hardware) ad alta capacità, i quali consumano un’ingente quantità di energia. Il numero delle transazioni che possono essere elaborate contemporaneamente risulta inoltre limitato. Si è quindi sviluppato l’altro meccanismo di consenso, il Proof of Stake (PoS). Nel PoS il procedimento fisico attraverso il quale i supercomputer competono tra loro per risolvere problemi matematici complessi, cioè il mining, viene sostituito da un sistema in cui i c.d. validators garantiscono la validità delle [continua ..]


1.6. I token

I termini token e criptovalute sono comunemente utilizzati come sinonimi per indicare le monete virtuali, ma in realtà esistono delle differenze o, perlomeno, diversi significati. La criptovaluta, nota in inglese con il nome di cryptocurrency, è una nuova forma di denaro che utilizza la crittografia per proteggere e verificare le transazioni. I token comunemente intesi sono di fatto frazioni di una criptovaluta emessa, che vengono scambiati tra gli utenti mediante scambi che vengono memorizzati sulla blockchain della criptovaluta. Esiste un’altra tipologia di token, che a differenza di quelli di cui sopra, non ha una propria blockchain, ma utilizza la blockchain di un’altra coin. Ad esempio, mediante gli smart contract di Ethereum, chiunque può emettere i propri token e registrare le transazioni afferenti quel token sulla blockchain di Ethereum invece che necessariamente costruirne una propria. Secondo le definizioni utilizzate anche dall’Agenzia delle Entrate italiana in risposta ad alcuni interpelli, abbiamo le seguenti tipologie di token: -      Token di pagamento: ossia mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi oppure strumenti finalizzati al trasferimento di denaro e di valori; -      Security token: rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale (ad esempio il diritto di partecipare alla distribuzione dei futuri dividendi) e/o di diritti amministrativi (ad esempio diritti di voto su determinate materie); -      Utility token: rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo).


1.7. Le nuove frontiere: NFT e metaverso

Le nuove frontiere del particolare mondo delle criptovalute e della block­chain sono certamente rappresentate dagli NFT e dal metaverso. Il Metaverso è una visione dell’internet del futuro. Un mondo di realtà virtuale immersiva dove le persone saranno in grado di perseguire tutti gli aspetti della vita come in un universo digitale parallelo, ovviamente utilizzando criptovalute per tutto. Nft è l’acronimo di Non-Fungible Token (token non fungibili). A differenza dei token fungibili, questi non possono essere scambiati con altri token, il che li rende unici e non replicabili. Il processo di tokenizzazione di un bene digitale permette di sostituire dati, beni, diritti con un asset digitale unico. Sono molteplici i settori e gli ambiti di applicazione di questa tecnologia. Ad esempio, gli NFT possono essere utilizzati nei seguenti campi: -      Proprietà intellettuale: gli NFT rappresentano un quadro, un brevetto, una canzone o altri diritti di proprietà intellettuale; -      Gaming: gli NFT diventano oggetti da collezione digitale o gadget utilizzabili nei giochi virtuali; -      Certificati: gli NFT possono essere utilizzati per verificare l’autenticità dell’identità di una persona o di certificati di nascita, di credenziali accademiche, di licenze o di altro; -      Documenti finanziari: fatture, bollette, ordini possono essere trasformati in NFT; -      Real estate: immobili e altre proprietà di valore possono essere tokenizzate per migliorare la liquidità della proprietà o per rendere più veloce il finanziamento.


2. OAM – Registro Operatori Criptovalute

Esaurita questa prima carrellata di definizioni, senza pretesa di esaustività, un cenno a ciò che sta accadendo in Italia nel corso di questi ultimi mesi. È opinione diffusa che il mondo delle criptovalute sia opaco e non tracciabile. Al contrario, ogni operazione effettuata sulla maggior parte delle criptovalute è pienamente tracciabile in modo trasparente. Esistono infatti dei motori di ricerca, raggiungibili da chiunque tramite un sito internet, attraverso i quali visualizzare ogni singolo movimento e il saldo di ogni wallet, nonché i dettagli di ogni singola transazione effettuata sulla blockchain. Inserendo ad esempio la stringa che rappresenta l’indirizzo di un wallet, è possibile visualizzare il saldo del wallet e ogni singola transazione in entrata e in uscita effettuata su tale wallet. L’opacità contestata al mondo delle criptovalute è data dal fatto che non si sa a chi appartiene quel determinato indirizzo. Un primo passo verso una regolamentazione è stato tentato in Italia nel lontano febbraio 2018 con la messa in consultazione della bozza di Decreto sui «prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale». Terminata la consultazione, il provvedimento è rimasto in gestazione per alcuni anni, fino al 13 gennaio 2022. Il 17 gennaio 2022 è stato infatti pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto MEF del 13 gennaio 2022 avente ad oggetto «Modalità e tempistica con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale sono tenuti a comunicare la propria operatività sul territorio nazionale nonché forme di cooperazione tra il Ministero dell’e­conomia e delle finanze e le forze di polizia». Tale decreto è interessante e dirompente. Interessanti le definizioni riportate all’art. 1, fra le quali: -      prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale: ogni persona fisica o soggetto diverso da persona fisica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche on-line, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, [continua ..]


3. I profili fiscali

La normativa fiscale italiana non disciplina in alcun modo i proventi e il possesso delle criptovalute. È quindi necessario, in attesa di auspicabili interventi normativi in materia, fare riferimento a Risoluzioni e Risposte ad Interpelli da parte dell’Agenzia delle Entrate.


3.1. La risoluzione n. 72 del 2 settembre 2016

La prima risoluzione emanata dall’Agenzia delle Entrate sul tema criptovalute è la ormai nota risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, avente ad oggetto “Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali”. La risposta data dall’Agenzia delle Entrate trae origine dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea C-264/14 del 22 ottobre 2015.​ Il caso esaminato dall’Agenzia è quello di una società che intende eseguire, per conto della propria clientela, operazioni di acquisto/vendita di bitcoin​. Il quesito è volto ad individuare il corretto trattamento applicabile alle predette operazioni di acquisto e cessione di moneta virtuale, ai fini dell’IVA e delle imposte dirette (IRES ed IRAP). Per quanto riguarda il trattamento ai fini IVA, traendo le mosse dai principi stabiliti nella Sentenza della Corte di Giustizia Europea sopra richiamata, l’Agenzia delle Entrate afferma che “… Alla luce di tali principi, si deve ritenere, per quanto concerne il caso illustrato… che l’attività che la Società intende porre in essere, remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/vendere bitcoin e la migliore quotazione reperita dalla società sul mercato, debba essere considerata ai fini Iva quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 3) del DPR 26 ottobre 1972, n. 633”. Con riferimento invece al trattamento ai fini delle imposte dirette, secondo l’Agenzia “…tale elemento di reddito – derivante dalla differenza (positiva o negativa) tra prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla Società l’incarico a comprare) o tra prezzi di vendita praticati dall’istante e garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a vendere) – è ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata e, pertanto, contribuiscono quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini IRES ed IRAP”.​ L’Agenzia tratta inoltre la questione delle criptovalute detenute [continua ..]


3.2. La risposta ad interpello di marzo/aprile 2018

Il documento temporalmente successivo a firma dell’Agenzia delle Entrate è di marzo/aprile 2018. Tale documento, una risposta ad un interpello, non è stato reso pubblico dall’Agenzia delle Entrate ma dagli utenti della rete e contiene alcuni importanti chiarimenti, di seguito sintetizzati. Nell’interpello in questione si trovano alcune importanti risposte ai tanti quesiti aperti. Fra i punti trattati, si segnalano i seguenti., testualmente riportati data l’importanza. ​“…si ritiene che, ai fini delle imposte sul reddito, delle persone fisiche che detengono bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.​ ​Conseguentemente, le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa salvo generare un reddito diverso qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e del comma 1-ter del medesimo articolo. Per cessione a pronti si intende una transazione in cui si ha lo scambio immediato di una valuta contro una valuta differente.​ ​Il valore in euro della giacenza media in valuta virtuale va calcolato secondo il cambio di riferimento all’inizio del periodo di imposta, e cioè al 1° gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165). Resta inteso che, qualora non risulti integrata la condizione precedentemente individuata, non si rendono deducibili neppure le minusvalenze eventualmente realizzate.​ Tenuto conto che manca un prezzo ufficiale giornaliero cui fare riferimento per il rapporto di cambio tra la valuta virtuale e l’euro all’inizio del periodo di imposta, il contribuente può utilizzare il rapporto di cambio al 1° gennaio rilevato sul sito dove ha acquistato la valuta virtuale o, in mancanza, quello rilevato sul sito dove effettua la maggior parte delle operazioni. ​ Detta giacenza media [continua ..]


3.3. La risposta ad interpello n. 14 del 28 settembre 2018

Successivamente, il 28 settembre 2018 l’Agenzia delle Entrate risponde ad un interpello riguardante il regime fiscale (IRES, IRAP e IVA) relativo all’offerta di token digitali. Anche in questo caso, si riporta di seguito la risposta testuale dell’Agenzia delle Entrate: “Nel caso di specie, la Società intende porre in essere una ICO nell’ambito della quale emettere utility token, rappresentativi del diritto a fruire di servizi…​ Contrariamente a quanto sostenuto dalla Società, si è dell’avviso che la cessione degli utility token sia più correttamente riconducibile ad una mera movimentazione finanziaria, non rilevante agli effetti dell’IVA e che l’imposta si renderà esigibile solo al momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati con la spendita dei token.​ Con riferimento alle imposte sui redditi, per quanto riguarda l’operazione di cessione degli utility token da parte della Società istante, qualora sul piano contabile l’operazione sia rappresentata come una mera movimentazione finanziaria in applicazione dei corretti principi contabili, si ritiene che la stessa non assuma autonoma rilevanza fiscale ai fini IRES.​ Fermo restando quanto evidenziato in via preliminare e nel presupposto dell’assenza di rilevazione tra le voci del conto economico rilevanti ai fini del tributo regionale, quindi, le somme incassate a fronte dell’assegnazione dei predetti utility token non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP.​ Con riferimento alla valuta virtuale che a fine esercizio è nella disponibilità (a titolo di proprietà) della Società istante, come chiarito nella citata risoluzione n. 72/E del 2016, si ritiene che la stessa debba essere valutata in base al cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio e che tale valutazione assuma rilievo ai fini fiscali ai sensi dell’articolo 9 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)”.


3.4. La risposta ad interpello n. 110 del 20 aprile 2020

Arriviamo quindi all’anno 2020, quando l’Agenzia delle Entrate risponde ad un interpello avente ad oggetto il trattamento Iva dell’emissione di token nell’ambito delle ICO (Initial Coin Offering). Le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate sono le medesime rispetto alla precedente risposta ad interpello del 28 settembre 2018, ma vengono qui definite le varie tipologie di token. L’Agenzia delle Entrate scrive che “esistono diverse tipologie di token, tra i quali i più diffusi sono: 1.    I token di pagamento, o criptovalute (payment o currency token) ossia mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi oppure strumenti finalizzati al trasferimento di denaro e di valori; 2.    I security token, rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoria (ad esempio, il diritto di partecipare alla distribuzione dei futuri dividendi) e/o di diritti amministrativi (ad esempio diritti di voto su determinate materie); 3.    Gli utility token, rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo). Oltre ad attribuire i suddetti diritti, alcuni token possono essere scambiati sul mercato secondario tramite la piattaforma dell’emittente o su altre piattaforme di scambio). L’evoluzione digitale ha creato poi, ulteriori tipologie di token, tra cui i token ibridi, ritenute declinazioni, sottocategorie o combinazioni di quelle sopra elencate”.


3.5. Come definire le criptovalute

L’Agenzia delle Entrate, come appare fin qui evidente dall’analisi dei provvedimenti fin qui esaminati, fonda le sue risposte sull’assimilazione delle valute virtuali alle valute tradizionali.​​ Come noto, il tema è però ampiamente dibattuto ed è ormai prevalentemente ritenuto che le criptovalute non siano valute vere e proprie. Il d.l. 21 novembre 2007, n. 231 (Antiriciclaggio) [come modificato nel 2019] all’art. 1, comma 1, lett. qq) definisce infatti le valute virtuali come: «la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». La direttiva UE 843/2018 definisce le valute virtuali come: «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata ad una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Nel parere della Banca Centrale Europea del 12 ottobre 2016, si specifica che “In primo luogo, le ‘valute virtuali’ non possono qualificarsi come valute dal punto di vista dell’Unione. In linea con questo approccio, già adottato o preso in considerazione in vista della sua adozione da altre giurisdizioni che disciplinano piattaforme di cambio di valute virtuali, compresi Canada, Giappone e Stati Uniti, la BCE raccomanda di definire le valute virtuali in modo più specifico, in modo da chiarire espressamente che le valute virtuali non costituiscono moneta legalmente istituita o denaro. In secondo luogo, dato che le valute virtuali non sono effettivamente valute, sarebbe più appropriato considerarle mezzi di scambio piuttosto che mezzi di pagamento”. Il cosiddetto Decreto OAM, come sopra ricordato, all’art. 1, comma 1, lett. f) definisce le valute virtuali come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una [continua ..]


3.6. La risposta ad interpello n. 437 del 26 agosto 2022

Fermo restando la criticità relativa alla divergente definizione di criptovalute, in data 26 agosto 2022, l’Agenzia si è espressa in merito alla tassazione dei redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute. L’Agenzia delle Entrate afferma che: “Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di ‘staking’, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto all’Istante a fronte del ‘vincolo di disponibilità’ delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, si ritiene applicabile quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir. Tale norma, in particolare, dispone che costituiscono redditi di capitale ‘gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto’. Si tratta di una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale. Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati. Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito”. L’Agenzia delle Entrate, con tale risposta, mira quindi ad estendere la definizione di reddito di capitale, specificando che sono tali anche “tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale”. Alla luce di tale estensione, l’Agenzia delle Entrate afferma inoltre che, trattandosi di redditi di capitale maturati attraverso una Società italiana, se accreditati [continua ..]


3.7. Il trattamento degli NFT