Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il benessere equo e sostenibile in Piemonte e nella provincia di Cuneo (di Francesco Cappello, Dottore commercialista.)


L’approfondimento mira ad analizzare la strategia per il raggiungimento del benessere equo e sostenibile in Piemonte, avuto particolare riguardo alla provincia di Cuneo. In tale prospettiva di analisi, l’autore, dopo aver introdotto le grandezze economiche di riferimento, si sofferma sui dati a livello locale.

Fair and sustainable economic wellness in Piedmont and in the province of Cuneo

The paper aims to analyze the strategy for achieving equitable and sustainable economic wellness in Piedmont, with particular regard to the province of Cuneo. In this perspective of analysis, the author, after introducing the economic figures of reference, focuses on the data at the local level.

Keywords: Cuneo – Piedmont – strategy

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SOMMARIO:

1. Introduzione. Le grandezze economiche di riferimento - 2. La scelta degli indicatori - 3. I dati reali a livello globale - 4. I dai reali a livello locale


1. Introduzione. Le grandezze economiche di riferimento

Per Prodotto Interno Lordo si intende comunemente il valore totale dei beni e servizi prodotti in un Paese da parte di operatori economici residenti e non residenti nel corso di un anno, e destinati al consumo dell’acquirente finale, a investimenti privati e pubblici, o alle esportazioni nette. Nell’economia classica il benessere e il progresso di una società si è sempre misurato sulla base del PIL, tradotto a livello micro con il reddito individuale: maggiore è la ricchezza economica, maggiore sarà la qualità della vita. Per anni questa semplice – e forse semplicistica – equazione ha rappresentato la “stella polare” della politica economica, condizionando le scelte di governance e concentrando tutta l’attenzione di politici ed economisti sulla pura crescita finanziaria e produttiva. Dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, in quasi ogni paese, la crescita del PIL è rimasta l’obiettivo primario delle politiche nazionali, tuttavia, come già l’inventore del prodotto interno lordo, Simon Kuznets, affermava negli anni ’30, far equivalere la valutazione del benessere di una nazione con una misura del reddito nazionale, prettamente economica, può essere riduttivo e limitante. Una prima critica al PIL si basa sulla considerazione del fatto che tale indicatore comprende solo le transazioni in denaro, e non quelle a titolo gratuito, come le prestazioni svolte in ambito familiare o il volontariato. Ciò è significativo soprattutto nei paesi, o nelle regioni, dove molta della produzione avviene all’interno di un’economia familiare: coltivare un orto, prediligere la produzione in casa piuttosto che l’acquisto esterno, prendersi cura di anziani e bambini invece che fare affidamento su strutture esterne sono tutte azioni che non vengono annoverate nel PIL, ma che tuttavia sono potenziali fonti di benessere. In secondo luogo, la fotografia fornita dal PIL non tiene conto della distribuzione della ricchezza generata all’interno di un paese. Paesi nei quali la maggior parte della ricchezza è concentrata nelle mani di pochi individui, mentre molti vivono sulla soglia della povertà, possono così essere paragonati a stati con un PIL simile, ma caratterizzati da una maggiore equità e, pertanto, da un benessere maggiore. A prova di ciò, in letteratura è ampiamente [continua ..]


2. La scelta degli indicatori

L’importanza della scelta degli indicatori è pertanto fondamentale poiché questi, oltre a fornire un quadro generale del modello di società in cui vengono elaborati, possono influenzare le scelte di politica economica e orientare i processi culturali, politici e di governance. Ponendo l’accento sulle carenze presenti all’interno di un determinato contesto, gli indicatori utilizzati sono il principale feedback che chiude il loop delle politiche nazionali, evidenziando i problemi che la politica deve risolvere. Se gli indicatori adottati sono obsoleti, o se forniscono un quadro solamente parziale circa la situazione in cui verte uno stato (e il PIL ne è un esempio, ponendo l’accento esclusivamente sull’an­damento economico), di conseguenza non sarà possibile implementare politiche efficaci e volte a risolvere i problemi esistenti, precludendo all’attività politica la capacità di confrontarsi con l’economia reale che i cittadini sperimentano. Un’ulteriore riprova del fatto che livelli di produzione interna lorda particolarmente elevati non coincidano necessariamente con un benessere diffuso è data dal cosiddetto “Paradosso di Easterlin”. Nel 1973 il professore ed economista Richard Easterlin prese in analisi numerosi questionari svolti negli anni precedenti, in cui veniva chiesto a campioni di persone di diverse nazioni nel mondo di indicare su diverse scale quale fosse il loro grado di felicità. Easterlin mise quindi in relazione i dati dei sondaggi con i dati sulla crescita del PIL e notò come, raggiunto un certo livello di ricchezza, la correlazione tra aumento del reddito e aumento della felicità diveniva sempre più labile: ad un costante incremento del reddito medio della nazione, non corrispondeva infatti un simile incremento della felicità percepita. In termini economici, si parla di utilità marginale decrescente: maggiore è la quantità a disposizione di un determinato bene, minore sarà il beneficio ricavato da un’unità aggiuntiva di quel dato bene. Detto in altri termini: maggiore è la ricchezza circolante in un dato contesto (nel nostro caso, più il PIL di uno stato è elevato), più sarà difficile che un aumento del benessere economico stimoli la soddisfazione e la “felicità” di un individuo. La [continua ..]


3. I dati reali a livello globale

È interessante notare come le posizioni degli stati varino nelle classifiche mondiali a seconda dell’indice considerato. A riprova di ciò, basta guardare le differenze tra la Tabella 1 e la Tabella 2: la prima illustra gli stati collocati ai primi 10 posti per Prodotto Interno Lordo (totale e pro capite), mentre la classifica della Tabella 2 è basata sull’Human Development Index. La Cina, al primo posto per produzione interna lorda totale, ottiene solo l’ottantacin­quesima posizione, se si considera invece l’HDI. Gli Stati Uniti slittano dal secondo al diciassettesimo, e anche per l’Italia il divario è significativo: dal dodicesimo al ventinovesimo posto. Viceversa, la Norvegia, che primeggia per indice di sviluppo umano, si colloca al quarantottesimo posto per prodotto interno lordo, l’Irlanda al cinquantunesimo e la Svizzera al trentanovesimo. Un discorso simile può essere fatto per le regioni italiane: seppur in modo meno drastico, la classifica subisce cambiamenti a seconda dell’indicatore scelto, sia che si consideri il PIL totale che il PIL pro capite, come mostra la Tabella 2. Esempi significativi sono la Campania e la Puglia, rispettivamente al settimo e nono posto per PIL totale e a pari merito al diciannovesimo per indice di sviluppo umano. Al contrario, il Trentino, al primo posto nella classifica per HDI, si posiziona al diciottesimo per prodotto interno lordo. A seconda dell’indicatore scelto si mette l’accento su aspetti diversi della società. La scelta di questi indicatori si annuncia quindi una scelta politica e ideologica, emblematica della posizione presa da governi e studiosi. Essere in possesso di un indicatore capace di tenere insieme le diverse visioni, fornendo una panoramica a 360 gradi, appare dunque un elemento importante per i policy makers.     Tabella 1. n. Stati per PIL totale (anno 2020) Stati per PIL pro capite (anno 2020) Stati per HDI (anno 2019) 1. Cina Liechtenstein Norvegia 2. Stati Uniti Qatar Irlanda 3. India Macao Svizzera 4. Giappone Monaco Hong Kong 5. Germania Lussemburgo Islanda 6. Russia Bermuda Germania 7. Indonesia Singapore Svezia 8. Brasile Isola di [continua ..]


4. I dai reali a livello locale